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Il ritiro a sorpresa di Ana Ivanovic dal circuito WTA

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La provenienza della tennista serba, Ana Ivanovic, contrariamente a quella della maggior parte delle giocatrici di alto livello, ha origine in un contesto geopolitico ed economico particolare, legato alla scissione della ex Jugoslavia in Serbia, Montenegro e Bosnia Erzegovina; scissione scoppiata in conflitti armati e conseguenti stragi civili ed urbane. La Ivanovic è infatti nata e cresciuta nella Belgrado degli anni ’90, in un clima incessante di bombardamenti, durante le guerre di secessione jugoslave tra Serbia e Bosnia Erzegovina, Stati separatisi per la conquista dell’indipendenza dalla ex Repubblica Socialista Federale Jugoslava. Anni difficili, come ha sottolineato la stessa tennista serba, a causa delle continue distruzioni e macerie, della mancanza di strutture adeguate alla pratica sportiva in quei territori ed ai pochi investimenti da parte delle Federazioni a garantire un supporto economico ai giovani talenti emergenti.
Quella della Ivanovic, dunque, è all’origine una storia travagliata, senza esclusione di retroscena, che si è poi magicamente convertita in una carriera di splendidi successi. La serba, seppur con non poche difficoltà legate all’infanzia vissuta, iniziò a giocare a tennis all’età di 5 anni seguendo le orme di Monica Seles, suo grande idolo tennistico, nei campetti da tennis della Belgrado di quegli anni. Da lì sarebbe uscito fuori tutto il carattere della Ivanovic che non passava mai inosservato nelle competizioni a livello junior. Già nel 2004, infatti, raggiunse la finale juniores di Wimbledon e cominciò a dare del filo da torcere alle grandi del circuito WTA. Pochi anni dopo, giunse l’apice della sua carriera: tre finali Slam raggiunte nel giro di due anni, di cui due perse e una vinta, all’età di 20 anni.
Nel 2007 la serba arrivò in finale per la prima volta al Roland Garros perdendo da Justine Henin e l’anno dopo, curiosamente, fece lo stesso riuscendo però a vincerla contro Dinara Safina e diventando così una delle più giovani numero 1 del circuito femminile.
Una carriera quella della Ivanovic, costellata dai tanti trionfi ma anche dagli innumerevoli infortuni e problemi emotivi che ne hanno precluso maggiori soddisfazioni a livello WTA. Soddisfazioni che comunque sono arrivate se oltre al Roland Garros, si contano anche le vittorie della Rogers Cup di Montréal, del torneo di Indian Wells, e le 17 partite vinte in Fed Cup, su un totale di 24 giocate.
Sotto il profilo tecnico, il tennis della Ivanovic risultava molto incisivo con i colpi da fondo campo: un dritto profondo, penetrante, giocato con una spinta eccellente del piattocorde sulla palla che rasentava spesso la rete e un rovescio arrotato, a tenere lo scambio. Non male anche con il gioco di fino: la serba giocava, a volte, pregevoli palle corte e back di rovescio velenosi che mandavano fuori palla le avversarie.
L’indole della Ivanovic era quella di un’attaccante pura ed, infatti, prediligeva il cemento, superficie sulla quale ha vinto di più per il tipo di gioco aggressivo; oltre a questo, sono da ricordare anche alcune grandi prestazioni, disputate e vinte dalla serba sulla terra battuta a Parigi, a Roma e a Stoccarda.

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Il ritiro di Ana Ivanovic pone fine dunque ad un altro capitolo del tennis femminile, in quanto, con il suo addio al tennis giocato, se ne va via un altro pezzo importante del circuito WTA, in grado di competere con decadi di giocatrici (dalla Hingis, alla Henin, passando per Williams, Sharapova, Wozniacki, arrivando a Halep e Bouchard). Un ritiro tutto sommato inaspettato se si pensa all’età di 29 anni della Ivanovic e all’eventuale possibilità di tornare ai vertici per le straordinarie qualità espresse negli anni. Ivanovic, però, a suo dire, è convinta di aver dato il massimo e di non poter più tornare ai livelli espressi negli anni migliori della sua carriera: 2007, 2008 e 2014.

Quello che probabilmente mancherà di più agli appassionati della tennista serba è la bellezza del suo gioco, del suo modo di stare in campo. Era infatti considerata una delle giocatrici più sensuali del circuito, gentile e sportiva anche con le sue colleghe.
La Ivanovic ha annunciato che, dopo il tennis, continuerà ad occuparsi della famiglia e delle sue attività principali: la moda, l’educazione ad uno stile di vita sano e l’aiuto verso i bambini bisognosi, in qualità di ambasciatrice dell’Unicef.

