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La parabola discendente del tennis svedese

Borg rovescioIl periodo migliore che il tennis svedese ha vissuto fino ad oggi risale agli anni ’70 e ’80, con i successi di Björn Borg, considerato il capostipite del tennis moderno, colui che rivoluzionò il gioco apportando delle modifiche determinanti alla tecnica e allo stile: le prime rotazioni in top spin, il rovescio bimane e la grande solidità da fondo campo erano le tre novità riscontrabili nel gioco dell’ex tennista svedese, dal quale poi si sarebbero ispirate migliaia di scuole tennis di tutto il mondo; novità che furono, da un lato, duramente criticate dalla stampa di quegli anni, per il fatto che Borg fosse stato il primo giocatore ad interrompere il filo conduttore del tennis classico impostato sul rovescio ad una mano, i colpi piatti e le frequenti discese a rete; dall’altro lato, questi nuovi aspetti portati da Borg, stupirono tutto il mondo del tennis per l’efficacia riscontrata nel rendimento su tutte le superfici, specialmente sulla terra battuta, dove l’ex campione svedese ottenne le vittorie più importanti (6 Roland Garros conquistati): il top spin, era infatti considerato un modo non convenzionale di giocare a tennis, basato su un palleggio a volte estenuante da fondo campo, quasi interamente privo di variazioni e in totale contrasto con il gioco piatto. Per questi motivi, il tennis di Borg rappresentava uno stile antitetico al tennis classico e al cosiddetto “serve and volley” (servizio e volée).
Non si può dire, però, che l’ex campione nativo di Stoccolma fosse l’unico, tra i tennisti2000_stefan_edberg_bjorn_borg_mats_wilander (1) svedesi, a passare alla storia. La tradizione continuò anche dopo gli anni ’70 con altri interpreti che, per certi versi, seguirono le orme di Borg: Mats Wilander, Kent Carlsson, Thomas Enqvist, Jonas Björkman e Thomas Johansson, solo per citarne alcuni, spiccavano per il tipo di gioco regolare da fondo campo, privo di grandi variazioni. L’unico tennista che si differenziava dalla “scuola moderna” inaugurata da Borg, era Stefan Edberg, probabilmente il solo svedese a continuare il filone dei giocatori serve and volley. Ma, salvo l’eccezione rappresentata da Edberg, i giocatori scandinavi si assomigliavano molto l’uno con l’altro, sia nello stile di gioco (tennis prevalentemente da fondo campo, in top spin, con il rovescio bimane), sia nel temperamento.

Curioso notare come il tennis svedese abbia subìto una escalation discendente in proporzione alle epoche e all’età dei tennisti. In ordine di epoca, età e vittorie (palmarès) si registrano:

  • Björn Borg: il primo in ordine cronologico (nato nel ’56 – carriera vissuta tra gli anni ’70 e ’80), è il tennista svedese che ha vinto complessivamente di più (11 tornei del Grande Slam);
  • Mats Wilander: il secondo in ordine cronologico (nato nel ’64 – carriera vissuta tra gli anni ’80 e ’90), è probabilmente il secondo più titolato (7 tornei del Grande Slam);
  • Stefan Edberg: il terzo in ordine cronologico (nato nel ’66 – carriera vissuta tra gli anni ’80 e ’90), possiamo dire alla pari con Wilander (6 tornei del Grande Slam e un numero complessivo di tornei maggiore del connazionale);

A seguire gli altri: Thomas Enqvist, vincitore di 19 tornei ATP ma di nessun torneo del Grande Slam e Jonas Björkman, un buon singolarista e un ottimo doppista, plurivincitore Slam in doppio.
L’ultimo svedese degno di nota risale agli anni 2000 ed è Robin Soderling, giocatore che ha fatto due finali al Roland Garros, è stato numero 4 del mondo ma che si è ritirato precocemente a causa di una mononucleosi.
Johanna+Larsson+2016+Open+Day+4+AQKYDagGwmylDopo Soderling, il tennis svedese, da quel che traspare al momento, è entrato in crisi di risultati. All’orizzonte, infatti, non vi sono grandi giocatori e nemmeno prospettive interessanti. I fratelli Ymer, tra l’altro di origine etiope, sono fuori dai primi 200 e, seppur giovanissimi, fanno fatica ad emergere. Soderling, dopo il ritiro, ha deciso di dedicarsi all’insegnamento: l’ex tennista di Tibro, infatti, allena Elias Ymer, con la speranza di tirare fuori un buon giocatore per il futuro del tennis svedese.
Posta questa riflessione e considerata la discesa in caduta libera del tennis in Svezia, ci sarebbe da chiedersi, dunque, a quali problemi sia andata incontro la Federazione del paese scandinavo. Mancano dei giovani promettenti e le scuole tennis non riescono a produrre dei buoni talenti? La Federazione svedese investe troppo poco nel tennis e lascia quindi più spazio ad altri sport più gettonati nel Nord Europa? O più semplicemente, è via via scemato l’interesse per questo sport?
Le risposte possono trovarsi nel fatto che anche il tennis femminile arranchi e non poco. L’unica giocatrice che trascina il movimento svedese è Johanna Larsson, che, come best ranking, ha raggiunto la 45esima posizione nella classifica WTA, ma, a parte la Larsson, non vi è nessun altro nome conosciuto che possa portare la Svezia nel World Group di Fed Cup.
Quello del tennis svedese è dunque un capitolo che raggiunge l’apice del successo con le gesta e le vittorie indimenticabili di Borg, Wilander e Edberg, ma che si chiude in modo drastico dopo l’uscita di scena prematura e sfortunata di Soderling e un tennis femminile poco brillante.

