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Novak Djokovic volta pagina e sceglie Andre Agassi come nuova spalla destra

Dopo aver conquistato il Career Grande Slam con la vittoria del tanto agognato RolandDjokovic e Agassi 1 Garros, in Novak Djokovic è cambiato qualcosa. Come ha evidenziato la nostra ex campionessa italiana Flavia Pennetta in un’intervista per Sky Sport, nel periodo del torneo ATP 1000 di Miami, quello che ha determinato un regresso nella fiducia del serbo, è proprio l’aver completato il Grande Slam. La Pennetta, in qualità di opinionista, aveva logicamente affermato che un giocatore che vince tutte le prove del Grande Slam, possa in qualche modo perdere gli stimoli in modo del tutto naturale. Ed è quello che effettivamente è successo a Djokovic, il quale, dopo risultati sotto le sue aspettative, ha deciso di interrompere la collaborazione con il team che lo ha accompagnato in tutti questi anni, composto dall’allenatore ed ex tennista slovacco Marian Vajda, il preparatore atletico Gebhard Phil Gritsch e il fisioterapista Miljan Amanovic.

Questa decisione di voltare pagina, come ha spiegato lo stesso Djokovic, è dovuta all’esaurimento progressivo delle motivazioni che lo avevano portato in vetta al ranking ATP e lasciato lì indisturbato per stagioni intere (dal 2011 al 2016 in maniera più o meno costante grazie ai punti accumulati nei tornei del Grande Slam e nei Masters). Se prima il serbo riusciva a vincere agevolmente contro la maggior parte degli avversari senza concedere set (fatta eccezione per i top 5), nell’ultimo periodo, Djokovic ha accusato molta più fatica in partite contro giocatori dalla classifica nettamente inferiore alla sua, arrivando a giocarsela ai tie-break e perdendo dei set. Agli Australian Open è uscito fuori al secondo turno per mano di Denis Istomin; ad Acapulco e Indian Wells è stato liquidato in due set da Nick Kyrgios; a Montecarlo fuori ai quarti contro David Goffin; a Madrid eliminato facilmente da Rafael Nadal; mentre, a Roma, dopo due partite in cui sembrava essere tornato il Djokovic imbattibile surclassando Juan Martin Del Potro prima e Dominic Thiem dopo, ha perso in finale contro un grande Alexander Zverev. Dopo questa serie di risultati buona ma non certo figlia del miglior Djokovic, il campione serbo ha capito che, per trovare nuovi stimoli, è stato indispensabile ripartire da zero, scegliendo una figura totalmente diversa, almeno per somiglianza di gioco, da Boris Becker, che affiancava il serbo nel coaching.
Djokovic e Agassi 3Al posto del tedesco, che tutti ricorderanno come un grande esponente del serve and volley, della volèe e del gioco piatto, Djokovic ha puntato su il Kid di Las Vegas, Andre Agassi, maestro del controbalzo, del gioco d’anticipo e di un tennis da fondo campo.

Quel che Agassi potrà dare o aggiungere al bagaglio tecnico di Djokovic è un insieme di fattori, primo fra tutti un gioco maggiormente improntato all’attacco e meno attendista, meno prevedibile. Se ad oggi molti giocatori come Kyrgios, Goffin e Zverev hanno messo in difficoltà Djokovic è perchè hanno capito come giocargli e come batterlo. Il serbo, probabilmente, risulta un po’ monotematico nelle scelte tattiche, per esempio nel dritto a sventaglio, nel rovescio incrociato e nella palla corta. Agassi può aiutare Djokovic a giocare più vicino alla linea di fondo cercando di non perdere campo e di non subire dunque il gioco dell’avversario. Il Kid di Las Vegas, inoltre, potrebbe far lavorare il serbo sulle accelerazioni e sulla confidenza nel tirare il vincente. Se Nole, un tempo, lasciava andare il dritto e il rovescio a velocità impressionanti, oggi forse è leggermente meno incisivo nei colpi da fondo campo.
L’ex campione americano potrà infine mostrare al suo allievo come si gioca il controbalzo ma chissà se Djokovic riuscirà ad emulare il suo maestro in quella che per Agassi era una specialità unica…

Federico Bazan © produzione riservata

“Qual’è il tuo tennista preferito?” “Non ce n’è uno in particolare perchè mi piace cogliere le diverse sfumature di ognuno.”

                                       Tifosi di Nole Djokovic al Foro Italico

È bello immaginare che nel tennis tutti gli appassionati abbiano degli idoli, dei punti di riferimento; un po’ meno bello pensare che esista un solo giocatore degno di nota; è triste notare come l’ambiente legato al mondo del tennis, in passato caratterizzato da un vasto e disinteressato apprezzamento per tutti i grandi campioni, stia degenerando con la diffusione delle tifoserie.

Lo sport con la racchetta, che nasce come attività ludica praticata dalle élite aristocratiche, si sta evolvendo a poco a poco in un contesto di massa, nel quale, Federer e Nadal, secondo le più svariate considerazioni dei supporters, vengono etichettati come fossero squadre di calcio; in altre parole, o si tifa Nadal o si tifa Federer… trovare l’appassionato che adori incondizionatamente entrambi nella stessa misura, è cosa rara.

