Esclusiva: intervista a Tonino Zugarelli

Antonio Zugarelli, conosciuto da tutti come “Tonino”, ha dato tanto al tennis italiano: è stato numero due d’Italia nel 1973 e ha raggiunto la ventiquattresima posizione del ranking mondiale nel 1977. Vincitore della Coppa Davis nel 1976, insieme a Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Paolo Bertolucci, e finalista degli Internazionali di Roma nel 1977 – Zugarelli vanta due tornei ATP Tour all’attivo: Bastad in singolare e Bruxelles in doppio.

La mia foto con Tonino Zugarelli al Bar del Tennis del Foro Italico


– A che età hai scoperto il tennis? È stato il tuo primo sport?

– Il tennis non è stato il mio primo sport perché all’epoca, negli anni ’50, i bambini sceglievano il calcio. Il tennis, per me, è stata quasi un’esigenza, perché nasco come un giocatore che ha fatto, prima di tutto, il raccattapalle. Provengo da una famiglia povera, perciò c’era bisogno di aiutare i miei genitori con il lavoro di raccattapalle, nei circoli sul Lungotevere, a Roma. Il tennis era uno sport d’élite, e questo era uno dei motivi per cui, dopo aver raccolto le palline per un’ora, speravo di ricevere qualche mancia. Mancia che sarebbe servita per dare una mano alla mia famiglia.

– La storia di Tonino Zugarelli sui campi da tennis è iniziata con Mario Belardinelli, all’epoca figura di spicco della Federazione Italiana Tennis e talent scout di giovani tennisti. Puoi raccontare ai nostri lettori cosa ha notato Belardinelli nel tuo gioco e quali ricordi conservi di lui ancora oggi?

– Mario Belardinelli ha rivestito una parte importantissima nella mia vita e nella mia carriera di tennista. Però si parla già di quando avevo 20 anni, periodo nel quale fui convocato al Centro di Preparazione Olimpica di Formia. Facendo un passo indietro, quando avevo circa 15 anni, ci sono stati degli eventi che mi hanno dirottato dal calcio al tennis in modo definitivo. Belardinelli non è stata, quindi, l’unica figura importante nella mia crescita di giocatore, ma ve ne sono state altre prima, risultate per me determinanti nella scelta di fare il tennista. Dopo di queste, è avvenuto il passaggio al professionismo ed ecco lì che Belardinelli ha ricoperto la parte relativa alla formazione.
Riguardo ai ricordi che ho di lui… posso dirti che era un professionista attento a predisporre mentalmente i giocatori ed aveva la capacità di entrare dentro la loro testa, a capirli e a plasmarli. Aveva tutti i requisiti per aiutarmi a raggiungere i miei obiettivi.

– Chi sono stati i tennisti italiani, della tua generazione, con i quali hai condiviso i momenti più belli della tua vita in campo? Quale rapporto umano si è instaurato con ognuno di loro?

– Ho vissuto la mia vita con diversi giocatori. Nell’ambito della Coppa Davis, ho passato tanto tempo insieme a Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Paolo Bertolucci. Però ho instaurato un’amicizia più profonda con altri tennisti, fuori dal contesto della Nazionale: per fare dei nomi, direi Vincenzo Franchitti e Ezio Di Matteo, tra tutti.
Con gli altri tre giocatori della Coppa Davis, abbiamo condiviso vittorie e sconfitte insieme. Con loro c’era sicuramente un rispetto reciproco. Ognuno aveva la capacità di stare al suo posto e di portare il suo apporto alla Nazionale, elementi che ci hanno consentito di essere coesi. Fermo restando che, per me, l’amicizia è un’altra cosa: Franchitti e Di Matteo lo sono stati nel vero senso del termine.

I protagonisti del film “Una squadra”, vincitori della Coppa Davis nel 1976 in Cile, insieme al produttore cinematografico Domenico Procacci

– Sei stato campione dell’insalatiera nel 1976 in Cile, nella squadra dei “quattro moschettieri” con Panatta, Barazzutti e Bertolucci. Il Capitano non giocatore, della formazione azzurra, era Nicola Pietrangeli, con il quale c’erano delle discrepanze. Cosa successe tra di voi negli anni ’70?

– In Coppa Davis, dall’inizio alla fine, ci sono sempre stati una grande armonia, un rispetto reciproco e un equilibrio tra i giocatori, elementi che ci hanno portato ad ottenere delle vittorie che, per noi, ancora oggi, rimangono intramontabili. I problemi che ho avuto sono nati con l’avvento del Capitano Nicola Pietrangeli, non perché non mi avesse fatto giocare, ma per una mancata considerazione da parte sua, nei miei confronti, come giocatore. Mi vedeva più come “un tappabuchi”, impiegabile nella squadra solo nei momenti di necessità. Avvertivo, quindi, che non avesse una grande stima di me, né come persona, né come giocatore. E questo era il motivo per cui mi ribellavo quando lui non rispettava le regole di convivenza. Ma non ci sono state mai, da parte mia, delle polemiche sull’esclusione o sul non avermi fatto giocare in certi incontri.

– Cosa ne pensi della nuova formula della Coppa Davis e dei risultati fin qui conseguiti dall’attuale movimento di tennisti italiani?

– La nostra Coppa Davis era strutturata in un modo completamente diverso rispetto a quella attuale. Diciamo che è rimasto soltanto il nome di quella che era la vecchia Coppa Davis, ma questo non ne toglie il prestigio e la risonanza. Anzi, devo dire che, nel 2023, il successo ottenuto dai ragazzi capitanati da Filippo Volandri, ha rivalutato la vecchia e la nuova formula. Anche se sono cambiate molte cose, i nostri tennisti italiani hanno dimostrato di tenerci alla Coppa Davis e ai colori della maglia azzurra. Prendiamo Sinner, che ha contribuito in modo importante alla vittoria dell’Italia. Ed è proprio grazie all’impegno di questi ragazzi, che hanno profuso tutte le energie per vincere, che è stata rivalutata anche la nostra Coppa Davis. Se loro non l’avessero vinta e il mondo non ne avesse parlato così ampiamente in televisione e sui social, a noi del ’76 in Cile chi ci avrebbe ricordati? Se la squadra attuale è riuscita in questa impresa, anche la squadra dell’epoca è degna della stessa considerazione. Quindi, in un certo senso, ne abbiamo avuto beneficio anche io, Adriano, Corrado e Paolo, oltre all’allora Capitano. Dopo 47 anni, è stata una gratificazione che abbiamo avuto, grazie a loro. E questo aspetto penso sia da mettere in risalto.