Federico Bazan © produzione riservata

Le Next Generation a confronto con i talenti dei primi anni 2000

vecchie glorieC’è un dato che distingue i successi di due generazioni diverse del circuito ATP: da un lato, quella dei primi anni 2000 (i nati tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80) e, dall’altro, le cosiddette “Next Gen” (i nati negli anni ’90), che rappresentano le giovani leve del momento.
Facendo infatti una comparazione riguardo alle conquiste dei tornei del Grande Slam in giovane età, si può affermare che “la vecchia guardia” ha totalizzato complessivamente risultati migliori. Pensiamo, solo per citarne alcuni, a Kuerten, Moyá, Hewitt, Safin e Roddick che, tra i 20 e i 21 anni d’età, vinsero almeno un torneo del Grande Slam ciascuno. La stessa cosa non si può dire, allo stato attuale, per i giovani talenti del circuito odierno come Zverev, Kyrgios, Chačanov, Medvedev e Rublev che, pur avendo la possibilità futura di imporsi nelle competizioni di maggiore prestigio (le prove del Grande Slam, la Coppa Davis e le Olimpiadi), ad oggi, nessuno di loro ha vinto un torneo del Grande Slam, a differenza dei predecessori.
C’è da chiedersi, dunque, il motivo di questa disparità di successi tra le due generazioni tennistiche, manifestatasi, in entrambi i casi, nei primi anni del professionismo. Gli interrogativi possibili a riguardo sono principalmente due, peraltro in contrapposizione tra loro. Il primo è: il livello generale del tennis junior potrebbe essere sceso rispetto a qualche anno fa? Oppure, e forse è l’interrogativo più verosimile, il livello complessivo del tennis odierno è cresciuto esponenzialmente tale per cui la supremazia dei Fab Four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray) ha impedito alle vecchie generazioni e sta impedendo alle nuove generazioni di emergere negli appuntamenti più importanti?
In effetti, tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, il circuito ATP aveva una varietà notevole di campioni cosparsi, ma mancavano ancora dei veri grandi dominatori della classifica mondiale al livello di Federer, Nadal e Djokovic. Dominatori, in termini di vittorie, statistiche e tempo trascorso in vetta al ranking.
Lo strapotere di Federer e Nadal, infatti, ha cominciato ad affermarsi a partire dal 2004-2005, proprio negli anni in cui i vari Kuerten, Moyá, Hewitt, Roddick e Ferrero avevano interrotto la serie positiva negli Slam (se si esclude l’exploit di Safin agli Australian Open nel 2005).

next gen

Il contesto è diverso per quanto riguarda invece le stelle del futuro: oggi le Next Gen devono fare i conti, non solo con un Federer in condizioni superlative e un Nadal tutt’altro che alle porte, ma anche con una serie di top player che si trovano da anni stabilmente tra i primi 15 del mondo: i vari Wawrinka, Tsonga, Cilic, Nishikori, Berdych sono infatti quei tipi di avversari che hanno l’esperienza e il gioco per prevalere sulle giovani leve. Senza considerare poi Murray e Djokovic che, al momento, sono un punto interrogativo: potrebbero sprofondare così come risalire in cattedra quando meno ce lo si aspetta.
La sensazione è dunque quella che lo spazio per le Next Gen nei grandi palcoscenici arriverà non appena i campioni nati negli anni ’80 chiuderanno i battenti. E non avverrà a breve.

Federico Bazan © produzione riservata

L’esigua tradizione del tennis in Inghilterra

Se pensiamo che le prime reti da gioco sono state brevettate da un inglese di nome Walter Clopton Wingfield nel XIX secolo, il tennis in Inghilterra, dal 1874 ad oggi, salvo due casi isolati, non ha mai visto l’affermazione di grandi campioni.

Fred Perry

Fred Perry, giocatore eccentrico, nel suo gesto famoso di congratularsi con l’avversario scavalcando la rete

Ad eccezione di Fred Perry, probabilmente fino ai giorni nostri l’unica grande icona del tennis inglese (da cui prende il nome del famoso marchio di abbigliamento sportivo da egli ideato) e Tim Henman, giocatore serve & volley nativo di Oxford, eterno semifinalista nelle prove del Grande Slam, la Gran Bretagna non ha mai brillato tennisticamente e non ha avuto alle spalle una tradizione tale da poter segnare pagine importanti nella storia di questo sport. Curioso notare come il gioco del tennis sia stato concepito dagli inglesi, che peraltro ospitano i migliori giocatori al mondo sui campi in erba dell’All England Lawn Tennis Club di Wimbledon e come, al tempo stesso, non abbiano mai avuto giocatrici e giocatori in grado di vincere lo Slam londinese, se si esclude solo Fred Perry.
Caso a parte è quello che riguarda Andy Murray, tennista scozzese di Dunblane, il quale gioca in Coppa Davis per la Gran Bretagna ma perchè in Scozia, a parte lui e il fratello, non vi è nessun altro giocatore che compete ad alti livelli. Lo stesso Murray affermò, pochi giorni prima del referendum per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, che avrebbe giocato per la sua Nazione (la Scozia) alle Olimpiadi se fosse passato il “sì”. Al referendum del 18 settembre 2014, vinsero gli unionisti con circa il 55% degli aventi diritto. Da quel giorno non cambiò nulla a livello territoriale nel Regno Unito ma, malgrado i risultati negativi del referendum per gli scozzesi indipendentisti, Murray escluse comunque qualsiasi tipo di parentela tra lui e l’Inghilterra.
Possiamo affermare con certezza, dunque, che l’unico tennista inglese ad aver vinto Wimbledon, in due secoli di storia, è  Fred Perry.