Purtroppo sono tante, troppe le critiche che, all’ordine del giorno, si scatenano sui social network nei confronti dei campioni di questo sport.
Si discute spesso sulla superiorità di un giocatore rispetto a tutti gli altri, quasi come se questi fosse un Dio e tutti gli altri non esistessero; si parla della presunta ma non dimostrata attribuzione (e sottolineo con particolare attenzione “non dimostrata”, in quanto coloro che accusano non hanno prove effettive) relativa alla disonestà con la quale alcuni giocatori in particolare, vincerebbero le partite adottando “scorciatoie” come il doping.
Non meno irrilevante è la credenza comune in base alla quale il tennis odierno non regali più quel divertimento, quelle emozioni che vi erano un tempo; questo perchè, a detta di molti, i giocatori e le giocatrici attuali sono tutti uguali nell’impostazione tecnica e monotematici nel gioco (e anche questo fatto è ampiamente discutibile…).

E’ raro, perciò, trovare appassionati che amino o, quantomeno ammirino, indistintamente, il gioco delle top ten del circuito WTA o dei top five del circuito ATP, a prescindere dal loro tipo di gioco, di carattere, di attitudini dentro e fuori dal campo.

Immaginare un mondo del tennis nel quale non vi siano confini tra i tifosi e gli appassionati significa immaginare bene, perchè non c’è niente di meglio che stravedere per la classe inarrivabile di Federer e al contempo ammirare la fisicità del gioco di Nadal così come apprezzare le bordate di Serena Williams, la forza di volontà della Sharapova e, nella stessa misura, la grinta della piccola Sara Errani (piccola si fa per dire).

Trovare un modo per elogiare i pregi di ogni campione, valorizzare l’esempio che egli da in campo e fuori dal campo, a prescindere dai possibili limiti fisici o caratteriali dei singoli, non farebbe altro che giovare all’immagine di uno sport originariamente nobile come il tennis.

Federico Bazan © produzione riservata

La scelta durante il sorteggio è indicativa

  Sorteggio stabilito da Cedric Mourier prima dell’inizio di un incontro tra Robin Soderling e Ryan Harrison

Prima di iniziare un match è necessario stabilire, tramite il sorteggio, chi, tra i due giocatori (o quattro nel caso del doppio), andrà a servire o rispondere. Le scelte possibili per colui che vince il sorteggio sono: servire, rispondere, scegliere una parte del campo (cedendo in questo modo il servizio) oppure lasciar decidere all’avversario.

La decisione presa da uno dei due giocatori suggerisce all’altro alcuni elementi del proprio gioco da non sottovalutare; non svela interamente che tipo di giocatore ha di fronte, ma può fornire indizi preziosi riguardo ai pregi e alle lacune del suo bagaglio tecnico, in fase di battuta e di risposta.

Se un giocatore decide di ricevere, probabilmente, è perchè ha una scarsa padronanza al servizio o semplicemente perchè si sente più sicuro in risposta.
Iniziare un match concedendo all’avversario l’opportunità di servire non è necessariamente uno svantaggio, anche se, in uno sport come il tennis, prevale sempre il giocatore che riesce a tenere il servizio con più facilità e un numero di volte maggiore rispetto all’altro.
Per questo motivo, iniziare un match in risposta può comportare una situazione di punteggio sfavorevole, a maggior ragione se l’altro giocatore ha nel servizio la chiave di volta del suo gioco.

Pur godendo di un’ottima risposta, nel tennis è necessario che un buon ribattitore sia anche in grado di confermare i propri turni di battuta per poter prendere il largo nel set ed, eventualmente, nell’incontro stesso.

Al contrario, decidere di iniziare un match, battendo per primo, da l’idea all’avversario di una maggiore consapevolezza nei propri mezzi.
Il tennis è uno sport, specie se praticato a certi livelli, che dipende fortemente dal rendimento al servizio.
Una prima palla consistente fa sempre la differenza, a qualsiasi livello di gioco, in quanto può rivelarsi un colpo vincente o comunque un buon presupposto con il quale costruirsi il punto e, di conseguenza, poter attaccare la profondità e gli angoli.
Anche la seconda palla, sebbene sia più difficile da giocare con la stessa velocità della prima, può dar fastidio all’avversario se servita al corpo, con molto giro, o carica di spin.

Spesso quando un giocatore non è al 100% della condizione fisica ed è limitato nel gioco da fondo campo, il suo tennis si aggrappa molto, se non esclusivamente, al servizio. Se serve bene, gli possono anche bastare due colpi per aggiudicarsi un punto. Ciò accade soprattutto nel circuito ATP, in particolare sulle superfici veloci e con giocatori provvisti di grandi accelerazioni (ad esempio Raonic, Isner, Del Potro ecc.) che non hanno bisogno di scambi prolungati per vincere il punto. E’ sufficiente per loro tenere alta la percentuale sulla prima palla di servizio, tirando delle autentiche sassate, ed il gioco è fatto.

Nel tennis, a meno che non vi siano grandi squilibri tra i giocatori presenti sul rettangolo di gioco, è difficile azzardare pronostici; qualsiasi partita si scopre vivendola sul campo.
E’ bene comunque tenere a mente quale sarà la scelta dell’avversario durante il sorteggio per capire sin dall’inizio le sue preferenze e, di conseguenza, i suoi limiti tecnici. 