Nel 1982 è terminata la tua carriera da tennista professionista. In seguito, purtroppo, si è sentito parlare sempre meno di Tonino Zugarelli, pur rimanendo uno dei grandi protagonisti del tennis italiano. Facendo un breve riassunto in ordine cronologico, di cosa ti sei occupato da dopo il tuo ritiro ad oggi?

C’è da fare una premessa importante. Il professionismo, nel tennis, è nato intorno agli anni ’74-’75. Vuol dire che, prima, il tennis era dilettantismo. Non c’erano montepremi che potessero spingere i giocatori a disputare tornei lontani dal proprio Paese. Prendo, come esempio, noi quattro della Coppa Davis: mi risulta che Barazzutti sia andato solo una volta a giocare gli US Open. Anche in Australia non si andava, in quanto si dovevano spendere troppi soldi di tasca propria per provare a vincere solo una coppa. Quando mi sono ritirato, il circuito internazionale ha iniziato ad investire economicamente di più nei tornei, ma non erano comunque dei montepremi paragonabili a quelli di oggi.
Il tennis non è come nel calcio dove, quando smetti di giocare e superi l’esame di allenatore, ti occupi di professionismo, se non di Serie A almeno di Serie B. Quindi, quando si terminava la carriera di giocatore, le strade erano due: o si lavorava nella Federazione, o si era costretti ad entrare in un circolo per fare delle lezioni ed andare avanti.
Preciso che la mia carriera non mi ha arricchito, per cui, appena mi sono ritirato dal tennis giocato, ho dovuto cercare un lavoro non avendo avuto la possibilità di collaborare con la Federazione. A quel punto, ho iniziato a pensare di cosa occuparmi nel dopo tennis: decisi di investire i risparmi, che avevo da parte, in un circolo di tennis e dovetti prendere anche un mutuo. Purtroppo, però, per varie vicissitudini, questo progetto non andò per il verso giusto.
Successivamente, venni chiamato dalla Federazione e questa collaborazione durò 5 anni. Oggi, superati i 70 anni, ho trovato un po’ di stabilità nel lavoro e, grazie al Foro Italico, sono circa 7-8 anni che sto lavorando in modo continuativo.

– Attualmente ricopri il ruolo di Direttore Tecnico della scuola tennis del Foro Italico. In cosa consiste la tua attività in un palcoscenico così prestigioso a livello internazionale, come quello del Foro, che ogni anno ospita gli Internazionali di Roma?

– Il Foro Italico è una location di prestigio, nella quale faccio il coordinatore della scuola tennis. Abbiamo, circa, 170 bambini dai 6 ai 15 anni e, qui, i maestri e i preparatori atletici sono tutti all’altezza di lavorare in una scuola così importante. Sono orgoglioso di come stanno andando le cose e spero di poter dare ancora il mio apporto per qualche altro anno.

– E, infine, vorrei chiederti se vedi all’orizzonte, fra i tuoi allievi, qualcuno che abbia i requisiti per diventare una promessa del tennis italiano.

– Il Foro Italico è una scuola di avviamento: si tratta di allievi piccoli che iniziano a giocare a tennis e dei quali ci occupiamo della formazione fisica e tecnica. Nel momento in cui noto dei ragazzi con delle qualità, sono io a dirgli di scegliere dei circoli con un’attività agonistica strutturata. Al Foro Italico ce ne sono diversi che hanno delle caratteristiche in prospettiva interessanti, ma qui non le svilupperanno, in quanto noi li avviamo al tennis, dando loro una impostazione tecnica.

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Vincenzo Santopadre

Nel mondo del tennis ti conoscono tutti come la figura che ha affiancato Matteo Berrettini nel suo percorso di crescita, dai primi tornei giovanili di categoria fino agli appuntamenti nei tornei del Grande Slam. Ma prima di aver intrapreso un lungo cammino che, dal 2011, ti ha portato a formare e ad allenare Matteo, hai avuto un passato da giocatore di alto livello. Molti si ricordano del Vincenzo Santopadre ex tennista del circuito ATP, ma non tutti sanno che sei parte della grande famiglia del Circolo Canottieri Aniene di Roma.

La mia foto con Vincenzo Santopadre al Circolo degli Esteri

– Quali sono stati i tuoi primi passi verso il tennis agonistico? E quando ti sei reso conto di poter intraprendere la strada del professionismo?

– I miei primi passi verso il tennis agonistico sono iniziati all’età di 11 anni, partecipando ai tornei Under 12. All’epoca ho giocato per due anni al Circolo Junior Lanciani e, nel settembre del 1983, sono passato al Tennis Club Parioli, dove sono rimasto per circa vent’anni. Ho intrapreso la strada del professionismo subito dopo aver completato gli studi al liceo e aver conseguito la maturità, nel luglio del 1990. Da lì è cominciata la mia attività professionistica, partecipando ai tornei Satellite. All’epoca ce n’erano tre, più un Master.

Per arrivare ad essere numero 100 del mondo, c’è un percorso alle spalle di sacrificio, allenamento ed investimenti. Ma anche di vittorie e sconfitte. Quali sono gli insegnamenti più grandi che il tennis ti ha dato, in qualità di giocatore?

– Credo che qualsiasi percorso, sia nelle fasi iniziali che dopo tanti anni di attività, costi sacrificio, impegno e responsabilità, come avviene un po’ in tutti i lavori. Nel tennis si vivono delle vittorie e delle sconfitte che fanno parte di qualsiasi disciplina ma, essendo uno sport individuale, gli insegnamenti che lascia possono essere ancor più grandi. Oltre a questo, penso che il tennis sia uno sport altamente formativo, capace di trasmettere tanti valori importanti: insegna a cercare soluzioni, a rialzarsi dalle sconfitte, ad avere quindi delle opportunità di crescita attraverso gli insuccessi, ma anche a gioire delle vittorie, dopo aver lavorato per raggiungerle.
Gli insegnamenti che ho appreso, in qualità di giocatore, sono molteplici e fatico a trovarne uno solo: è uno sport dove, quello che si fa in campo, è un lavoro quotidiano, dove ci si mette alla prova, dove si cerca di essere migliori rispetto al giorno precedente.