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              Walter Clopton Wingfield, l’inventore del tennis

Sarebbe interessante capire come mai i conquistatori più influenti della storia (insieme agli Antichi Romani), i navigatori forse più all’avanguardia, gli inventori del gioco del calcio, del tennis e non solo, abbiano sempre brillato per ingegno e fama nelle conquiste territoriali ma, al tempo stesso, lasciato a desiderare molto nei successi sportivi per la propria Nazione a livello internazionale. Se pensiamo che la Nazionale inglese di calcio ha vinto un solo Mondiale nel ’66 (tra l’altro con un goal discutibile nella finale contro la Germania) e non si è mai più ripetuta, nè ai Campionati, nè agli Europei e nemmeno nelle Confederations Cup, nonostante le grandi individualità calcistiche come Alan Shearer, Paul Gascoigne, Jamie Redknapp, Robbie Fowler ai più recenti Paul Scholes, David Beckham, John Terry, Steven Gerrard, Frank Lampard ecc.; giocatori che valevano oro colato sul mercato. Eppure, non sono mai riusciti, come organico, a collezionare alcun trofeo per il proprio Paese.
Discorso analogo lo si può fare con il tennis. Se nel calcio, l’Inghilterra di Bobby Charlton sollevò la coppa dei campioni nel ’66, allo stesso modo, un solo tennista di nome Frederick John Perry, su un totale di 187 giocatrici e giocatori britannici entrati nel circuito internazionale, conquistò il trofeo di Wimbledon.

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Tim Henman, soprannominato “Timbledon” dai suoi sostenitori

Dagli anni ’40 fino addirittura gli anni ’90, la Gran Bretagna ha vissuto un medioevo tennistico. Anni in cui non uscì nemmeno un nome che fosse menzionato dalla stampa britannica, tra le tenniste e i giocatori inglesi. Si dovette aspettare l’arrivo di Timothy Henman. Ma “Timbledon”, come lo chiamavano i suoi sostenitori, esplose solo alla fine degli anni ’90 e, per quanto fosse un signor giocatore, è sempre stato battuto da avversari più forti di lui come Sampras, Ivanisevic, Federer e Hewitt che gli hanno precluso in quattro diverse occasioni la possibilità di accedere all’ultimo atto del torneo di casa.
Henman, che pure era un giocatore che si adattava benissimo alle superfici rapide essendo uno degli ultimi esponenti del serve & volley e del gioco di grazia, non è mai riuscito a realizzare il tanto agognato sogno di vincere Wimbledon; nonostante questo, il tennista di Oxford vanta ad oggi 11 titoli in singolare (di cui 1 Masters Series, 1 International Series Gold e 9 International Series) e 4 in doppio (tra gli altri risultati, due bottini espugnati a Montecarlo e una finale persa alle Olimpiadi di Atlanta), a dimostrazione di quanto uno splendido gioco di volo lo rendesse un ottimo specialista anche in doppio.
Dopo Henman, tuttavia, in Inghilterra il vuoto, sia nel tennis maschile che in quello femminile, vuoi per mancanza di talenti, vuoi per i pochi investimenti fatti in questo sport da parte della Federazione. Investimenti, al contrario, realizzati in abbondanza nel calcio dove comunque vi sono e rimangono sempre grandi campioni, aldilà dei risultati storici conseguiti dai Tre Leoni.

La Gran Bretagna è sicuramente un Paese che ha brillato per l’ingegno e la creatività ma che non è riuscito a dare un seguito nei risultati sportivi (la Nazionale di calcio e i vari tennisti) che fosse all’altezza delle grandi scoperte operate nel corso della storia.


Federico Bazan © produzione riservata

I tipi di incordatura: monofilamento, multifilamento, ibrido o budello?

                     I calibri delle corde: i parametri variano a seconda del peso

Così come non esiste un tipo di gioco invulnerabile (basti pensare alle leggende della storia del tennis che hanno raggiunto i vertici delle classifiche mondiali proponendo agli spettatori, nel corso degli anni, un tennis sempre diverso; dai giocatori serve & volley, ai picchiatori da fondo campo, ai ribattitori ecc.), allo stesso modo, non c’è un tipo di corda più conveniente di un’altra, almeno nel senso assoluto del termine. Questo perchè ogni giocatore, affinchè possa trovare un buon rendimento, ha bisogno di un’incordatura che più si addice al suo stile di gioco.

Il rapporto che il giocatore instaura con la propria racchetta (modello, peso e bilanciamento) è fondamentale; sembra banale affermarlo, eppure, persino i più grandi campioni necessitano del materiale più consono alle loro esigenze, sebbene possano spingere tranquillamente la palla con qualsiasi telaio. Anzi, più è alto il livello di gioco, tanto più i professionisti giocheranno con racchette e incordature di pregevole fattura.
Prendere confidenza con determinate incordature (tipologia, spessore e tiratura delle corde) è uno degli aspetti chiave ai fini di un buon allenamento e/o prestazione.
Tutte le corde hanno caratteristiche diverse tra loro ed è per questo che è necessario trovare la sintonia ideale con esse. Sintonia ideale, in quanto non esiste la corda perfetta in velocità, rotazione e controllo.
Del resto, chi è che non vorrebbe disporre di un’incordatura che lo aiuti a riprodurre alla perfezione il servizio, il colpo piatto, il back spin, il top spin, la volèe, i colpi di fino e che lo incentivi ad avere, al tempo stesso, un controllo e una spinta ottimali sulla palla?
Eppure, ci si deve adeguare a seconda del proprio gioco…

Per quanto riguarda le tipologie, ve ne sono molteplici: il monofilo, il multifilo, l’ibrido e il budello di bue.