Federico Bazan © produzione riservata

Il binomio campione – ex campione

                                             Edberg – Federer, una sintonia tra due raffinatezze del tennis

Negli ultimi tempi, specialmente nel circuito maschile, va di moda che i grandi campioni del momento scelgano come allenatori le leggende del passato. Federer-Edberg, Djokovic-Becker, Murray-Mauresmo, Cilic-Ivanisevic, Raonic-Ljubicic, Nishikori-Chang, Gasquet-Bruguera formano degli accoppiamenti che evocano un fascino del tutto singolare per chi ammira il tennis da fuori dal campo, dei connubi che uniscono campioni ed ex campioni in uno specchio di somiglianze incredibili; basti pensare alla potenza del servizio di Ivanisevic, non dissimile da quella di Cilic; alla rapidità nello scatto e alle rotazioni in top spin di Chang, caratteristiche riscontrabili anche nel suo allievo, Kei Nishikori; all’abilità di Edberg nelle discese a rete, nelle giocate di fino e nel rovescio ad una mano, doti presenti tanto nelle corde dell’ex giocatore svedese quanto in quelle di Federer.

Il campione elvetico ha dichiarato di aver scelto Stefan Edberg come coach perchè era il suo idolo da bambino; un giocatore del quale apprezzava lo stile, le discese a rete, l’eleganza e il modo composto di stare in campo. E Roger, al giorno d’oggi, ha tutti questi grandi pregi.

Il lavoro svolto con Edberg ha aiutato Federer nell’essere più propositivo, nel cercare di perdere meno campo durante gli scambi da fondo ed optare per un gioco prevalentemente offensivo. Infatti, al giorno d’oggi il campione elvetico si presenta a rete molto più frequentemente, rispetto agli anni passati, seguendo proprio le gesta del tennis di Edberg.
I serve & volley dello svizzero sono un’arma sulla quale Federer fa affidamento, anche nei momenti delicati di un incontro, ad esempio ai vantaggi, il momento topico del game per eccellenza nel quale un qualsiasi altro giocatore che non sia Federer rimarrebbe a scambiare da fondo campo; Federer si avventa a rete con coraggio ed è raro vederlo sbagliare.
Lo svizzero risparmia in questo modo energia fisica e mentale, in quanto tende ad abbreviare gli scambi da fondo guadagnando la via della rete e concludendo il punto al volo. E contro giocatori come Djokovic, Murray, Ferrer non può che tornargli utile considerando la grande solidità nel palleggio da fondo campo di questi ultimi.

Malgrado l’avanzare dell’età, Federer non sembra aver perso lo smalto che da sempre lo ha caratterizzato. Anzi, grazie a questa preziosissima collaborazione con Edberg, lo svizzero ha aggiunto dei tasselli importanti nell’approccio alla partita. Lo confermano i titoli conquistati da Roger nel 2014, stagione nella quale è nato questo binomio indissolubile tra i due.
L’anno prima, nel 2013, quando ancora Federer si allenava con Paul Annacone, il giocatore elvetico conobbe un momento critico della sua carriera. In tutto l’anno, a parte il trionfo nel torneo di Halle, lo svizzero non fu più in grado di trovare la giusta continuità.

Poi però, da quando Edberg è entrato a far parte del team di Federer, per lo svizzero sono cambiate tante cose; lo dimostra il fatto che il sette volte campione di Wimbledon è riuscito ad imporsi nei tornei di Dubai (per due volte consecutive), Halle, Cincinnati, Shanghai, Basilea e Brisbane. E, tra le altre cose, è arrivato in finale a Wimbledon perdendo da Djokovic in 5 set.

Quello di Federer non è l’unico caso. Come lui anche suoi altri colleghi, tra cui Novak Djokovic ed Andy Murray hanno trovato un punto di riferimento importantissimo nella figura del mental coach.
Boris Becker ha rilasciato, in un’intervista all’ATP World Tour, i motivi per i quali lui e Novak Djokovic condividono la stessa mentalità in ogni torneo. La leggenda del tennis tedesco ha affermato che personalità come Edberg, Chang, Ivanisevic ed egli stesso siano in grado di capire a fondo l’emotività di un professionista di quell’età in quanto, avendo giocato partite nei tornei del Grande Slam in passato, sanno come ci si deve comportare sul campo.
I preziosi consigli di Becker hanno confermato, fino ad ora, prestazioni eccelse di Djokovic, il quale rimane saldo al primo posto della race.

                                       Amèlie Mauresmo: un punto di riferimento per Andy Murray

Andy Murray è l’unica eccezione, per usare un eufemismo. Lo scozzese ha scelto come collaboratrice, contrariamente agli altri suoi colleghi del circuito, l’ex campionessa francese, Amélie Mauresmo.
Intervistato ai microfoni da Jim Courier agli Australian Open, Murray ha dichiarato: “La gente critica il fatto che io lavori con lei; penso che finora abbiamo dimostrato che anche le donne possano essere delle buonissime allenatrici. Madison Keys è arrivata in semifinale al fianco di Lindsay Davenport quindi non vedo per quale motivo non ci si debba allenare con loro”.
Nessuno avrebbe minimamente immaginato che Murray andasse a scegliere come coach proprio Amèlie Mauresmo, eppure, a detta del campione scozzese, lei rappresenta una svolta rigenerativa del suo tennis.