Federico Bazan © produzione riservata

Vinci, Errani e Schiavone fanno il tris

Difficile che capitino insieme ma, a volte, le prodezze sportive arrivano una dietro l’altra. Ebbene, l’Italia del tennis femminile porta a casa tre successi consecutivi firmati Roberta Vinci, Sara Errani e Francesca Schiavone, la triade vincente del tennis italiano che continua a far sognare ad occhi aperti gli appassionati. Prima il trionfo della Vinci a San Pietroburgo, torneo Premier, il decimo nella carriera della tarantina; poi la vittoria di Sara Errani a Dubai, altro Premier, nono sigillo per la romagnola. Infine il ritorno della leonessa d’Italia, Francesca Schiavone, che sorprende tutti a Rio De Janeiro conquistando il suo settimo titolo in carriera a distanza di tre anni dalla sua ultima apparizione in una finale di un torneo WTA.

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                Roberta Vinci con la coppa del torneo di San Pietroburgo

Alla vigilia, nessuno si sarebbe aspettato prestazioni così convincenti da parte delle tenniste azzurre: Roberta Vinci, dopo l’impresa gloriosa in quel di New York, ha recentemente annunciato che questa sarebbe stata la sua ultima annata da tennista professionista nel tour. La tarantina aveva infatti rilasciato, in alcune interviste, come il tennis stesse diventando per lei monotono, non più un divertimento. Sembrava che Roberta, dopo quel traguardo inedito conseguito sui campi di Flushing Meadows, avesse perso la voglia di continuare a competere ad alti livelli.
Vinci che, dopo l’affermazione nel torneo di San Pietroburgo, durante il giorno del suo 33esimo compleanno, ha visto due volte scalfito il numero 10 al computer: diventa per la prima volta top ten, piazzandosi proprio al decimo posto della race e, con la vittoria su Belinda Bencic nella finale del torneo russo, arriva a quota dieci titoli WTA.
La campionessa pugliese si è imposta su Belinda Bencic, giocatrice svizzera, giovane promessa per l’avvenire del tennis mondiale che, all’età di 18 anni, è già tra le prime dieci del mondo; in questo caso, tra la freschezza e l’esperienza, ha prevalso l’esperienza di Roberta Vinci che ha ostacolato efficacemente il gioco della Bencic con le sue variazioni e con una grande resa al servizio. Gioco della Vinci che risulta comunque fastidioso per le giocatrici cui piace giocare di ritmo e in modo monotematico. La Bencic ha dimostrato un talento da vendere anche se è ancora troppo acerba per competere con tenniste esperte del calibro della Vinci che sanno variare il ritmo degli scambi e conoscono soluzioni tattiche diverse dalle tante giocatrici odierne, impostate su potenza, spinta e fisicità.

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                   Sara Errani bacia il trofeo del torneo Premier di Dubai

Analogamente, Sara Errani, storica compagna di doppio della Vinci, che ha vissuto un inizio di 2016 non particolarmente brillante, ha dichiarato come facesse fatica a gestire la tensione; fatto piuttosto paradossale se pensiamo con quanta autorevolezza abbia liquidato le sue avversarie nel corso del torneo di Dubai (tra l’altro il primo torneo Premier vinto dalla Errani su cemento indoor). Errani che continua comunque ad impreziosire il pubblico con le sue giocate, malgrado le difficoltà patite nell’ultimo periodo.

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La gioia di Francesca Schiavone dopo tre anni dalla sua ultima vittoria in una finale WTA

Stavolta è però Francesca Schiavone la sorpresa più grande: la leonessa d’Italia è tornata a ruggire sulla terra battuta dopo tre anni dalla sua ultima finale disputata. Quasi non se ne sentiva più parlare di una giocatrice che comunque, ricordiamo, ha vinto il Roland Garros nel 2010 e l’anno dopo è arrivata in finale. Ebbene, la leonessa d’Italia ha tirato fuori la grinta da situazioni di svantaggio, come successo nella finale contro la giovane americana Shelby Rogers, giocatrice insidiosa, provvista di accelerazioni notevoli da fondo campo. La Schiavone era sotto nel punteggio ma ha poi trovato la chiave dell’incontro mettendo la Rogers nelle condizioni di subire l’impeto della milanese. Schiavone che, con grinta ed esperienza, ha prevalso su un’altra giocatrice promettente ma ancora piuttosto acerba. A fine incontro, la gioia incontenibile e la commozione di Francesca durante i ringraziamenti al pubblico. Una Schiavone che non si vedeva così entusiasta dai tempi del Roland Garros, forse anche più emozionata dell’ultimo successo sulla terra parigina del Philippe Chatrier.