Vincenzo Santopadre in campo al Circolo Canottieri Aniene

– Avendo tu vissuto in campo determinate situazioni, hai potuto trasferire le tue conoscenze anche ai giocatori che hai allenato: tra questi spiccano Flavio Cipolla, Nastassja Burnett e, non per ultimo, Matteo Berrettini, con il quale hai raggiunto, finora, i risultati più significativi come Tecnico e Coach. Ma prima di arrivare al famoso binomio con Matteo Berrettini, come sono state le tue esperienze precedenti?

Ho iniziato la carriera di Coach, con le prime esperienze, quando ho smesso di giocare nel 2005. Devo fare un premessa: ho avuto la fortuna di avere quattro Maestri di un calibro eccezionale, sia come persone in primis, sia come Tecnici di estremo valore. Mi riferisco a: Paolo Spezzi, Chicco Meneschincheri e Vittorio Magnelli – che ho trovato al Parioli – e a Giampaolo Coppo, con il quale ho condiviso un bel percorso. Ognuno di loro mi ha trasmesso e mi ha lasciato qualcosa. Oltre a questo, ho avuto anche la fortuna di esser entrato in contatto con 3/4 di coloro che hanno vinto la Coppa Davis nel 1976; parlo di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Paolo Bertolucci che ho avuto come Capitani in diverse occasioni. Da lì ho iniziato a formarmi come Maestro, una formazione cheho consolidato attraverso molteplici esperienze: lavorando con i più piccoli, con i ragazzi più grandi; allenando giovani agonisti, accompagnando loro nelle gare a squadre, nei tornei individuali e nei campionati nazionali di Challenger.
Tu hai citato Flavio Cipolla e Nastassja Burnett che ho seguito in passato; ho allenato anche Marina Shamayko, una ragazza russa che giocava molto bene e Jacopo Berrettini. Devo dire, insomma, che le esperienze non sono mancate.

Vincenzo Santopadre e Matteo Berrettini dopo la conquista del trofeo al Serbia Open 2021

– Qual è stata la chiave del successo nel sodalizio tra Vincenzo Santopadre e Matteo Berrettini?

– La chiave del successo nel sodalizio con Matteo credo sia stata la fiducia reciproca, la capacità di ascolto reciproco, la voglia di voler crescere insieme, di seguire un percorso mano nella mano. Lui si è fidato ed affidato e, nel tempo, abbiamo raccolto quello che insieme abbiamo costruito. Ci sono stati, fin da subito, un rispetto reciproco e delle similitudini caratteriali: credo che siamo entrambe due persone che hanno riscontrato, l’una nell’altra, grandi serietà, affidabilità, voglia di lavorare e senso del dovere. Credo di averne elencate tante, ma penso la differenza l’abbia fatta proprio questo perché, in caso contrario, un rapporto tra un allenatore e un giocatore non potrebbe durare per così tanti anni.

– Quali sono i ricordi più belli vissuti in campo con Matteo e la sua famiglia? Per intenderci, quei ricordi che, se tornassi indietro, rivivresti a pieno?

I ricordi sono tantissimi ed è difficile sceglierne uno su tutti. Ce ne sono molteplici: il primo torneo Challenger vinto a San Benedetto del Tronto, le gare a squadre che abbiamo fatto con l’Aniene, l’exploit a Wimbledon, le vittorie dopo gli infortuni, il raggiungimento delle ATP Finals. Sono veramente tantissimi. Ma quello che più mi piace ricordare, è che c’è stata una condivisione sia dei successi, sia degli insuccessi. E questo credo sia molto importante.
Ovviamente, tra i ricordi da menzionare, ci sono la progressione di vittorie a Wimbledon nel 2019, quando Matteo è arrivato, per la prima volta, alla seconda settimana di uno Slam; anche l’anno precedente aveva vinto contro Jack Sock al quinto set, rimontando da 2 set a 0 sotto. Quello è stato un grandissimo successo. Sempre nel 2019, l’anno degli ottavi di Wimbledon, non posso dimenticare la semifinale raggiunta agli US Open, dopo aver vinto una partita al cardiopalma contro Gaël Monfils nei quarti di finale.

Matteo Berrettini insieme a Vincenzo Santopadre, Lorenzo Sonego e lo staff

– Anche nelle belle cose, ci può essere una fine. Sembra banale dirlo a parole, sebbene non lo sia affatto: dopo aver accompagnato Matteo in un percorso di crescita, averlo visto esultare e gioire nelle vittorie, nei piazzamenti del Grande Slam, nella top ten… si è chiusa la lunga collaborazione, iniziata nel 2011 e terminata nel 2023 con il tennista romano. Cosa ti ha lasciato questa esperienza da un punto di vista professionale e, soprattutto, da un punto di vista umano?

– Il percorso di coaching con Matteo è stato lunghissimo e mi ha lasciato tantissimo, perché di strada ne è stata fatta e di tempo ne è passato; è stato un percorso vissuto molto intensamente, che mi ha arricchito dal punto di vista professionale in modo notevole. Anche perché, come in tutte le professioni, quando ci si dedica con passione, non si può non crescere, avendo capacità di ascolto, vedendo quello che fanno gli altri, domandando a chi ne sa di più, cercando di condividere poi il lavoro… perché, di base, abbiamo fatto un grande lavoro di squadra. Un percorso che mi ha arricchito inoltre dal punto di vista umano, sempre grazie al team, con il quale si è cresciuti tantissimo tutti quanti. Anche perché, quando si viaggia per tantissime settimane all’anno, se non si hanno delle persone con le quali condividere, non solo il lavoro, ma anche una parte extra, sarebbe una vita troppo faticosa. E invece non è successo questo, perché c’erano delle persone nel team con le quali si condivideva, sia l’aspetto professionale, sia tutto quello che era fuori dal contesto di lavoro.