Gli esempi possibili di rapporti che si instaurano tra ex giocatori e professionisti attuali sono molteplici, di collaborazioni andate in porto e che continuano a dare i frutti nel tempo. Fino a questo momento gli ex campioni del passato, donne (ad esempio la Davenport e la Mauresmo) e uomini (Edberg, Becker, Ivanisevic ecc.), sono la conferma di quanto sia importante per un giocatore o per una giocatrice di 25-30 anni, avere al proprio fianco un punto di riferimento per la crescita tecnica e mentale.
I progressi si vedono con il duro lavoro, è vero, ma sempre se questo è coordinato dalle persone giuste.

Federico Bazan © produzione riservata

Sara Errani, uno dei più grandi esempi di determinazione nello sport

Nel tennis odierno la preparazione atletica e mentale, il fisico e l’interpretazione della partita hanno un impatto notevole sulle giocatrici e sul loro rendimento. La gran parte delle tenniste del circuito WTA, oltre ad essere ben impostate tecnicamente e fisicamente, hanno la capacità di accelerare la palla con maggiore velocità rispetto alle professioniste del passato. Solo per fare alcuni nomi: Serena Williams, Maria Sharapova, Ana Ivanovic, Petra Kvitova, Ekaterina Makarova, Camila Giorgi e tantissime altre spingono la palla con una facilità impressionante.
Colpi tesi, rapidi e penetranti come possono essere il dritto della Ivanovic o della Kvitova, il rovescio della Sharapova e la prima di servizio della Williams, rendono queste giocatrici le migliori al mondo.

Il tennis non ha sempre e solo le stesse protagoniste. Ci sono alcune eccezioni di merito, come la nostra Sara Errani.
La romagnola, oltre ad essere una giocatrice che si differenzia sia nel fisico che nel gioco dalla maggior parte delle sue colleghe del circuito, rappresenta uno dei più grandi esempi di determinazione nel tennis e non solo.
La Errani, è vero, non avrà la potenza nel braccio pari a quella di una Williams, di una Sharapova o di una Kvitova, ma è sempre lì a battagliare sul campo palla dopo palla, punto dopo punto.
La capacità difensiva, la regolarità e la solidità sono alcuni dei pregi più grandi della romagnola ma non solo… anche la varietà di gioco. Sara ha nelle corde diverse soluzioni: la palla corta, il lob, il passante, la volèe. E, per fare queste cose, i 164 cm di altezza della Errani non contano. Contano la tecnica, la sensibilità nella mano, l’intelligenza tattica.
Martina Navratilova si pronunciò in merito al tennis della Errani, elogiandola per le sue qualità tecnico-tattiche: “Lei colpisce tutti i colpi come si deve. Sara Errani ha una grande selezione di colpi. Dentro di sé, elabora molto bene il gioco”.

Nel tennis moderno la mole e l’altezza risultano parte integrante dello sviluppo completo di una giocatrice ma non sono tutto. Ci sono giocatrici relativamente alte che servono bene come la Kvitova e le sorelle Williams così come alcune che non hanno nel servizio il loro cavallo di battaglia, ad esempio la Ivanovic e la Sharapova, decisamente più efficaci con le accelerazioni da fondo campo anzichè con il servizio.
Allo stesso modo, ci sono giocatrici più basse di statura come la Halep, la Suarez Navarro, la Cibulkova che, comunque, servono una prima palla consistente e da fondo campo sono molto competitive, come del resto anche le nostre tenniste: Errani, Vinci, Giorgi e Pennetta.

La Errani mantiene il primato in coppia con Roberta Vinci in doppio, con la quale è stabile alla prima posizione del ranking WTA da più di un anno e con la quale ha vinto ben 5 edizioni del Grande Slam (due Australian Open, un Roland Garros, un Wimbledon e uno Us Open).
In singolare è stata una top ten per tanto tempo; ha sfiorato il sogno di vincere il Roland Garros, negatogli da una Sharapova inarrestabile, a dimostrazione di quanto il cuore, la voglia di crederci e la capacità di rovesciare le aspettative, siano più importanti di una prima palla di servizio.

La Errani ha un grande spirito di sacrificio. Quando le avversarie metteno i piedi dentro al campo per rispondere al suo servizio, Sara è sempre pronta ad inseguire la palla e a ribatterla nel campo avversario, costi quel che costi. La solidità onnipresente della romagnola costringe spesso e volentieri l’avversaria all’errore.

Sara è un grande esempio per tutti, amatori, dilettanti e professionisti perchè, malgrado tutti i limiti che una giocatrice come lei possa avere per via del fisico e della stazza, ha la dote naturale di non mollare mai. E, grazie a questo grande pregio, ha vinto tanto.

Federico Bazan © produzione riservata

Fabio Fognini: una personalità impulsiva o riflessiva?

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                                                     L’istinto ribelle di Fognini in campo

A giudicare dalle reazioni in campo, talvolta spropositate, viene da pensare che un giocatore come Fognini abbia un carattere impulsivo. Racchette a terra, urla, imprecazioni, parolacce fanno parte del suo repertorio negativo, ovvero l’atteggiamento in campo.

Ma Fabio non è solo questo. Dando, infatti, uno sguardo all’altra faccia della medaglia, ossia il lato positivo del ligure, ne troviamo un talento immenso, una capacità di accelerare la palla con assoluta no chalance, una varietà di gioco espressa attraverso un tennis da fondo campo, prevalentemente in top spin ma anche alternato a recuperi in back spin. Fognini è provvisto di una mano che gli consente di realizzare giocate di fino; ha la qualità di venire avanti a prendersi il punto con caparbietà, che sia con la volèe, lo schiaffo al volo o lo smash; disegna traiettorie cariche di spin con un dritto veloce e mascherato. Il rovescio è un colpo che ha perfezionato negli anni, più efficace, specialmente se giocato sul lungolinea. Il servizio è il suo tallone di Achille, se così si può definire.