Il tennis italiano, dunque, almeno in campo femminile, si riscatta dopo un esordio amaro in Fed Cup a Marsiglia e dimostra di poter ancora dominare gli scenari del panorama tennistico attuale. Mentre, nel frattempo, sono in attesa di conferme le nuove generazioni che vedono una Camila Giorgi in fase di stallo e una Martina Caregaro in lenta ascesa.

Federico Bazan © produzione riservata

 

Daria Gavrilova, una grande rivelazione del circuito WTA

                                                     Daria Gavrilova, una giocatrice stravagante

Il cammino di Daria Gavrilova agli Internazionali di Roma ricorda molto da vicino i risultati in progressione di Simona Halep, archiviati dalla giocatrice rumena proprio al Foro Italico, nel 2013, partendo dal girone di qualificazioni. La Halep arrivò in semifinale, perdendo con onore dalla numero 1 del mondo Serena Williams. Quell’edizione degli Internazionali sancirono la consacrazione della tennista romena; le sarebbero bastate pochissime settimane per entrare tra le prime dieci del mondo e per competere ad armi pari con le big del tennis femminile. Attualmente è la numero 2, il che lascia presagire i grandi passi da gigante compiuti nel giro di pochi anni.


Ebbene, il copione sembra lo stesso anche per Daria Gavrilova, 21 anni, russa di nascita ma australiana di cittadinanza acquisita.

Un po’ come la Halep, di lei nessuno sapeva nulla prima degli Internazionali di Roma, fin quando, la giovanissima australiana ha messo in mostra tutte le sue qualità; qualità non solo tecniche, ma anche caratteriali.

La Gavrilova ha fatto vedere in campo una personalità niente male. Esuberante e combattiva, provenendo dalle qualificazioni del torneo capitolino, la giovane australiana ha liquidato in sequenza: Silvia Soler Espinosa, Belinda Bencic, la numero 7 del mondo Ana Ivanovic in una maratona durata quasi tre ore e conclusasi al tie-break del terzo, Timea Bacsinszky (numero 24), Christina McHale fino a raggiungere il penultimo atto del torneo, sconfitta per mano di Maria Sharapova.

La Gavrilova non è passata inosservata per il suo tennis stravagante. Giocatrice rapidissima negli spostamenti laterali, straordinaria in fase difensiva; riprende tutto, anche palle apparentemente impossibili.
Il suo tennis tende a mandare fuori palla le avversarie in quanto predilige traiettorie con varie velocità: palle arrotate, lente, alte e profonde; è una giocatrice che ama spezzare il ritmo durante lo scambio.

Il destino di questa giocatrice sembra molto simile a quello della Halep anche se, al momento, la giovanissima australiana dovrà confermare le aspettative. Quello agli Internazionali è stato un autentico exploit per la Gavrilova. Vedremo se continuerà a dare del filo da torcere alle big del circuito WTA…

Federico Bazan © produzione riservata

Andrada Surdeanu, ragazza di 16 anni picchiata in campo dal padre per una partita di tennis

                       Andrada Surdeanu, 16 anni, stella nascente del tennis rumeno

Di fronte a certi avvenimenti, come quello che vede un padre picchiare una figlia per una banalissima partita di tennis, è impossibile rimanere imparziali e far finta che non sia successo niente.