Coach e Giocatore insieme: Vincenzo Santopadre, con Matteo Berrettini, finalista al Torneo di Wimbledon nel 2021

– Tutti gli appassionati si aspettano di vederti nuovamente all’opera con giovani promesse del tennis italiano. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Dopo l’interruzione del rapporto con Matteo, ho deciso di prendermi un periodo di pausa, per recuperare ed avere la capacità di poter scegliere, a mente fredda, il da farsi. Non ti nego che delle proposte siano già arrivate: alcune interessanti e altre meno, che sto vagliando. Nel frattempo, non mi sono assolutamente staccato da quella che è sempre stata, nel corso degli anni, la mia seconda casa, anche quando seguivo Matteo, e che è il Circolo Canottieri Aniene, sia con la scuola tennis sia con l’agonistica.
È un posto dove vado sempre con grandissimo piacere
ed è il circolo al quale devo tanto, se non tutta la mia carriera di allenatore e non solo.

Foto di: Vincenzo Santopadre

Federico Bazan © produzione riservata

La mia esperienza al centro estivo di Scoglitti

L’Athena Resort di Scoglitti è un residence che ospita uno dei centri estivi della Federazione Italiana Tennis e Padel per ragazzi e bambini, in una location immersa nel verde, vicino a Marina di Ragusa. La struttura offre 7 campi da tennis, di cui 4 in cemento e 3 in erba sintetica, oltre a disporre di numerose altre attività che i ragazzi possono praticare durante il periodo estivo: tennis, ma anche calcetto, basket, baseball, piscina, giochi di animazione e serate con la musica. Il tutto, sotto la supervisione di istruttori e animatori che seguono un planning prestabilito per ogni giornata.
Ma cosa significa, per una famiglia, regalare una vacanza ai propri figli in una struttura così attrezzata e all’avanguardia come l’Athena Resort di Scoglitti? Il residence è rinomato per essere una delle locations di punta della Federazione Italiana Tennis e Padel, uno dei centri estivi per eccellenza selezionati dall’Istituto di Formazione Roberto Lombardi per formare gli Istruttori di tennis e padel, accompagnandoli in un percorso qualificato di crescita ed esperienza in campo e fuori dal campo. Ed è soprattutto un contesto nel quale, ogni anno, partecipano numerosi ragazze e ragazzi da tutta Italia, avviati ed impostati a livello tecnico nei rispettivi circoli di appartenenza, molti dei quali già attivi negli eventi regionali, come la Coppa delle Province, i trofei Kinder e i Campionati giovanili di categoria. Di questi allievi, alcuni sono già osservati dai Fiduciari della Federazione Italiana Tennis e Padel, per le loro qualità tecniche e coordinative.

Entrando nel merito e parlando della mia esperienza di una settimana nel centro estivo come tirocinante Istruttore di secondo grado, posso dire di aver migliorato le mie conoscenze su come impostare una lezione di tennis, in base alle competenze e alle età degli allievi.
L’Istituto di Formazione Roberto Lombardi organizza, per i tirocinanti istruttori e i maestri che partecipano al centro estivo, delle lezioni con “una struttura a clessidra”: il maestro accoglie gli allievi in campo nei primissimi minuti, mettendoli nella condizione ideale di cominciare a giocare; introduce una fase di attivazione motoria con l’hand tennis (lancio della pallina con la mano) o in palleggio con la racchetta, in base alle loro competenze; propone una fase aperta della lezione richiamando quelli che sono gli obiettivi del giorno (per esempio sviluppare nell’allievo delle qualità di attaccante da fondo campo oppure di contro attaccante, piuttosto che di giocatore serve and volley), attraverso punti con dei vincoli specifici (come, ad esempio, tirare un vincente, scendere a rete, oppure provare un colpo di approccio); interviene nella fase centrale della lezione sulla tecnica degli allievi, correggendoli attraverso esercizi dal cesto o con la mano; infine, chiude la lezione con dei punti, ricordando loro la modalità di giocatore presa in esame durante la lezione.

Un secondo aspetto che mi porto dietro da questa esperienza, oltre al lato meramente tecnico della professione di istruttore, è il rapporto umano instaurato con le singole persone che hanno fatto parte di un grande gruppo, di una grande famiglia. Ognuno di loro ha ricoperto un ruolo all’interno del centro estivo, volto al funzionamento della macchina organizzativa. Il senso di unità e di amicizia con gli altri maestri tirocinanti è stata la chiave che mi ha consentito di vivere una settimana di lavoro in modo leggero e performante. Gli allievi maestri nazionali si sono impegnati per tutto il periodo del tirocinio a fornire agli istruttori di primo e secondo grado le indicazioni essenziali per impostare la lezione del giorno in campo, mostrando competenza e, soprattutto, grande coesione.
Senza dimenticare, il rapporto che lega noi maestri agli allievi: non è solo uno scambio nel quale si parla su come provare a superare delle difficoltà tecniche, tattiche e mentali durante il gioco, ma è una connessione nella quale non manca l’empatia verso i ragazzi e il ricordo dei momenti trascorsi insieme. I bambini arrivano nel centro estivo avvertendo, chi più chi meno, la lontananza da casa e il distacco dai genitori, ma finiscono il periodo di soggiorno nel residence con l’idea di non volersene più andare.
La possibilità di lavorare in un tirocinio della Federazione Italiana Tennis e Padel consente all’istruttore, da un lato, di acquisire nozioni nuove per migliorare la sua professione, mentre, dall’altro, di fargli vivere dei momenti di condivisione con le persone che partecipano al centro estivo.

Federico Bazan © produzione riservata

ASICS accoglie Belinda Bencic come nuova testimonial del brand

Il team di ASICS cresce di numero con l’ingresso di Belinda Bencic tra i nuovi testimonial del brand. Tennista svizzera classe ’97, la Bencic è una delle giocatrici di punta del circuito WTA, con un best ranking di 4 e, stabilmente, tra le prime 20 del mondo. Semifinalista agli US Open nel 2019 e vincitrice dei Giochi Olimpici di Tokyo 2020, la Bencic ha dichiarato di essere entusiasta di vestire il marchio giapponese: “ASICS è conosciuto in tutto il mondo come il miglior brand di calzature e abbigliamento tecnico per il tennis, grazie all’attenzione riposta nei dettagli fin dallo sviluppo del prodotto. Sono sicura che indosserò delle scarpe tra le più innovative di sempre. Sono fiera di rappresentare questa azienda, in particolare per il suo impegno nei confronti del benessere mentale e per il potere edificante dello sport sulla mente. Non potrei essere più entusiasta di unirmi al team di professionisti ASICS”. 