Il Fognini del 2013 valeva potenzialmente tra i primi cinque del mondo sulla terra battuta. Vinse l’ATP 250 di Stoccarda, l’ATP 500 di Amburgo e perse in finale nell’ATP 250 di Umago nel giro di due settimane come nessun altro, ad eccezione di Juan Martin Del Potro, era riuscito a fare consecutivamente in tornei disputati uno dietro l’altro (con la differenza che l’argentino ha vinto anche il terzo). Sconfisse con una certa autorevolezza giocatori del calibro di Tommy Haas, Philipp Kohlschreiber, Tomas Berdych e Richard Gasquet, battuti tutti quanti sul rosso in un’annata pazzesca disputata da un Fognini più unico che raro.

L’anno dopo, però, il ligure ha cominciato ad assaporare l’amaro della sconfitta contro giocatori dalla classifica nettamente inferiore alla sua (tra questi Rosol, Krajinovic, Pouille, Mannarino), non riuscendo più a trovare la sua giusta dimensione, commettendo errori in partita sia tecnici che comportamentali, spesso anche evitabili.

Ma il carattere di Fognini è esclusivamente impulsivo o è anche riflessivo? L’indole emotiva rende senz’altro Fabio un istintivo per natura, almeno sul rettangolo di gioco. Se però ci soffermassimo sul suo modo di giocare, ci accorgeremmo come il ligure sia molto riflessivo in quello che fa. Il tennis di Fognini infatti, segue sempre una logica nella costruzione del punto, aldilà dell’esito finale del proprio colpo. Fabio è un giocatore dinamico, rapido negli spostamenti, dal braccio veloce… ma dal carattere ribelle. Più lo esortano a comportarsi in un modo, più tende a rimanere se stesso.

Federico Bazan © produzione riservata

I motivi che spingono un giocatore a rifiutare la stretta di mano con l’avversario

E’ raro assistere ad un’opposizione o ad una negazione della stretta di mano da parte di un giocatore nei confronti dell’avversario, al termine di una partita.
Può capitare, talvolta, che tra i due tennisti in campo ci siano scintille di avversione sfociate magari in situazioni precedenti al match disputato in quell’occasione oppure dei comportamenti giudicati antisportivi durante la partita che inducono uno dei due o entrambi ad ignorarsi e a non stringersi la mano.
Nel circuito ATP svariati sono stati i casi verificatisi e ognuno con trame differenti. Tra questi ce ne sono due particolarmente noti agli spettatori e agli amanti del tennis:

  • Il primo accadde nella semifinale del torneo di Valencia nel 2006 tra Marat Safin e Nicolas Almagro. Il russo non era al 100% della condizione fisica per via di un dolore alla caviglia, problema che peraltro ha tormentato Safin più volte e a più riprese durante la sua carriera; malgrado le condizioni fisiche non eccellenti, l’ex numero 1 del mondo accettò ugualmente di giocare quella partita.
    Un giovanissimo Almagro arrivò, per la sua prima volta in carriera, in una semifinale di un torneo del circuito maggiore giocando in casa e nel quale eliminò, tra gli altri, Juan Carlos Ferrero, anch’egli, come Safin, ex numero 1 del mondo.
    Lo spagnolo durante il match esultò diverse volte sugli errori gratuiti dell’avversario pur essendo a conoscenza del problema alla caviglia del russo. Safin, al termine del match, rifiutò di stringere la mano ad Almagro per questo atteggiamento e si diresse a testa bassa verso gli spogliatoi accompagnato dai prorompenti fischi del pubblico di Valencia.
  • Il secondo caso risale al quarto turno degli Australian Open del 2012 che vide coinvolti da un

                  Berdych rifiuta la stretta di mano di Almagro

    lato ancora Nicolas Almagro e dall’altro il tennista ceco Tomas Berdych. Il fatto che suscitò incomprensione ed antipatia tra i due avvenne durante uno scambio in cui Berdych aveva eseguito una stop volley nei pressi della rete ed Almagro, per recuperare la palla, scattò da fondo campo verso la rete ma, nel giocare il dritto, colpì Berdych sul braccio destro, all’altezza del gomito.
    In quella circostanza Almagro si scusò andando incontro all’avversario per sincerarsi delle sue condizioni. Il ceco reputò il colpo giocato dallo spagnolo un insulto e un’offesa alla sua persona a tal punto da non stringergli la mano a fine match, nonostante peraltro l’abbia vinto e ad affermare in conferenza stampa che, secondo lui, Almagro avrebbe voluto colpirlo in faccia.
    Il tennista di Murcia replicò sostenendo che stava solo cercando di vincere il punto come poteva ed era perfettamente a conoscenza di ciò che era successo in campo, tanto che il pubblico australiano fischiò duramente la reazione di Berdych, giudicata eccessiva.

Nel primo caso, è vero che Almagro esultò sugli errori gratuiti di Safin e questo, a prescindere dal contesto, è un gesto spiacevole e anche piuttosto irritante a maggior ragione se l’avversario non è in giornata; è altrettanto vero però che Safin, malgrado il problema alla caviglia, accettò di giocare.
Una domanda sorge spontanea: “E se il russo avesse vinto la partita, avrebbe stretto la mano allo spagnolo?”.