Il tennis è uno sport che può regalare tanto e chi lo pratica sa quante emozioni, positive o negative, comunica; quanti traguardi ci pone nella vita; quanta voglia di divertirsi può trasmettere alle persone, come del resto qualsiasi altro sport per il quale si è innamorati.
Fondamentalmente ci sono sue modi di approcciarsi allo sport: divertendosi senza voler raggiungere chissà quale risultato oppure giocando a livello agonistico. La competizione, a sua volta, può essere sana e costruttiva oppure patologica e distruttiva a seconda di come siamo fatti caratterialmente, qual’è il livello di importanza che diamo alle cose e alle persone, quali sono i nostri obiettivi in termini di rendimento.
Se sana e costruttiva, porterà a dei benefici come il fair play, la stima reciproca, l’apprezzamento per la partita e per il livello di gioco;
se patologica e distruttiva, la competizione può alimentare stati di tensione, dare adito a discussioni, insulti e addirittura risse, com’è successo a giocatori del circuito ATP come Daniel Koellerer, noto per essere uno dei più grandi provocatori che la storia del tennis abbia mai avuto.
Koellerer, in passato, è stato autore di vere e proprie risse che l’hanno visto stuzzicare ripetutamente gli avversari e poi, non di rado, vincere la partita dopo esser stato picchiato e quindi aver subito in proprio favore una squalifica inflitta all’avversario, per la pazienza venuta a mancare da parte di quei giocatori che non ce la facevano più a sentirlo parlare.
Di avvenimenti eclatanti ce ne sono stati svariati; tra questi, la rivalità tra Lleyton Hewitt e Guillermo Coria, sfociata in una partita di Coppa Davis e colorita di “fuck off” e pallate dirette a colpire l’avversario.

  Una ragazza indifesa di fronte alle mani di un padre, difeso dalla stessa

Considerati anche questi eventi spiacevoli che certamente ledono l’immagine di uno sport originariamente “signorile” come il tennis, sarebbe bello approcciarsi allo sport con la racchetta in maniera più educata e riservata senza eccedere nelle reazioni e senza alimentare la rabbia dell’avversario. L’educazione e il rispetto verso l’avversario è senz’altro al primo posto ma anche il divertimento, l’allegria di giocare e lo stare insieme.

Il solo pensare: “Io sto vivendo il tennis e non è il tennis che vive di me ed è dentro di me” è la filosofia migliore per intendere uno sport, una passione, un gioco soprattutto.
Dall’altro lato, vivere solo di tennis e il fatto che tutto debba dipendere dal rendimento personale, è la visione eccessiva, errata.
Il tennis, specie se ad alti livelli, può essere uno sport molto generoso perchè quando si è al vertice, si ha una reputazione di un certo tipo e si è ben pagati (e non solo per i tornei, ma anche per i vari sponsor, spot e contratti) ed ecco qua che la vita diventa uno spasso. Nonostante questo, il tennis non è tutto. La famiglia, gli amori e le amicizie prima di tutto, poi viene il resto.

Il problema in questione sorge quando si da tanta, troppa importanza all’agonismo ignorando tutto ciò che è fuori dal rettangolo di gioco.
Perdere completamente il lume della ragione, per una banalissima sconfitta in una banalissima partita, non è un problema qualunque ma una questione sulla quale riflettere seriamente.
Questa è la storia che, purtroppo, ha coinvolto Andrada Surdeanu, 16 anni, futura promessa del tennis rumeno, la quale è stata schiaffeggiata brutalmente e senza pietà dal padre al termine di un incontro di un torneo in Israele. Lei si è piegata in ginocchio, perdeva sangue dal naso per la botta subita; queste le sue parole in seguito all’accaduto: “Mi sono messa in ginocchio ed ho messo le mani sulla faccia, in modo che non sarebbe stato più in grado di colpirmi. Mi è uscito sangue dal naso, ero spaventata e tremante”.

Questo racconto tocca molto nel profondo il cuore di tutti, praticanti e non. Una ragazza indifesa di fronte ad un padre spietato, una figlia che meriterebbe tutto l’amore, la comprensione del mondo e invece viene maltratta senza dignità davanti a tutti, peggio di una bestia.

Ma c’è dell’assurdo in questa storia: la Surdeanu ha giustificato l’atteggiamento del padre dicendo che ha fatto bene a punirla.
E qui non ci sto. Fossi stato nei panni di quella povera ragazza, non solo avrei cambiato coach e non gli avrei fatto vedere mai più una partita, ma probabilmente l’avrei disconosciuto come padre. Anzi, senza probabilmente.
E non c’entra niente il fatto che la Nazione in questione fosse la Romania e non magari la Germania o l’Inghilterra. Immaginate quanti altri episodi del genere, di violenza gratuita verso un figlio, si sono verificati e si verificano in qualsiasi Paese, all’ordine del giorno, in campetti insignificanti tra genitori che pretendono che i figli siano sempre i primi della classe.