Il grande successo al maschile, riscontrato già dai tempi pre-Covid, da diversi top players – quali Novak Djokovic, David Goffin e Gael Monfils – è indicativo di come ASICS sia un prodotto di eccellenza per tutti quei giocatori che hanno bisogno di essere assistiti da una scarpa protettiva e flessibile al tempo stesso. I nomi dei tennisti appena citati, hanno la caratteristica in comune di basare il proprio gioco, oltre sulla ricerca del punto e dei colpi vincenti, anche su recuperi di palla impegnativi: le spaccate di Djokovic sui colpi in allungo, l’agilità di Goffin negli spostamenti e i recuperi estremi di Monfils su palle apparentemente impossibili da giocare, sono solo alcuni degli elementi che contraddistinguono i giocatori del brand ASICS.

Il team, in tempi più recenti, si è arricchito di famose presenze femminili del circuito, tra cui le top players Iga Swiatek e Caroline Garcia, che sono entrate a far parte della squadra di ASICS nel 2020.
Il 2023 ha rappresentato la volta proprio di Belinda Bencic, che è stata accolta con grande entusiasmo dall’Amministratore Delegato del Marketing di ASICS, Tomoko Koda: “Con questa carriera alle spalle, Belinda rappresenta un fantastico inserimento nella nostra squadra. Ha capito l’importanza dell’impatto positivo dello sport, traducendo questa conoscenza in risultati concreti. Questo si lega molto bene con la nostra filosofia Anima Sana in Corpore Sano e siamo entusiasti di poterla sostenere dentro e fuori dal campo”.
La Bencic indosserà, a partire dalla stagione su terra battuta, i capi d’abbigliamento ASICS e il nuovo modello delle FF Court, che ben si adattano al suo stile di gioco e che lei stessa ha definito “innovative”.

Fonti della descrizione e delle foto: Comunicato ufficiale ASICS Europe

Federico Bazan © produzione riservata

Court FF 3: la novità del 2023 firmata ASICS

Dopo il boom di vendite delle Court FF 2, ASICS ha lanciato sul mercato dell’abbigliamento tecnico sportivo il nuovo modello del 2023: le Court FF 3, progettate dall’azienda nipponica e testate dall’Institute of Sport Science di Kobe, in Giappone.
Considerando il grande successo riscontrato dai tennisti di tutto il mondo e di diverso livello, ASICS si è riproposta per soddisfare al meglio le esigenze dei propri clienti. Le Court FF 3 vantano la caratteristica innovativa di avere delle suole strutturate in tre parti, per offrire ulteriori flessibilità e comfort rispetto al passato. I risultati dei test biomeccanici, condotti presso l’ASICS Institute of Sport Science, hanno evidenziato un impatto inferiore del 7% sugli arti inferiori nel punto di contatto con il terreno, rispetto al modello precedente, riducendo lo stress sul corpo e permettendo al giocatore un recupero migliore tra un colpo e l’altro.
Prezzo consigliato al pubblico: 190,00 €

La Court FF 3 “Novak” prende il nome dall’attuale numero 1 del ranking ATP, Novak Djokovic, il quale ha collaborato attivamente allo sviluppo del progetto ed ha espresso un’opinione positiva sul prodotto: “Sono orgoglioso di condividere il mio percorso insieme ad ASICS per il lancio della loro nuova collezione e, in particolare, della nuova scarpa da tennis COURT FF 3. Ho lavorato in stretta collaborazione con il team in Europa e in Giappone per migliorare la versione precedente, che era già un’ottima scarpa. A questo punto della mia carriera, è fondamentale che le scarpe che scelgo di indossare mi diano fiducia in campo e si adattino al mio stile di gioco. E questo è esattamente ciò che ottengo da ASICS. Comprendono le mie necessità e si impegnano a migliorare anche il più piccolo dettaglio, cosa che apprezzo e rispetto. Non c’è niente di meglio che giocare con ASICS”.

Sempre più tennisti di alto livello entrano a far parte della famiglia ASICS: da Djokovic a Goffin, De Minaur, Berrettini fino al recente ingresso, come testimonial del brand, di Belinda Bencic, vincitrice di una medaglia d’oro in singolo, una medaglia d’argento in doppio alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e di otto titoli WTA. A dimostrazione di quanto ASICS si prenda cura, nei minimi dettagli, degli atleti dei circuiti professionistici, per offrire loro il miglior feeling possibile nel contatto con il terreno.

Valutazione personale:
La nuova versione delle FF Court si distingue dalle edizioni precedenti per avere il collare, che è la parte superiore della scarpa, più aderente. Questo elemento dona una protezione maggiore al tendine d’Achille e alla caviglia. È un tipo di calzata particolarmente indicata per i giocatori dai talloni e dalle caviglie sottili, in quanto le protegge in modo naturale.
Quando le indosso e le allaccio con un doppio nodo, sento che i miei piedi si adattano a questo modello di scarpe come se fosse fatta su misura per la mia calzata.

È una scarpa che permette di arrivare su palle difficili, anche a medio lungo raggio, sfruttando un’ampia falcata o scivolando sulla terra, se necessario. La FF Court 3 mi aiuta ad avere gli appoggi stabili sia in situazioni statiche, sia in situazione dinamiche del gioco. E gli appoggi sono fondamentali per trovare una distribuzione del peso ideale quando si prepara un colpo.
Tra le altre cose, posso effettuare dei recuperi che, con altre scarpe più rigide, sono impensabili, perché le ASICS hanno un rivestimento di inserti complesso al proprio esterno, ma al tempo stesso, forniscono quella leggerezza e flessibilità necessarie ad un giocatore di tennis per qualsiasi tipo di spostamento da effettuare in campo.
ASICS per me significa qualità: sono scarpe che non deludono mai le mie aspettative perché rappresentano il giusto compromesso tra comodità, performance e durata.