Nel secondo caso, Almagro giocò quella palla senza pensare a dove piazzarla perchè era un colpo in recupero e in corsa, difficilmente gestibile. Berdych reagì alterandosi con un certo cinismo sostenendo la tesi secondo cui il campo è grande e un professionista sa dove indirizzare la palla.
Aldilà di ciò che è successo e di come si sono sviluppati entrambi gli episodi di mancato fairplay da parte dei giocatori coinvolti, sarebbe bello che uno sport come il tennis, che in tempi remoti vedeva i contendenti scavalcare la rete per andare a complimentarsi con l’avversario, continui sulla vecchia scia e cioè quella della sportività.

Qui di seguito, sono riportati i video della mancata stretta di mano tra i giocatori presenti in campo:


Federico Bazan © produzione riservata

Il peggior avversario del giocatore è la tensione non gestita

                                                   Il rammarico nel volto di Andy Murray

Scendere in campo e giocare una partita non è sempre cosa facile da un punto di vista emotivo perchè il nervosismo e la tensione possono farsi sentire in determinate situazioni, specie in eventi tennistici importanti.

Ci sono momenti prima o durante il match in cui è necessario fronteggiare degli stati di tensione, consci o inconsci. Una situazione delicata da affrontare, nella quale si è consapevoli dei propri ostacoli, è il tie-break, ad esempio.
Nel tie-break perdere il servizio o vanificare eventuali occasioni offerte dall’avversario possono costare caro in quanto la posta in palio è un set (e non è poco…) ed il punteggio di quel parziale è fondamentale per l’economia del match.
In altre parole, è il tie-break a decretare se sarà uno dei due giocatori a perdere il set o l’incontro. E’ proprio per questo motivo che bisogna fare quello sforzo emotivo in più per provare a vincerlo. A differenza dei set che hanno una storia a sè in quanto si possono sempre capovolgere in proprio favore anche se si è sotto nel punteggio, nel tie-break il contesto è diverso. E’ il momento topico per eccellenza nel quale non ci sono molte alternative se non vincerlo o perderlo per cercare di confermare il set in proprio favore.

Un’altra situazione potenzialmente delicata è rappresentata da un punto importante che potrebbe far pendere l’andamento del match in favore di uno dei due giocatori; ad esempio, una palla break in situazione di parità è fondamentale tanto per il giocatore al servizio quanto per quello in risposta ed è motivo di maggiore concentrazione per entrambi; è il momento di cogliere l’attimo perchè si è consapevoli che, qualora il giocatore in risposta strappi il servizio all’avversario, andrebbe a servire per prendere il largo nel set o addirittura nel match (aspetto positivo);
nel caso in cui, però, egli non riesca a sfruttare il vantaggio o la palla break, rischierebbe di vanificare tutto allungando, così, la partita (aspetto negativo).

Prolungare la partita (non riuscire a vincerla malgrado il vantaggio) è un aspetto negativo nel gioco del tennis perchè sfavorisce il giocatore che ha avuto le chance di vincere il set, se non addirittura l’incontro ma che, a suo malgrado, non è riuscito a sfruttare. E’ una questione mentale, quasi come se si trattasse di un contraccolpo subito dal rientro in carreggiata da parte dell’avversario.

Nel tennis, non esser in grado di chiudere una partita alla propria portata, vuoi per calo fisiologico, vuoi per mancanza di grinta e concentrazione, vuol dire rimetterla in discussione e spesso può comportare una sconfitta cocente. E’ come una trappola, un blocco che cresce in proporzione agli errori commessi e, parallelamente, ai punti dell’avversario, il quale, a sua volta, acquista fiducia e rientra in partita.

Durante un incontro capita che, all’improvviso, si incappi ripetutamente nell’errore o si commettano ingenuità che in precedenza non si sarebbero mai compiute, i cosiddetti “blackout”.
Lo sport con la racchetta, da questo punto di vista, può essere molto crudele perchè quando si pensa di avere in pugno l’incontro solo perchè si è avanti nel punteggio, si possono vanificare tutti gli sforzi prodotti fino a perdere la partita, a causa di una mancanza di concentrazione, anche momentanea.

Oltre ai cali di concentrazione che si verificano, in particolar modo, nella psiche dei giocatori discontinui, le variabili a sfavore che subentrano sono molteplici: innanzitutto, la sopravvalutazione e la sottovalutazione dell’avversario.
Nel tennis, come in qualsiasi altro sport, non esiste errore più grave che partire prevenuti sulle condizioni di gioco, sulla superficie e sull’avversario.

Sopravvalutare l’avversario comporta maggiore insicurezza, un tennis difensivo, più remissivo. Si ha paura di affrontarlo per delle doti che pensiamo egli abbia ma che in realtà non ha o che comunque sono vulnerabili; sottovalutarlo, al contrario, vuol dire giocare con la presunzione di vincere, difetto che accomuna i giocatori che credono eccessivamente in loro stessi senza rendersi conto che hanno qualcuno da battere di fronte a sè.

Altre variabili che incidono negativamente sul rendimento sono la stanchezza fisica e mentale.
La stanchezza può essere causata dalle ore di sonno arretrate, da un’alimentazione scorretta o insufficiente, da quanto si è allenati, dal numero di partite giocate prima di scendere in campo. Sono tutti una serie di fattori che hanno un impatto notevole se non decisivo sul rendimento dell’atleta.