E vi dirò di più. Chi crede che un episodio di violenza, di aggressione fisica e psichica di questo tipo possa essere giustificato o si possa far finta che non sia successo niente, sta commettendo un grave errore perchè un padre come Lucian Surdeanu andrebbe punito in proporzione al gesto compiuto ma soprattutto tenuto a distanza per sempre dal mondo del tennis, per la salute della figlia e di chi le vuole veramente bene.

Federico Bazan © produzione riservata

Ana Ivanovic contro Maria Sharapova: una rivalità avvincente

                                     Maria Sharapova e Ana Ivanovic

Quando Ana Ivanovic e Maria Sharapova si sfidano sul campo, lo spettacolo è senza esclusione di colpi. Essendo entrambe due combattenti nate e due giocatrici la cui concezione di gioco è “chi la dura la vince”, sia Ana che Maria esprimono tutto il proprio potenziale ogniqualvolta c’è da conquistare un punto. Tecnicamente sono due tenniste abbastanza simili: entrambe ottime incontriste e artefici di autentici colpi a fil di rete; da un lato le traiettorie tese e gli attacchi profondi con il dritto sono i marchi di fabbrica della Ivanovic e dall’altro le geometrie della Sharapova rendono la tigre siberiana particolarmente aggressiva nella costruzione dei punti. Il servizio è un fondamentale eseguito in maniera diversa dal punto di vista tattico tanto dalla serba quanto dalla russa: la Ivanovic opta spesso e volentieri per un taglio slice ad uscire da destra con lo scopo di aprirsi il campo e cercare di comandare con il dritto in side-in o in side-out mentre la Sharapova gioca la prima palla quasi sempre centrale e sul rovescio per non dare angoli e punti di riferimento all’avversaria.
Negli scontri diretti è la russa per il momento a trionfare per 8 partite vinte e 4 perse ma, aldilà degli head to head, è sempre battaglia tra le due. Nel WTA Premier di Stoccarda che si disputa ogni anno sulla terra battuta bavarese prima del Grande Slam parigino, Ivanovic e Sharapova si sono incontrate in due edizioni consecutive; sia nel 2013 che nel 2014 sono andate al terzo set: in entrambi i casi ha trionfato la Sharapova.
Nella recentissima semifinale del torneo di Cincinnati, giocatasi su cemento outdoor in preparazione agli Us Open, hanno probabilmente dato vita al match più agguerrito e spettacolare della loro lunga rivalità tennistica. La Ivanovic ha dominato il primo parziale, vinto di fatto per 6-2. Nel secondo la serba stava per ripetersi, era avanti 5-3, 30 pari e servizio quando la Sharapova, dall’orlo di un precipizio, ha messo a segno una risposta incrociata di dritto imprendibile e si è così guadagnata la palla break, poi di fatto concretizzata. La serba, in seguito alla batosta inaspettata da parte della russa, ha cominciato a vacillare: ha ceduto il servizio e ha consentito alla Sharapova di archiviare il secondo parziale per 7-5 e rientrare così in partita.

         L’esultanza finale di Ana Ivanovic rivolta al suo angolo

All’inizio del terzo parziale Ana ha accusato problemi di natura cardiaca, si è fermata improvvisamente e si è poi diretta verso la panchina tra l’apprensione del suo angolo, del pubblico di Cincinnati e tra la totale indifferenza della Sharapova che, pur di mantenere alta la concentrazione durante il match, non si è minimamente preoccupata di cosa fosse successo alla serba.
Una volta misurata la pressione arteriosa, aver ingerito una compressa ed essersi ripresa, la Ivanovic è tornata in campo più carica che mai e ha sfoderato tutto il suo agonismo e tutta la sua voglia di non mollare nemmeno un centimetro di fronte alla siberiana.
Il match ha raggiunto il suo apice nel momento in cui la Sharapova ha trovato una risposta strettissima di dritto che era quasi impossibile da gestire e la Ivanovic di solo polso ha pescato il jolly con il dritto lungolinea lasciando spiazzata l’avversaria.
La tigre siberiana, pur avendo avuto nel set decisivo l’opportunità di chiudere il match sul 5-4 e servizio in suo favore, non è riuscita a tenere la battuta dando in questo modo l’opportunità alla Ivanovic di rientrare nuovamente in partita. A quel punto Ana ne ha approfittato punendo definitivamente l’avversaria con lo score finale di 6-2, 5-7, 7-5. A fine match la gioia incontenibile della serba opposta alla delusione e alla stizza della siberiana sono state le espressioni facciali che hanno chiuso un epilogo davvero interminabile.