                         Racchetta d’epoca in budello

Qualsiasi tipo di corda ha dei pregi e dei limiti, esattamente come i punti di forza e di debolezza di ogni singolo giocatore.
Se state per comprare del materiale e vi rivolgete per chiedere informazioni, la gran parte dei rivenditori vi descriverà le caratteristiche delle incordature, esaltandone, spesso e volentieri i vantaggi e i motivi per i quali acquistarle.

Prima di cedere nella tentazione di comprarle o sostituirle con quelle vecchie, è sempre bene testarle sul campo stando attenti alla tiratura, alla stabilità e allo spessore delle corde, onde evitare di incappare nella trappola della scarsità del prodotto.
Per esempio le corde in nylon, tirate male o troppo morbide, dopo pochissimo tempo di utilizzo, si allentano, perdendo aderenza sulla palla.
Le corde in nylon, dette anche “multifilamento”, non sono difatti adatte per chi gioca in top spin, per chi colpisce con violenza arrotando la palla, in quanto perdono molto in stabilità ed efficacia. Sono l’ideale per chi vuole più comfort e meno potenza sulla palla; ad esempio, vanno bene per i maestri che fanno i cesti e tirano palle morbide.

Il monofilamento e l’ibrido sono i due tipi di corda maggiormente usati da chi ama arrotare la palla, essere aggressivo con colpi carichi di spin; si tratta di corde tendenzialmente stabili, anche nel lungo periodo.

Il budello è invece quello che si adoperava un tempo, oggi sempre più in disuso, le corde per eccellenza dei giocatori serve & volley come McEnroe, Panatta, Edberg o di quei tennisti che prediligono il gioco piatto.

Alla domanda se è meglio il monofilo, il multifilo, l’ibrido o il budello, non c’è una risposta precisa.
La scelta dell’incordatura dipende, infatti, dal proprio tipo di gioco, da sensazioni soggettive che si hanno quando si colpisce la palla, dal peso, bilanciamento e da tanti altri fattori. Ciò che è importante, è trovarsi bene con una racchetta e delle corde specifiche, perchè, solo abituandosi a sentire la palla con gli attrezzi giusti, si può auspicare ad ottenere risultati migliori.

Federico Bazan © produzione riservata

Il tennis moderno nasce con Björn Borg

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                           Telaio d’epoca in budello di bue

Dagli anni ’60 agli anni ’80 il tennis era quello che oggi definiremmo “all’antica”, basato principalmente sul gioco piatto, i serve and volley, i chip and charge e le giocate di fino.
All’epoca, considerati anche i materiali dei quali i tennisti disponevano come le vecchie racchette Dunlop di legno e le dimensioni piuttosto esigue del piattocorde, pochissimi erano i giocatori capaci di avvalersi di uno stile di gioco differente dal tennis classico e di quel gioco offensivo, spesso e volentieri proiettato a rete che ha da sempre distinto i vari Laver, Ashe, Newcombe, McEnroe, Panatta, Edberg, Becker etc.
Il tennis di quegli anni, infatti, viaggiava sulle impronte dello scatto a rete, della volèe di grazia e del rovescio ad una mano fin quando, un signore svedese di nome Björn Borg, introdusse un gioco diverso, costruito sulle rotazioni in topspin, sul rovescio bimane e incentrato, per la maggior parte, sui colpi da fondo campo.

                                 Rovescio bimane di Borg

Insieme a Jimmy Connors, Borg è stato il primo esponente nella storia del tennis ad eseguire il rovescio con una presa bimane malgrado, all’epoca, questo tipo di colpo fosse totalmente sconosciuto agli occhi dei tennisti, dei maestri di tennis e dei giornalisti. Non solo questo tipo di rovescio risultò piuttosto inusuale, ma fu anche aspramente criticato da un punto di vista estetico. Molti giocatori rimasero stupiti dal modo con cui Borg colpiva la palla e altrettanti giornalisti giudicarono il rovescio di Borg un fondamentale con il quale il tennis segnò una svolta radicale, quella che avrebbe inevitabilmente portato ad un gioco differente, ad un gioco decisamente più all’avanguardia.
Pur essendo il rovescio bimane condannato dalla stragrande maggioranza delle persone in termini di eleganza rispetto a quello classico ad una mano (e questo fatto è comunque discutibile), è anche per merito di Borg se oggi ci sono molti più giocatori che, adattandosi al cambiamento e adottando uno stile di gioco basato su topspin, esplosività e rovescio bimane, riescono a raggiungere risultati non indifferenti.
Dopo le grandi annate di Borg, sono numerosi i cognomi che portano la firma dei rovesci a due mani, tra cui Chang, Ivanisevic, Courier, Kafel’nikov, Agassi passando per Safin, Ferrero, Nalbandian, Roddick e arrivando, infine, ai colpi attuali di Nadal, Djokovic e Murray.
Il campione svedese, se da un lato fu guardato con occhio sospetto perchè artefice di un’autentica frattura con il passato, dall’altro ne fu riconosciuta l’ondata positiva del cambiamento, quel cambiamento che avrebbe definitivamente segnato il destino del tennis negli anni a venire.