Voto soggettivo da 1 a 10:
Comodità (morbidezza dell’inserto e elasticità della calzata): 9
Qualità (protezione del piede e durata nel tempo): 10
Estetica (modello e colore): 9

Voto medio da 1 a 10:
9 + 10 + 9 / 3 = 9,3

Fonti della descrizione e delle foto: Comunicato ufficiale ASICS Europe

Federico Bazan © produzione riservata

Perché iscriversi alla Scuola Tennis del Circolo Antico Tiro A Volo

Il Circolo romano Antico Tiro A Volo è uno dei Club di tennis con più storia nella capitale, a partire dal lontano 1893. Situato in via Eugenio Vajna, nel quartiere Parioli, vanta un’ampia struttura con diverse attività sportive da poter praticare, tra le quali tennis, padel, nuoto, fitness e calcetto. È un circolo caratteristico, non solo per la storia del tiro al piccione e delle Olimpiadi del ’60 a Roma, ma anche per l’estendersi di un vasto giardino, immerso nel verde, con una vista suggestiva dall’alto sulla città. La Club House conserva, ancora oggi, un fascino secolare, pur non rinunciando alla modernità dell’impianto e delle attrezzature sportive.


La Scuola Tennis, gestita da Adriano Albanesi, Direttore Tecnico e Coach di esperienza internazionale, prevede dei corsi suddivisi per età, dai 5 ai 18 anni, e fasi tecniche dell’apprendimento di ciascun allievo: minitennis, pre-perfezionamento, perfezionamento, specializzazione e allenamento. Il team, con a capo Albanesi, è composto dai maestri: Federico Bazan, Carlos Rodriguez, Stefano Luzzi, Andrea Romeo e la preparatrice atletica Monica Gasbarro.
I motivi validi per cui iscriversi alla scuola tennis (SAT e corsi adulti) de l’Antico Tiro A Volo, sono numerosi: la segreteria sportiva è a disposizione delle famiglie relativamente a comunicazioni e a richieste di giorni, orari e recuperi per i propri figli. Nella quota annuale, è compreso un kit Australian di primissima qualità per ogni corsista (per vedere i capi d’abbigliamento, guarda la foto dei maestri alla fine dell’articolo).
Il circolo ha un parcheggio interno dove sostare, così da poter accompagnare più facilmente i bambini e i ragazzi a lezione. Offre 4 campi in terra battuta, tenuti in ottimo stato e rifatti periodicamente una volta all’anno in occasione del torneo femminile ITF da 60 mila dollari, nel mese di luglio. I campi de L’Antico Tiro A Volo hanno il vantaggio, non così comune in altri circoli, di assorbire molto bene l’acqua, attraverso un efficace sistema di drenaggio. Quindi, durante le stagioni autunnali e invernali, si riesce a giocare nel giro di poco tempo, qualora smetta di piovere.


I maestri decidono, ogni settimana, la programmazione degli esercizi, rinnovandola di continuo: i corsisti hanno modo, durante l’anno, di allenare tutti i colpi e i diversi spostamenti che il tennis di oggi richiede. Una delle opzioni a vantaggio degli iscritti, oltre alla varietà continua delle esercitazioni, è la possibilità per gli stessi di scegliere una formula mono o bisettimanale, in base ai propri impegni.
Sono inoltre previsti degli allenamenti extra, su richiesta del corsista che voglia recuperare dei giorni di lezione persi. A tal proposito, i Maestri Nazionali Adriano Albanesi e Lucio Luciani organizzano un planning, inserendo i corsisti anche in altri giorni, in base alle richieste, con un rapporto in campo sempre di 1 a 3 o, al massimo, di 1 a 4 (maestro e allievi).
Il corso adulti, definito “Gladiators Training” (per scoprire meglio di cosa si tratta, clicca qui), si svolge dal lunedì al venerdì tra le 19:30 e le 21:00, per i livelli principiante e intermedio. Il lunedì e il mercoledì vi sono anche due slot ad ora di pranzo dalle 13:00 alle 14:30, nei quali il livello è avanzato.
Mentre in altri circoli ci si ferma durante le festività, al Circolo Antico Tiro A Volo si continua: dal 27 al 30 dicembre e dal 3 al 5 gennaio la scuola tennis è regolarmente aperta per lo svolgimento delle attività, così come dopo la chiusura delle scuole e degli istituti, nel mese di giugno. Quando i ragazzi terminano l’anno scolastico, la scuola tennis offre ai corsisti almeno metà mese di recuperi fino al primo luglio. Quindi, chi dei ragazzi non avesse avuto la possibilità di giocare in determinati giorni durante l’anno, per impegni, pioggia, influenza o altri motivi, può fare lezione nei giorni previsti. Lo stesso discorso vale per il corso adulti.

Lo Staff tecnico de L’Antico Tiro A Volo in occasione del torneo natalizio della scuola tennis. Da sinistra a destra della foto: Andrea Romeo, Stefano Luzzi, Federico Bazan e Adriano Albanesi

Perché quindi iscriversi alla Scuola Tennis o al “Gladiators” de l’Antico Tiro A Volo? Perché si è seguiti da un team di professionisti attenti alla crescita tecnica e umana dei propri allievi, in un clima di divertimento e di allenamento intensivo. E perché si gioca per 10 mesi all’anno, senza fare mai panchina. Provare per credere.

Foto di: Federico Bazan, Autore de Il Mondo del Tennis, e Marco Lori Photographer

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Mauro Marino, fondatore di Tennis No Limits

– Quando e come nasce l’idea di creare la piattaforma online Tennis No Limits?

– Tennis No Limits è un progetto che avevo in cantiere da tanto tempo. Come docente, ho sempre sentito il bisogno di dare maggiore supporto alle centinaia di insegnanti che ho formato in tanti anni di attività, supporto che non può esaurirsi nell’arco di un corso di formazione. Le competenze che deve sviluppare un insegnante di tennis sono tantissime e la Tecnica è solo una delle tante. Ci sono aree come la Comunicazione, le Tecniche di Mental Training, l’Organizzazione, la Programmazione, la Definizione degli Obiettivi, che sono fondamentali per la nostra attività e che vengono trascurate o insegnate col contagocce nel percorso formativo di un insegnante. Per questo motivo nasce Tennis No Limits. Per dare la possibilità ad un istruttore o ad un maestro di acquisire le competenze di cui ha bisogno per eccellere nella propria professione.