Federico Bazan © produzione riservata

L’ascesa di Simona Halep

                          Trofeo di Sofia conquistato da Simona Halep nel 2013

Sino alla passata stagione, poco prima della grande ascesa, quasi nessuno era a conoscenza di Simona Halep, giocatrice rumena classe 1991, fin quando la tennista di Costanza sfoggiò tutto il suo talento iniziando a collezionare vittorie partita dopo partita, torneo dopo torneo e cominciando pian piano una scalata considerevole del ranking WTA che l’ha vista di fatto affermarsi progressivamente nelle competizioni e che la vede attualmente stabile al secondo posto della classifica mondiale.
La Halep, nel Master di Roma del 2013, riuscì ad imporsi in sei incontri consecutivi eliminando, partendo peraltro dal girone di qualificazione, Alice Balducci, Daniela Hantuchova, Svetlana Kuznetsova, Agnieska Radwanska, la nostra Roberta Vinci e Jelena Jankovic prima di perdere in due set dalla vincitrice del torneo, ovvero Serena Williams; torneo nel quale la giocatrice di Costanza, da numero 64, battè ben due top 10 come la Radwanska e la Jankovic e due ex top 10, vale a dire la Hantuchova e la Kuznetsova.

                      La rumena in azione agli Internazionali Bnl di Roma

La rumena ha fatto faville tanto nel 2013 conquistando 6 titoli a livello WTA, ovvero Norimberga, S’Hertogenbosch, Budapest, New Haven, Mosca e Sofia, tanto nel 2014 aggiungendo al suo bottino di trofei Doha e Bucarest. In seguito a queste brillanti vittorie, la Halep ha dimostrato di sapersi adattare molto bene su tutte le superfici: per lei 4 tornei archiaviti sul cemento, 1 sull’ erba e 3 sulla terra battuta.
Non è un caso che il tipo di tennis della Halep sia piuttosto versatile e compatibile con tutti i campi. La rumena, infatti, è dotata di un gioco aggressivo che le permette di lavorare molto bene ai fianchi le proprie avversarie prima di colpirle a suon di accelerazioni lungolinea. Il suo colpo migliore è il rovescio, con il quale trova grande profondità di palla e con cui riesce a variare maggiormente gli angoli. Il dritto è un colpo piuttosto lavorato e che le fornisce i maggiori frutti specialmente nei cambi in lungolinea. Non ha nel servizio la sua arma migliore. Anche per via della stazza, la si vede piuttosto raramente scagliare ace ma, qualora la assista la prima palla di servizio, non riscontra grandi patemi nella costruzione dei punti.
La Halep è progredita molto negli anni tirando fuori dal cilindro capacità notevoli, tanto sotto il profilo tecnico quanto sotto quello caratteriale. Se dal 2010, anno di esordio nel circuito WTA, fino al 2012 la rumena ha sempre fatto molta fatica nel superare i primi turni di un torneo, dal 2013 ad oggi la Halep risulta una delle giocatrici più pericolose ed ostiche del circuito insieme alle big del tennis contemporaneo come Serena Williams, Maria Sharapova e Li Na.
Quest’anno ha raggiunto, per la sua prima volta in carriera, la finale di un torneo del Grande Slam, ovvero il Roland Garros perdendo, in tre parziali molto tirati, dalla russa Maria Sharapova che le ha sottratto il titolo per 6-4, 6-7- 6-4.
Considerata la giovane età, per la Halep è solo l’inizio di una lunga carriera… e che inizio!