Tra gli ultimi fattori, non tra i meno importanti, c’è il “braccino”, un difetto piuttosto diffuso che accomuna i giocatori inesperti e poco allenati. Avere paura di osare nei momenti in cui è necessario, può determinare in un’altra direzione l’andamento dell’incontro.
La differenza tra un giocatore inesperto e uno esperto risiede proprio nella capacità di gestire i momenti chiave di una partita, osare nei momenti giusti ed essere più conservativi in altri.

A differenza dei giocatori mediocri, infatti, i campioni trasformano il negativo in positivo, non si lasciano impensierire dai dettagli, nè tantomeno da eventuali scuse (come può essere il vento, la palla non chiamata, il pubblico rumoroso ecc.) ma lottano game dopo game, punto dopo punto.
Al campione non basta vincere partite su partite e collezionare trofei; egli deve essere sempre pronto e disposto a contrastare efficacemente tutte le difficoltà che la vita pone davanti a sè: i giudizi, gli insulti, le critiche della gente, i cambi di allenatore, gli infortuni, le insicurezze.

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                                 Djokovic rompe in due la racchetta per il nervosismo

In merito alla componente psicologica nel tennis, numerose sono le citazioni dei grandi di questo sport:
“Il tennis è complicato, imprevedibile, magari piove e ti rimandano il match. Non è solo correre e colpire. È strategia, testa. E non c’è droga per migliorare l’intelligenza” (Boris Becker) ;
“Il 1989, dal momento in cui ho vinto il Roland Garros, è stato l’anno più duro della mia vita. Ho scoperto che vincere nel tennis non porta gioia, porta pressione” (Michael Chang) ;
“Nel tennis ti trovi mille volte indietro, 5-4, 6-5, ma devi lottare, diventare ancor più aggressivo, non avere paura” (Rafael Nadal) ;
“Il tennis è mentale per il 50%, fisico per il 45% e tennistico per il 5%” (Juan Carlos Ferrero) ;
“Il tennis non è solo una questione fisica, sono due cervelli che si scontrano” (Marat Safin).
Uno dei due cervelli rappresenta la parte razionale mentre l’altra è rappresentata dalla parte emotiva. Allenare e migliorarsi su entrambi i “cervelli” non può che giovare al giocatore in quanto se la parte emotiva prevalesse su quella razionale e cioè se l’ansia dominasse lo scenario, diventerebbe stressante, frustrante e di conseguenza impossibile giocare; al contrario, se quella razionale prevaricasse quella emotiva, probabilmente non saremmo essere umani con i nostri pregi e difetti ma solo macchine da scontro.
Imparare a gestire l’ansia prima o durante una partita è possibile. Se ciò verrà appreso ed applicato, la tensione diminuirà fino a scomparire e contemporaneamente le performance miglioreranno.

                                                                                                                                                                                          Federico Bazan © produzione riservata

David Ferrer, grande esempio di professionalità

David Ferrer, attuale numero 3 del mondo nel ranking Atp, ha deciso quest’anno di partecipare al torneo 250 di Stoccolma che come da tradizione si disputa nel mese di ottobre nella Stockolm Open Arena parallelamente ai tornei su cemento indoor di Vienna e di Mosca. Lo spagnolo, testa di serie numero 1 del tabellone, ha usufruito di un bye al primo turno, ha sconfitto in tre set l’americano Jack Sock al secondo, ha superato il connazionale Fernando Verdasco nei quarti a causa di un ritiro di quest’ultimo ed, infine, ha estromesso quest’oggi il talento lettone Ernest Gulbis al terzo set. Domani Ferrer affronterà il vincente tra Grigor Dimitrov ed un sorprendente Benoit Paire che ha regolato in due set la testa di serie numero 2 Milos Raonic nei quarti.
Il giocatore iberico sembra intenzionato a continuare imperterrito la sua lunga striscia positiva di risultati che l’hanno visto protagonista in un brillante 2013 in termini di classifica e di punteggio; inoltre i due trofei ottenuti ad Auckland e a Buenos Aires ad inizio stagione possono rappresentare una motivazione ulteriore per lo spagnolo visto che l’anno prima era riuscito a vincere 7 tornei e ad eguagliare così il record di bottini in una stagione. Chissà se potrà ripetersi anche quest’anno vincendo magari qualche altro torneo 250…
Ferrer ha tutti i requisiti per restare a lungo tra i primi 10 del mondo perchè è un giocatore che macina vittorie, merito di una forma e di una costanza impeccabili, e vanta tanti titoli in attivo (attualmente 20 nella sua carriera).

                                               La trance agonistica di Ferrer

Aldilà dei risultati, ciò che colpisce dello spagnolo è la determinazione inarrestabile che lo aiuta a vincere. Nella semifinale di oggi contro Gulbis, nonostante dominasse per 5-0 il terzo set, Ferrer è sempre rimasto proiettato nel match e ha mantenuto il suo atteggiamento combattivo senza mai concedersi cali di concentrazione. Ha lottato punto dopo punto, ha ribattuto ogni palla fino alla fine e, anzichè giocare con più scioltezza e rilassatezza l’ultimo game che lo vedeva nettamente avanti per 5-1, ha continuato a dare il meglio di sè come se quel 5-1 potesse essere recuperato dall’avversario.
Insomma, David Ferrer rappresenta un grande esempio di professionalità, un tennista che non molla mai malgrado le situazioni che lo vedono in netto vantaggio o svantaggio nello score, un giocatore che merita di rimanere per anni tra i primi 10 del mondo non solo considerati i risultati eccellenti ma soprattutto grazie ad un carattere che lascia trasparire elementi positivi come la determinazione, la forza di volontà, la sopportazione alla fatica e la predisposizione al sacrificio, tipici di un combattente come lo spagnolo.