– Quali sono le risposte che vuoi fornire ai praticanti ed appassionati del nostro sport, attraverso il progetto Web che hai creato?

– In realtà, all’inizio, il progetto era indirizzato solo agli insegnanti di tennis. Ma, ricevendo tantissime richieste dagli appassionati di questo sport, i cosiddetti amatori, ho allargato la comunicazione.
I giocatori amatoriali sono avidi di informazioni, sono pronti a mettersi in gioco, hanno voglia di applicare in campo nuove strategie per migliorare i propri risultati. Per certi versi, sono più ricettivi degli stessi maestri che, a volte, rimangono un po’ chiusi nel loro guscio. Per questo motivo, sul mio canale YouTube e, di conseguenza, sulle mie pagine FB e IG, pubblico anche dei video per i giocatori. In questo modo, posso dare delle risposte alle tante domande che i praticanti non trovano nei corsi che frequentano.

– Quali sono le richieste più frequenti da parte dei tuoi clienti per poter correggere e risolvere i difetti tecnico-tattici del loro gioco?

– Le richieste sono tante. Si parte da domande su come correggere aspetti tecnici del proprio gioco, per arrivare a domande su come gestire al meglio le fasi di gioco dal punto di vista tattico e mentale. Spesso l’insegnamento della Tattica viene sottovalutato, così come raramente si insegna a leggere un match e a gestire le proprie emozioni. La Tecnica, ad esempio, è uno strumento al servizio della Tattica ed insegnare cosa fare e quali soluzioni scegliere, sin dai primi colpi, è fondamentale per lo sviluppo di un giocatore. In Tennis No Limits si apprende anche questo. Non basta essere dei buoni colpitori; bisogna anche saper fare le scelte giuste in campo per ottenere risultati e saper gestire, a livello emozionale, i momenti importanti durante una partita.

Mauro Marino al lavoro con i corsisti durante una lezione dedicata agli istruttori: far capire all’allievo come superare delle difficoltà tecniche


– Nel tuo caso non ti rivolgi solo ad un pubblico di praticanti e appassionati, ma fai anche formazione a maestri ed istruttori federali. Puoi raccontarci cosa prevede questa attività di formazione? Di quali strumenti didattici ti avvali?

– Gli istruttori e i maestri che sono all’interno di Tennis No Limits hanno bisogni diversi, perché ogni realtà sportiva è differente e il target a cui si rivolgono cambia di conseguenza. La formazione, quindi, deve necessariamente spaziare tra vari argomenti. Nel nostro sistema si approfondiscono argomenti Tecnici, Tattici, si lavora sull’acquisizione di competenze che riguardano l’aspetto Mentale, per aiutare gli allievi ad esprimersi al meglio nelle loro prestazioni.
Si lavora sulla Comunicazione, per imparare a trovare la giusta interazione con gli allievi, con i genitori, con i clienti e per posizionarsi sul mercato attraverso le piattaforme Social.
Si impara a Programmare, per sapere cosa fare in campo, quando farlo ed essere sicuri di seguire il percorso giusto.
Si impara a costruire nuove esercitazioni per vari livelli di gioco e per allievi con diverse difficoltà.
Si lavora sulla video analisi e sulla match analisi.

Per aiutare questi istruttori e maestri, utilizziamo una piattaforma online alla quale si può accedere in qualsiasi momento e da qualsiasi supporto (cellulare, tablet, pc); abbiamo riunioni periodiche in diretta Live, ogni due settimane, per affrontare tutte le tematiche con gli stessi maestri. Questa condivisione e questo aggiornamento continuo sono i punti di forza del nostro sistema. Se pensiamo che un istruttore, in media, frequenta dei corsi di aggiornamento una volta ogni due anni, mentre in Tennis No Limits l’aggiornamento avviene 24 volte l’anno, mi sembra evidente la differenza di formazione alla quale ha accesso chi è all’interno della piattaforma.
Inoltre, durante i nostri appuntamenti, i maestri condividono le proprie esperienze e questa è un’altra caratteristica importante e unica. In Tennis No Limits, gli insegnanti italiani ma anche di altre Nazioni, portano le proprie esperienze nell’ambito della tematica affrontata e questo ha una forza devastante sul senso di condivisione e di appartenenza che si crea.

– Quante ore del tuo tempo giornaliero investi in campo e quante ore online per Tennis No Limits?

– Difficile calcolare le ore dedicate a Tennis No Limits. Quello che posso dire è che mi assorbe molta energia e richiede tante ore di lavoro. Ma, d’altronde, impegno, passione e duro lavoro non sono le componenti indispensabili per raggiungere qualsiasi obiettivo?

Mauro Marino nelle vesti di Docente, durante una lezione in classe con i maestri che seguono il suo corso di formazione

– L’AICS (Associazione Italiana Cultura Sport) è un’Associazione che promuove lo sport, parallela alla Federazione Italiana Tennis e riconosciuta dal Coni come Ente Nazionale di Promozione Sportiva. Fai parte della Commissione Nazionale AICS in qualità di Coordinatore e sei, allo stesso tempo, Maestro Nazionale FIT. Quali sono le differenze tra i due Enti a livello di qualifiche dei Maestri ed operatività sul territorio?

– Le differenze istituzionali sono che l’AICS si occupa di Promozione Sportiva, oltre che Culturale e Sociale, mentre la FITP, come ogni federazione, si occupa maggiormente di sport di alto livello. Queste due aree spesso si intersecano e a volte si sovrappongono, ma il concetto di base dovrebbe essere quello che ho appena esposto. Per quanto riguarda l’attività e la formazione, l’AICS è un Ente di Promozione Sportiva molto attivo e con standard elevati sia nel tennis che nel padel. Per questo motivo, siamo stati i primi a sottoscrivere una convenzione con la FITP nel lontano 2011, dopo due anni di trattative. La firma di questa convenzione è un riconoscimento da parte della FITP del valore della nostra formazione. Una qualifica AICS è un titolo prestigioso perché, per superare gli esami, bisogna avere un alto livello di preparazione sia teorico che pratico. I nostri docenti sono molto preparati e spesso, nei nostri corsi, collaborano anche alcuni tecnici dell’Istituto Superiore di Formazione “Roberto Lombardi” della FITP.
A livello operativo, siamo radicati sul territorio nazionale con oltre un migliaio di insegnanti di tennis e qualche centinaio di insegnanti di padel, che svolgono attività istituzionale AICS, sempre rispettando gli accordi sottoscritti con la FITP. Personalmente, amo pensare alla attività dell’AICS come un trampolino di lancio per i circuiti federali. Molto spesso, infatti, i giocatori fanno esperienza nei nostri circuiti e, quando si sentono pronti, si tuffano nei tornei federali ottenendo, in alcuni casi, ottimi risultati anche a livello nazionale.