Federico Bazan © produzione riservata

La bellezza estetica del gioco di Carla Suarez Navarro

                                    Rovescio della Navarro: eastern grip

Carla Suarez Navarro, tennista iberica classe ’88, può essere considerata una rarità in quanto è una delle pochissime giocatrici appartenenti al circuito WTA che esegue il rovescio classico ad una mano, colpo sempre più in disuso nel panorama del tennis moderno e specialmente nel circuito femminile.
Pur essendo piuttosto bassa e non avendo un fisico imponente (162 cm x 60 kg circa), la Suarez Navarro riesce a servire prime palle consistenti e a giocare traccianti incrociati e lungolinea di rovescio molto incisivi che la agevolano nell’attaccare la profondità e nel trovare il vincente. Il dritto della spagnola è carico di spin ed è meno penetrante del rovescio ma è un colpo comunque efficace poichè permette alla Navarro di giocarlo anche a sventaglio qualora si trovi a comandare lo scambio.
La bellezza estetica del suo tennis risiede nel rovescio, colpo naturale e pulito nell’esecuzione e tecnicamente molto solido; la spagnola è capace di giocarlo profondo sulla diagonale, corto ad uscire (il cosiddetto “cross stretto”) e non disdegna di cambi di direzione in lungo linea.
Lateralmente si muove molto bene ed, infatti, lei stessa definisce gli spostamenti laterali e i recuperi suoi punti di forza. Non è un caso che la tennista iberica si esprima bene anche in fase difensiva ricorrendo spesso al back con il rovescio o a recuperi in top spin.
Come tutte le giocatrici e i giocatori spagnoli, predilige la terra battuta, superficie dove s’impone con più facilità e l’unica sulla quale ha vinto, per il momento, un solo titolo WTA in carriera ovvero il torneo International di Oeiras nel quale battè in tre set la russa Svetlana Kuznetsova.
Attualmente vanta una classifica considerevole (num. 15 del ranking WTA) malgrado abbia vinto un solo torneo; questo perchè ha un bilancio di vittorie positivo che corrisponde circa al 60% e poichè conserva tanti successi sul rosso negli scontri diretti con le sue avversarie.

Federico Bazan © produzione riservata

I pregi tecnici e i limiti di Camila Giorgi

                                                                   Dritto della Giorgi – Semi western grip

Camila Giorgi, tennista marchigiana classe ’91, è dotata di un tennis istintivo ed aggressivo, caratteristiche che le consentono di far uscire dal piatto corde palle tese e penetranti. Camila è capace di chiudere un punto tirando subito il vincente, il che tuttavia non esclude che la Giorgi sia sfavorita sugli scambi prolungati; la marchigiana, infatti, non rinuncia mai a fare braccio di ferro con le proprie avversarie pur di portare a casa il punto.
Ha un tipo di gioco che si adatta specialmente alle superfici rapide essendo molto veloce e prevalentemente piatto sebbene non disdegni la terra battuta.

                                       Rovescio della Giorgi – Presa bimane

Tecnicamente il tennis di Camila è monotematico e conosce pochissime se non inesistenti variazioni: servizio, dritto e rovescio sono giocati sempre allo stesso modo e forse è proprio questa la sua grande forza. Quando arriva nel suo territorio una palla morbida, senza peso o in top spin, ci si appoggia meravigliosamente lasciando partire dalle corde traiettorie imprendibili per le sue colleghe del circuito.
Se da un lato Camila è in grado di giocare ad altissima intensità su tutte le palle, che siano in top, piatte, in back o corte, dall’altro soffre molto la percentuale di errore che aumenta in proporzione alla foga e alla voglia di attaccare.
Il suo grande limite è la difesa; Camila, qualora sia chiamata a remare da fondo campo, fa non poca fatica a trovare i giusti colpi in quanto il suo gioco è basato essenzialmente sulla spinta a tutto braccio che le fa trascurare completamente altri tipi di soluzione come il back o una palla un po’ più carica di spin volta a variare il ritmo durante il palleggio.
Mentalmente la Giorgi è dotata di una spiccata forza di volontà oltre che di un’ottima prestanza atletica, pregi che le hanno regalato vittorie importanti contro giocatrici del calibro di Maria Sharapova e Victoria Azarenka ma al tempo stesso sconfitte del tutto inaspettate contro tenniste non irresistibili a causa di una foga di vincere i match fuori dall’ordinario. Per quel che concerne i risultati, per il momento Camila ha raggiunto una sola finale nel circuito Wta nel torneo polacco di Katowice perdendo in rimonta dalla transalpina Alizé Cornet.
Nonostante i risultati tennistici debbano ancora farsi vedere, questa ragazza ha tutti i requisiti per imporsi in tornei su superfici a lei consone come il cemento o l’erba sulle quali si trova particolarmente a suo agio e perchè no, raggiungere l’ultimo atto di un torneo del grande Slam…