Federico Bazan © produzione riservata

Il progressivo declino del tennis maschile a stelle e strisce

                       Celebre esultanza di John Mcenroe

Il tennis nordamericano ha goduto negli anni di un’ampia tradizione per quanto riguarda il circuito maschile. Le vecchie glorie del passato hanno segnato ventenni di successi straordinari; basti pensare alle imprese e alle gesta dei grandi Arthur Ashe, Jimmy Connors, John Mcenroe e Vitas Gerulaitis, vincitori di molteplici edizioni del Grande Slam, giocatori che hanno coinvolto ed appassionato migliaia di spettatori in tutto il mondo grazie ad un talento cristallino, ad un’eleganza sfoderata nelle discese a rete e nel tocco di fino, ad un tennis dinamico ed aggressivo fatto di serve and volley e chip and charge. Erano altri tempi, quelli in cui le racchette erano prevalentemente di legno e le corde costruite con il budello, quelli in cui il serve and volley era la regola per eccellenza. Era anche l’epoca dove andavano particolarmente di moda frasi del tipo: “You can’t be serious man, you cannot be serious!”, oppure: “Ask my question, the question, jerk!”. Ma era proprio questo spirito, quello dei vari Mcenroe e Connors a suscitare momenti indelebili nella storia del tennis, non solo per tutti i titoli vinti in carriera e per le partite mozzafiato disputate in quegli anni ma anche per le scenate davanti ai giudici di sedia.

                                       Rivalità Agassi – Sampras

Il tennis americano ha vissuto un’evoluzione del gioco molto particolare. Si è passati dalla classe di Ashe, dal servizio slice di Mcenroe, dal tocco prelibato di Gerulaitis fino ad arrivare al tennis moderno ed esplosivo di Courier, Agassi e Roddick. L’unica eccezione, durante gli anni ’70-’80, era rappresentata da Jimmy Connors il quale, al contrario dei suoi colleghi americani, giocava il rovescio con una presa bimane e non si presentava a rete tanto frequentemente quanto Ashe, Mcenroe e Gerulaitis. Allo stesso modo, negli ’90, durante i quali il mutamento del tennis si faceva sempre più sentire con l’arrivo dei rovesci bimani e delle rotazioni in top spin, l’ultimo vero esponente del serve & volley fu Pete Sampras, detentore di 14 tornei del Grande Slam e vincitore di 7 edizioni di Wimbledon. Dopo l’era Sampras-Agassi che, ricordiamo, è stata una delle rivalità più intense ed avvincenti in tutta la storia del tennis, il giovane Andy Roddick emerse in tutto il suo talento mostrando doti eccezionali al servizio che spesso viaggiava intorno ai 210-220 km/h e con il quale faceva la differenza soprattutto sulle superfici rapide. Roddick, insieme a Mardy Fish e James Blake, ha dominato lo scenario tennistico dal 2000 al 2012, per quel che concerne il tennis americano maschile.

                                              Andy Roddick

Fatta eccezione per i gemelli Mike e Bob Bryan che probabilmente sono i più forti doppisti di tutti i tempi, i giocatori statunitensi contemporanei, nonchè gli odierni del circuito ATP, sono John Isner e Sam Querrey, buonissimi giocatori ma non annoverabili, per il momento, tra i grandi campioni del tennis a stelle e striscie.
Tra i giovanissimi vi sono inoltre Donald Young e Ryan Harrison, giocatori dei quali si è parlato molto ma che non hanno mantenuto le aspettative. Nessun torneo vinto in singolare sia per Young sia per Harrison, ai quali manca quel tennis incisivo tale da consentire loro di competere con i primi 50 giocatori del mondo.
Il ricambio generazionale del tennis americano si è avverato anche se, nonostante la presenza di Accademie di prestigio come quella di Nick Bollettieri, i giovani fuoriclasse stentano ad emergere con preponderanza. Prendendo in considerazione il tennis maschile a stelle e strisce del momento, è piuttosto impensabile, allo stato attuale, che possano ripetersi campioni come Sampras, Agassi e Roddick o, per lo meno, giocatori capaci di entrare tra i primi dieci del ranking ATP.

Federico Bazan © produzione riservata

 

Uno sguardo al tennis dell’est Europa dagli anni ’70 ad oggi

                                                            Ilie Nastase

La Romania ha vissuto nel corso della storia momenti di grande fervore sportivo grazie ai trionfi ed ai traguardi conseguiti da grandi campioni del passato quali Ilie Nastase, vincitore degli Us Open nel ’72 e del Roland Garros nel 73′; Ion Tiriac, campione di doppio con Nastase nell’Open di Francia del ’70 e, per quel che concerne il tennis femminile, Virginia Ruzici, unica tennista rumena ad essersi aggiudicata uno slam, ovvero l’edizione del torneo parigino del 1978.
Terminata l’era Nastase-Tiriac, il tennis romeno ha conosciuto un periodo di forte crisi che si è avviato lentamente durante gli anni ’90 fino a manifestarsi pienamente in tempi più recenti. A parte qualche piccola fiammata come Andrei Pavel che conquistò il Roland Garros a livello juniores all’età di diciotto anni e si impose a cavallo tra gli anni 90′ ed il 2000 in 3 tornei Atp in singolare e 6 in doppio, non si sono più visti ed affermati grandi giocatrici e giocatori.
La Romania ha dovuto attendere più di un decennio prima che Simona Halep, nel 2013, riuscisse nell’impresa di scalare la classifica internazionale balzando repentinamente dalla posizione numero 47 alla numero 11 del mondo.
Per la giovanissima romena il 2013 si è rivelato l’anno della crescita tecnica e dell’ascesa in termini di risultati: 6 titoli da lei conquistati dei quali 4 su cemento, 3 su terra battuta e 1 su erba… e il 2014 non è da meno visto che è l’attuale numero 3 del ranking Wta.
La Halep, inoltre, è arrivata in finale al Roland Garros perdendo al terzo set da Maria Sharapova in un match molto lottato e si è recentemente imposta, per la prima volta in carriera, nel torneo di Bucarest, capitale del suo Paese nativo nonchè terreno di casa.