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Il maestro come punto di riferimento essenziale per la crescita ed il successo del giocatore

In ogni disciplina sportiva la figura professionale del maestro o dell’allenatore è indispensabile per l’impostazione di base, l’allenamento, la crescita ed infine, se raggiungibile, l’affermazione del giocatore. Il maestro ha diverse funzioni che sono necessarie ai fini dell’apprendimento e della pratica dello sport per il quale il giocatore decide di dedicarsi con voglia, passione e sacrificio.
Queste funzioni riservate all’allenatore possono essere racchiuse in un grande calderone nel quale, in primis, vi è un programma basato sui rudimenti di ogni disciplina sportiva.
Prendiamo ad esempio il tennis: la prima volta che metti piede su un campo da gioco l’allenatore dovrebbe insegnarti l’impugnatura, la posizione di attesa, la distanza corretta dei piedi sulla palla, il necessario piegamento delle gambe con conseguente scarico del peso del corpo sulla palla, l’apertura e il portamento del colpo. Una volta acquisite queste nozioni e messe in pratica a metà campo, ci si sposta a fondo campo cercando di applicare, quanto appreso a metà campo, aperture più ampie, spostamenti e forza di braccio maggiori. La tecnica è necessaria per imparare a giocare ed infatti è la prima fase di apprendimento che prevede una linea teorica (la spiegazione) ed, allo stesso tempo, una linea pratica (la dimostrazione sul campo).
Un’altra fase che va di pari passo alla tecnica, nonchè compito dell’allenatore che deve avere la capacità di trasmettere al proprio allievo, è l’atletica; essa si occupa di curare ed incentivare elementi fondamentali in uno sport anaerobico come il tennis, vale a dire: lo spostamento, lo scatto, la corsa di resistenza e lo stretching. Se mancano questi elementi ossia, in una parola sola, l’allenamento, non si può pretendere tanto perchè avere un buon braccio e una buona tecnica non sono sufficienti a compensare un rendimento ottimale. I tempi di recupero sono indispensabili; molti giocatori se affaticati, a fine partita, in tornei lunghi e stressanti, applicano delle borse di ghiaccio sulle articolazioni per evitare possibili infiammazioni e, in particolare, fastidiose tendiniti. Lo stesso Rafa Nadal cura moltissimo il proprio fisico facendo esercizi a corpo libero o con pesi ed elastici che mirano a potenziare la flessibilità e la tonicità del muscolo interessato. Questi sono solo alcuni esempi per farvi capire come sia importante per tennisti di medio e alto livello godere di una condizione fisica eccellente.
La seconda fase che interessa più da vicino il giocatore una volta posseduti i mezzi (la tecnica), è il fine (la tattica). Sapere dove indirizzare la palla, sfruttare la propria intelligenza per contrastare l’avversario, utilizzare schemi tattici per comandare lo scambio (ad esempio il serve and volley, il dritto a sventaglio, il cross, la palla corta e il lob, il back di rovescio e successivo attacco a rete ecc.) si imparano giocando, facendo tornei, insomma… vivendo il tennis a 360 gradi.

                         Rafa Nadal e Toni Nadal: un binomio vincente

La terza funzione dell’allenatore, non certamente la meno importante dopo quelle elencate, è il rapporto umano che si instaura tra lui e il giocatore. Anzi, è proprio questo aspetto che nel tennis, così come nello sport in generale, fa la differenza.
Quanto può essere importante per un giocatore, intenzionato a migliorare, avere con sè una persona che ricambi lo stesso sacrificio, la stessa fatica e che sia intenzionata a motivare tecnicamente ed emotivamente il proprio allievo? Tantissimo.
Quanti giocatori hanno cambiato il proprio allenatore cercando di trovare la strada giusta e poi ci sono riusciti? Ad esempio Fabio Fognini, una volta cambiato il proprio allenatore, ha vinto due tornei nel giro di due settimane ed è arrivato in finale la terza settimana. Con gli altri non è riuscito mai ad imporsi in alcun torneo a livello Atp.
Quanti altri sono rimasti sempre con lo stesso? E’ il caso del campione spagnolo Rafa Nadal. Si allena da sempre con Toni Nadal, lo zio. Grazie a questa preziosa collaborazione con il suo maestro, Nadal è riuscito ad imporsi come tennista a livello mondiale e, ad oggi, risulta il più forte di tutti i tempi sulla terra battuta.

Non esiste una soluzione unica che possa andare bene per tutti, i casi sono tanti e le situazioni sono differenti ma certamente l’allenatore rappresenta una chiave di volta, un punto di riferimento, il miglior motivatore che possa esistere per un giocatore. Capire le difficoltà, i limiti e al tempo stesso le intenzioni e le emozioni del proprio giocatore è compito arduo ma possibile. Se l’allenatore sarà in grado di fare questo e dall’altro lato ci sarà un giocatore con delle qualità, allora il binomio allenatore-giocatore sarà vincente.

Federico Bazan © produzione riservata