Federico Bazan © produzione riservata

I vantaggi e i pregi tecnici di Maria Sharapova

                                Il rovescio in corsa della Sharapova

Il gioco di Maria Sharapova è costituito da quattro fondamentali: servizio, dritto, rovescio e schiaffo al volo. Seppur basato sempre e solo su questi colpi, il tennis di Maria Sharapova racchiude delle strategie tecnico-tattiche molto complesse nel loro insieme. Uno dei vantaggi della siberiana è senz’altro dato dall’altezza (1.88 cm) che le consente di piazzare colpi profondi agli angoli del campo, spesso imprendibili per le avversarie. Altri vantaggi sono la fluidità negli spostamenti laterali che le permettono di recuperare e di giocare bene sia in fase difensiva sia in quella offensiva e l’eccellente impatto sulla palla che determina traiettorie di palla tese e veloci.
Per quanto riguarda i pregi, la Sharapova ha la grande capacità di spingere la palla con il rovescio a velocità pazzesca anche in situazioni difensive, ogniqualvolta è lontana da essa o anche quando le braccia sono molto distanti dal corpo (vedi foto a destra). Nella stragrande maggioranza dei casi, per quanto concerne i giocatori e le giocatrici che hanno il rovescio bimane, più si è distanti con le braccia dal corpo e più il colpo prodotto sarà debole, inefficace ed attaccabile dal proprio avversario.

     Trionfo della siberiana agli Internazionali Bnl d’Italia (2012)

Maria Sharapova sfata questo mito e non è un caso che lasci partire dalle corde accelerazioni devastanti in corsa riuscendo, non di rado, a ribaltare l’inerzia degli scambi.
Il dritto è, parimenti al rovescio, un colpo molto efficace: penetrante, con molta spinta e poca rotazione. La russa, grazie alla potenza e alla precisione del proprio dritto, è in grado di costruirsi al meglio i punti e di trarre i migliori benefici nei momenti chiave dei match. Oggi, nella semifinale del Wta 1000 di Miami contro Serena Williams, la siberiana si è trovata molteplici volte sotto il punteggio di 15-40 in 2 o 3 game e, malgrado ciò, è riuscita a vincerli grazie a notevoli progressioni con il dritto.
Il servizio non è certamente il marchio di fabbrica della russa sebbene il taglio slice prodotto dalla battuta si riveli spesso una mossa vincente per aprirsi il campo e per cercare di comandare lo scambio.
Maria Sharapova è una campionessa a 360 gradi, una giocatrice che combatte con il cuore e con i nervi, una ragazza, e non una qualunque, che sa quello che vuole e che sul campo si comporta di conseguenza. I 29 titoli ottenuti in carriera (inclusi Wimbledon 2004, Us Open 2006 e Australian Open 2008) ne sono l’autentica dimostrazione.

                                                                                                                                                                                                    Federico Bazan © produzione riservata

Sara Errani e Roberta Vinci: un’accoppiata vincente

                                Il valore dell’amicizia nello sport

Le nostre tenniste azzurre Sara Errani e Roberta Vinci formano attualmente la coppia di doppio più competitiva ed affiatata in circolazione. Stabili alla prima posizione del ranking mondiale, le “Chichis” hanno trionfato nel 2012 e 2013 vincendo Roland Garros, Us Open e Australian Open ed ottenendo ben 16 titoli a livello WTA.
Errani e Vinci, essendo giocatrici tecnicamente molto diverse, si compensano alla grande: Roberta predilige il gioco a rete e più improntato all’attacco avendo un rovescio in back molto insidioso oltre ad un’eccellente sensibilità nel tocco e nelle volèe; Sara è molto solida da fondo campo e ha nella fase difensiva il suo punto di forza.
Nel doppio la compensazione tecnica dei due compagni, l’intesa e l’unione sono la chiave di volta per una buona riuscita ed è quello che le nostre giocatrici hanno in comune. Sara e Roberta si conoscono bene non solo per aver giocato in singolare e in doppio più volte, ma anche per aver vissuto insieme alle altre tenniste italiane e con il coach della Nazionale Corrado Barazzutti, la Fed Cup, il prestigioso campionato che si disputa ogni anno tra le contendenti migliori di tutti i Paesi.

                   Tennis come gioco di squadra

Le due azzurre hanno un rapporto di amicizia che le lega profondamente e questo contribuisce a generare un’accoppiata vincente sul campo. Ogni volta che giocano il doppio si parlano, si danno consigli, si incoraggiano e soprattutto sono consapevoli che senza spirito di squadra non potrebbero vincere.

Sara Errani e Roberta Vinci dimostrano, dunque, che il tennis non è uno sport interamente individuale come erroneamente si tende a pensare, ma grazie ai risultati conseguiti nel doppio e in Fed Cup, ci comunicano che in questo meraviglioso sport le emozioni sono anche quelle che si provano insieme, giocando di squadra.

Federico Bazan © produzione riservata