                                 Yevgeny Kafelnikov

Il tennis russo, al contrario di quello romeno, non ha avuto nomi particolarmente altisonanti nel periodo d’oro di Nastase e Tiriac fin quando nei primi anni ’90 emerse uno dei più grandi tennisti dell’Europa dell’est, se non il migliore di quegli anni, ovvero Yevgeny Kafelnikov, giocatore molto versatile, ottimo singolarista ed eccellente doppista nonchè futuro vincitore dei giochi olimpici di Sidney nel 2000 e di 6 prove del grande slam (2 in singolare e 4 in doppio). Dopo Kafelnikov esordirono molteplici talenti, specialmente nel circuito Wta: Anna Kurnikova, Svetlana Kuznetsova, Elena Dementieva, Dinara Safina e più recentemente Maria Sharapova, la giocatrice per il momento più competitiva rispetto alle sue colleghe compaesane per numero di risultati conseguiti ed attuale detentrice di 5 tornei del grande slam (Wimbledon 2004, Us Open 2006, Australian Open 2008, Roland Garros 2012 e 2014); nel circuito maschile invece Marat Safin, fratello maggiore di Dinara Safina ed ex numero 1 del mondo, esplose tennisticamente nel 2000 durando fino e non oltre il 2005 e Nikolaj Davydenko, veterano del circuito Atp ancora in attività all’età di 33 anni e vincitore di 21 titoli Atp in attivo.

                                  Martina Navratilova

La Cecoslovacchia è stata l’unica Nazione dell’est Europa che dal ’70 ad oggi ha goduto in maniera continuativa di una vasta tradizione e di grandi campioni del calibro di Martina Navratilova (la giocatrice indiscutibilmente più forte degli anni 70′ tanto in singolare quanto in doppio), Ivan Lendl (vincitore di 8 tornei del grande slam), Jan Kodes (vincitore di 3 tornei del grande slam) e Petr Korda (vincitore di 1 grande slam) arrivando poi ai tennisti contemporanei come Petra Kvitova, Radek Stepanek e Tomas Berdych; una tradizione, quella dei cechi, che non soccombe mai soprattutto nelle competizioni più importanti come la Davis e la Fed Cup, nelle quali la Nazionale cecoslovacca ha sempre ben figurato.
L’Ungheria vanta una sola grande campionessa, vale a dire Monica Seles, la cui formazione tennistica, peraltro, proviene dall’Accademia di Nick Bollettieri; il tennis bielorusso ha tirato fuori dal cilindro Victoria Azarenka, unica vera campionessa anche lei cresciuta tennisticamente fuori dal Paese nativo.
Agnieszka Radwanska, classe ’89, è la giocatrice con maggiori successi archiviati per quel che riguarda la storia del tennis polacco dagli anni ’70 ad oggi; l’Ucraina vanta due soli fuoriclasse di cui uno è un ex campione degli anni ’90, vale a dire Andrij Medvedev e l’altro è Alexandr Dolgopolov, tennista attualmente in attivo nel circuito, talento atipico e stravagante che ha ancora ampi margini di miglioramento. Infine c’è la Bulgaria, orgogliosa di Grigor Dimitrov, una stella nascente, ancora in fase di maturazione e della quale si è parlato tanto.

Un ricambio generazionale realmente promettente, a parte qualche eccezione rappresentata da Sharapova, Halep, Kvitova e Dimitrov, stenta a farsi notare dopo le grandi annate delle glorie del passato.
I motivi per i quali nel 2014 il tennis dell’est Europa fa molta fatica a far emergere buoni giocatori e futuri campioni sono molteplici:

  • carente gestione amministrativa delle Federazioni e mancanza di denaro impiegabile nella promozione del tennis e nell’organizzazione di eventi legati a questo sport nel proprio Paese (allenamenti, tornei, campionati ecc.);
  • numero ristretto di circoli e costi di manutenzione dei campi troppo elevati;
  • situazione sociale e politica di alcune zone dell’Europa orientale particolarmente delicata in quanto può essere condizionata da guerre civili e carestie;
  • rischio di investire capitali sui giovani tennisti senza però avere idea e certezza circa il loro futuro.

    Marat Safin (1998-2009: tennista ; 2009-presente: parlamentare della Duma)

La maggior parte dei giocatori e delle giocatrici dell’est hanno lasciato il proprio Paese di origine per andarsi ad allenare in Nazioni più ospitanti e più sicure a livello di manutenzione, di strutture, di allenatori e di giocatori ecc. Monica Seles, Anna Kurnikova, Marat Safin, Dinara Safina, Maria Sharapova, Maks Mirny, Victoria Azarenka e tanti altri hanno vissuto esperienze simili: si sono trasferiti in America (accademia di Nick Bollettieri) e in Spagna (come a Valencia per Safin e Safina) allo scopo di crescere e mirare ad entrare nella top 100.
Come ha affermato Marat Safin in una recente conferenza stampa, alla domanda: << Com’è il futuro del tennis russo? >>, l’ex tennista moscovita, attuale membro del Comitato Olimpico Russo e vicepresidente della Federazione tennistica della Russia, ha così replicato: << Non è molto brillante, non ci sono giocatori giovani a partire dai 16-17 anni che hanno punti ATP; per il momento non ci sono tennisti che possano arrivare alla top 50 delle classifiche mondiali. Dobbiamo lavorare su questo, stiamo facendo tutto il possibile… abbiamo programmi e persone che possono contribuire con gli sponsor ad aiutare la Federazione perchè a noi costa abbastanza far crescere un ragazzo o una bambina; per un anno ci costa all’incirca 80.000€ tra allenamenti e viaggi. Molte famiglie non hanno questa opportunità e allora bisognerebbe intervenire sul sistema cercando di coinvolgere più persone possibili sebbene resti comunque difficile realizzare un progetto simile >>.

Fonti: http://www.youtube.com/watch?v=ftVMPYqBFdA

Federico Bazan © produzione riservata

Nel tennis odierno la versatilità è un valore aggiunto

Un campo prenotato, due amici, un barattolo di palline, una racchetta a testa e via: il tennis, inteso in questo modo, è uno sport semplice, divertente, una di quelle attività che si praticano per trascorrere del tempo insieme e per distaccarsi momentaneamente dalla routine quotidiana.

Lo sport con la racchetta è una delle attività più praticate al mondo, probabilmente al terzo posto dopo il calcio e la pallacanestro, sia a livello ricreativo ed amatoriale sia a livello agonistico e professionale da giocatori di tutte le età. Il fattore che decreta la differenza tra giocare a tennis per divertimento e praticarlo a livello agonistico è che da amatori l’importante è tenere la palla in campo seppur non ottenendo grandissimi risultati; da professionista, oltre naturalmente a tenere la palla in campo che è la base senza la quale è impossibile giocare, si applica quanto appreso ad intensità elevate e con una profondità di palla più o meno stabile.

Il livello cambia da giocatore a giocatore e da categoria a categoria. Le classifiche, da questo punto di vista, sono piuttosto relative. Esistono innumerevoli casi di giocatori con classifica inferiore ma con qualità tecniche superiori rispetto a chi ha una classifica migliore. Questo accade specialmente in quelle serie in cui il livello di gioco è basso, come la quarta categoria italiana nella quale ex giocatori di terza o di seconda categoria riprendono a giocare, ripartendo dalla quarta.

                               Andy Murray esegue un rovescio in back

Il tennis praticato a livello amatoriale non conosce responsabilità in quanto sono la passione e il divertimento a fare da padroni.

A livello professionale la musica cambia; c’è più competizione, la tensione della gara può farsi sentire in maniera non indifferente, l’attenzione verso i colpi giocati è sempre molto meticolosa.
Trascorrendo ore e ore sul campo, oltre ai fondamentali, si imparano diversi colpi che poi si tentano di riprodurre in partita.

Il tennis non è uno sport monotono. Chi pensa che lo sia, probabilmente non l’ha mai vissuto sul campo o, se l’ha giocato, l’ha vissuto male.
E’ vero che il tennis si potrebbe paragonare ad un tic tac, ad un tirare e ricevere, un domandare e un rispondere continuo. Se però ci si soffermasse sulle modalità e cioè sul come colpire la palla, lo sport con la racchetta ne offrirebbe davvero tante: oltre ai rudimenti che sono dritto, rovescio, servizio e volèe, esistono diverse soluzioni che rientrano nella categoria dei colpi avanzati: il drop shot (palla corta), il lob (pallonetto), il passante, la demi-volèe (colpo a rimbalzo), il back (colpo tagliato), la veronica (girata) e il tweener (colpo sotto le gambe). Ognuno di questi colpi, oltre ad avere un grado di spettacolarità variabile a seconda della difficoltà di esecuzione, ha una sua finalità.

                                          Justine Henin gioca una palla corta

La palla corta, ad esempio, ha un duplice vantaggio perchè, se eseguita correttamente, consente di aprirsi il campo, di scavalcare con un lob l’avversario chiamato a rete o anche di infilarlo con un passante; se eseguita perfettamente, è imprendibile e può rivelarsi una soluzione che “taglia le gambe all’avversario” poichè tende a spiazzarlo.
Il drop shot serve, generalmente, nelle circostanze in cui si è al comando dello scambio e l’avversario si trova oltre la linea di fondo o in una porzione di campo dove un tentato recupero sarebbe un’impresa; tuttavia è meglio non abusarne poichè potrebbe rivelarsi una strategia troppo prevedibile.

Anche il back, che nasce come soluzione difensiva, è un altro colpo molto utile perchè permette di riprendere la posizione centrale e di recuperare così i centimetri di campo persi in seguito ad un’accelerazione del proprio avversario. Il back, tuttavia, può essere sfruttato anche per attaccare. Il cosiddetto chip and charge o, più comunemente detto approccio a rete, è giocato con il back spin ed ha la funzione di far guadagnare, al giocatore che lo esegue, la via della rete.
Lo stesso colpo sotto le gambe, seppur altamente spettacolare, ha una sua finalità: se ci si trova in situazione disperata spalle alla rete e con davanti a sè la palla, il tweener è la soluzione ideale per cercare di ribaltare le sorti dello scambio.

Il pallonetto, che ha lo scopo di scavalcare l’avversario a rete, deve ricadere nella parte finale del campo onde evitare che questi ricorra allo smash o ad un possibile recupero in corsa. Il passante è letale ma solo se ben angolato; qualora sia troppo centrale, a meno che venga giocato a velocità molto elevata, risulterebbe controproducente perchè l’avversario sarebbe pronto a rispondere con la volèe.
Infine il servizio, che nel panorama del tennis maschile è probabilmente il fondamentale più influente, può essere eseguito in diversi modi a seconda dello schema tattico che si vuole adottare, del momento della partita, se si tratta di una prima o di una seconda. Esistono tre varianti: il servizio piatto (quello classico), slice (con effetto ad uscire o a rientrare) e in kick (in top spin). Quello in kick, per esempio, è molto utile se eseguito sulla seconda perchè la palla è più lenta ma gira di più. Se il servizio è efficace e la palla gira molto, può spedire l’avversario molto distante dalla linea di fondo ed è l’ideale per costruirsi il punto poichè consente di entrare con i piedi dentro al campo e, di conseguenza, spingere.

Il servizio fa la differenza anche perchè, qualora non si riesca ad essere incisivi da fondo campo, è l’unico fondamentale che può dare al giocatore quella marcia in più. A Federer, e non è un esempio qualunque, è capitato di attraversare un periodo buio della propria carriera per via della schiena, nel 2013. Da fondo campo sbagliava più del solito ma, malgrado non fosse al 100%, vinceva molte partite proprio grazie alla battuta, trovando spesso l’ace o comunque costruendosi il punto con un servizio efficace.
Il servizio, dunque, fa sempre da padrone, in qualsiasi circostanza, specie nel tennis maschile. Sono rarissimi i professionisti, tra i primi 100 del mondo, non provvisti di una buona battuta.

Nel tennis le soluzioni da adottare sono infinite, come già accennato in precedenza. La differenza la rende il momento che precede l’incontro con la palla, quel momento nel quale si ha una manciata di secondi per pensare come colpirla e dove indirizzarla.
Ci sono situazioni nelle quali conviene essere più conservativi ricorrendo al palleggio, altre in cui è preferibile spezzare il ritmo variando il gioco e altre ancora che invitano a forzare e a prendersi qualche rischio in più.
Per ogni professionista vincere è l’unica cosa che conta ma se è vero che il fine giustifica i mezzi, allora è bene giocarsi nel modo migliore tutte le carte a propria disposizione.

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La tecnica del serve & volley scompare con l’evoluzione del materiale e del gioco

                    John McEnroe si appresta a chiudere un punto a rete utilizzando la tecnica del serve & volley

Con l’avvento del progresso industriale e scientifico verificatosi nel ventesimo secolo, lo sport si è evoluto ed il tennis è mutato in ogni suo aspetto. Lo sviluppo dei materiali ha determinato maggiore funzionalità ed efficienza, caratteristiche che hanno consentito ad intere generazioni di tennisti di affermarsi e di ottenere risultati importanti in carriera.
Il tennis nacque ufficialmente nel 1874 e, a partire da quella data fino ad arrivare ad un non lontano 900, era praticato con le racchette di legno ed il gioco prodotto da esse aveva una velocità medio-bassa poichè non esistevano rotazioni e colpi potenti o carichi di spin ma soprattutto perchè i materiali non permettevano di farlo. Solo grazie alla nascita delle racchette in grafite e in carbonio, dotate di corde monofilamento dure, si è giunti a risultati notevoli. I tennisti, infatti, qualora non centrino in modo perfetto il piattocorde, hanno più possibilità di tenere la palla in campo utilizzando racchette costituite da questi materiali piuttosto che adoperando racchette di legno, decisamente più dure e meno manegevoli rispetto alle prime.
Parallelamente al cambiamento radicale del materiale, lo stile di gioco “serve and volley”, che consiste nel servire e spingersi verso la rete per ottenere il punto con una volèe o con uno smash, si è a poco a poco estinto. Il serve and volley era una tecnica molto praticata fino alla fine degli anni ’90 dalle più svariate celebrità del tennis come John Newcomb, John McEnroe, Stefan Edberg, Boris Becker e Pete Sampras. Questi giocatori erano soliti avanzare verso la rete subito dopo aver eseguito un servizio veloce, preciso ed angolato che consentiva loro di poter attaccare. Il metodo del serve and volley, seppur altamente spettacolare nell’esecuzione e nella realizzazione ed efficace solo grazie ad un impeccabile servizio, presenta molteplici svantaggi: il primo limite è poter trovare di fronte a sè un avversario solido da fondo campo o forte in fase difensiva che sia in grado di fare passanti e lob; il secondo è il notevole dispendio delle energie di colui che esegue questo schema a causa dei continui ed improvvisi scatti in avanti; il terzo è la superficie: il serve and volley risulta inefficace sulla terra battuta ed, in generale, sulle superfici più lente ove il rimbalzo della pallina è tale da poterla ribattere nel campo avversario.

                  Rafa Nadal è uno dei simboli del tennis odierno

Nel tennis attuale il gioco è prevalentemente basato sugli scambi da fondo campo, persino sull’erba che è la superficie per eccellenza dei giocatori serve and volley. E’ raro al giorno d’oggi vedere un giocatore scattare verso la rete subito dopo il servizio e chiudere direttamente lo scambio al volo; questo avviene perchè o si ottiene il punto direttamente col servizio o si preferisce ricorrere alla potenza attraverso un palleggio serrato da fondo campo.
Il tennis contemporaneo è uno spettacolo assicurato perchè si assiste a scambi interminabili ed avvincenti (basti vedere un match tra Nadal e Djokovic) ma il tennis classico, basato sull’eleganza, la disinvoltura e il tocco di fino è qualcosa di indimenticabile per coloro che hanno ammirato le imprese dei campioni del passato.

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