– E, infine, vorrei chiederti quali saranno i tuoi piani per il futuro, visto che Tennis No Limits cresce ogni anno sempre di più.

– Qualcuno diceva “Il miglior modo di prevedere il futuro è crearlo” e questo è anche il mio motto. Quando sono partito con Tennis No Limits avevo qualche dubbio sulla risposta da parte del pubblico. Quei dubbi mi portavano a pensare: “Ma sei solo un maestro… perché pensi che il tuo progetto possa piacere? Lascia stare!”.
Io non sono una persona che molla e quindi ho continuato per la mia strada, studiando e mettendo in pratica quanto studiato. Alla fine, devo dire che i risultati mi hanno dato ragione.
Un piccolo spoiler: è in cantiere un Tennis No Limits “Player Zone” con percorsi dedicati ai giocatori di vari livelli e relativo supporto. Rimanete sintonizzati sui miei canali!

Foto di: Mauro Marino

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista ad Enrico Sellan, Maestro Nazionale ed ex sparring di Monica Seles

L’esperienza in campo di Enrico Sellan, classe ’71, si divide in più fasi: carriera di tennista professionista (classifica ATP di 700 in singolo e di 500 in doppio), tesserato al Circolo Canottieri Roma; la famosa parentesi di sparring partner con Monica Seles; Direttore Tecnico delle scuole tennis di vari circoli romani.

Insieme ad Enrico Sellan in uno dei campi del Circolo Tennis Paolo Rosi di Roma, pronti per giocare

– Hai giocato tanti anni in serie B e, per un anno, in serie A2, tesserato per il Circolo Canottieri Roma. Le modalità di allenamento che si adottavano negli anni ’90, quando eri nella rosa dei tennisti del CC Roma, erano molto diverse da quelle odierne? In cosa consistevano?

Era un altro tennis ed erano, di conseguenza, diverse le tipologie di allenamento. Io faccio parte di quella generazione a cavallo tra “la vecchia scuola” e quella moderna. Anche le conoscenze, a parte in alcuni casi, erano limitate. Non si parlava ancora di mental coach, di nutrizione e fisioterapia al seguito dei giocatori. Piuttosto, si lavorava quasi esclusivamente sui cardini del gioco, come il correre e mandare la palla aldilà della rete. Ovviamente, poi, ognuno di noi sviluppava un tipo di gioco seguendo le proprie attitudini. E le ossa te le facevi nei tornei, che erano strutturati in maniera diversa da quella odierna. Un giocatore con un ranking più basso, si misurava subito contro avversari di classifica più alta, quindi, qualora non fossi stato abbastanza allenato, rischiavi di collezionare un bel numero di primi e/o secondi turni. I tornei, tra l’altro, erano anche molti di meno rispetto ad oggi, quindi nei tabelloni trovavi svariati B1 e B2. Era sicuramente più difficile emergere. Oltretutto, non era in voga essere seguiti dal proprio maestro, quindi spesso te la dovevi cavare da solo.

– Credi che l’evoluzione del tennis sia dovuta solo al miglioramento dei materiali o anche ad un cambiamento della tecnica di gioco?

Credo che l’evoluzione dei materiali abbia determinato un’evoluzione tecnica, ma anche tattica. Con le racchette di legno, la palla andava più piano e gli scambi duravano molto di più. Con le racchette di ultima generazione, invece, si tende a fare punto il prima possibile, ovviamente semplificando il concetto.

Enrico Sellan fa da sparring all’ex numero 15 del mondo, Robby Ginepri, durante gli Internazionali di Roma nel 2006

– Quali sono i ricordi più belli e le vittorie più significative che hai collezionato nelle coppe a squadre e nei tornei?

Sicuramente le vittorie dei campionati italiani di B di doppio nel 1993, le vittorie sempre di doppio nei campionati assoluti regionali nel 92-93-97, la partecipazione agli Internazionali d’Italia nel 1992, e per ultimo, cronologicamente parlando, il titolo italiano nel 2021 nel campionato a squadre over 40 con il Canottieri Aniene.

– Vorrei chiederti, in base alla tua esperienza di giocatore, cosa ritieni sia indispensabile avere nel proprio bagaglio tecnico, tattico e mentale per poter essere competitivo in modo continuativo nelle partite di torneo e di campionati a squadre.

Sai, ognuno ha le proprie caratteristiche di giocatore e caratteriali, e non ce n’è una meglio di un’altra in senso assoluto. La bellezza di questo sport risiede anche in questo, e cioè che si possono perdere partite con giocatori tecnicamente meno validi, ma che, magari, eccellono nella lettura della partita oppure hanno una buona tenuta mentale. Detto questo, nel tennis odierno, il servizio ed il diritto la fanno da padroni. Il saper uscire da situazioni difficili variando, per esempio, la propria tipologia di gioco, è sicuramente vantaggioso. Essere determinati nei punti importanti e non abbattersi di fronte alle difficoltà, è necessario nel tennis di oggi, così come avere una grande preparazione atletica che ti permetta di giocare tutti i giorni match lunghi e combattuti.

Enrico Sellan durante un allenamento con Stefan Edberg agli Internazionali d’Italia negli anni ’90

– In quale occasione hai conosciuto Monica Seles? Come ha avuto inizio la vostra collaborazione?

Era il 1992, l’anno in cui ho giocato le qualificazioni agli Internazionali d’Italia, e lei alloggiava (come quasi tutti i giocatori) all’Hotel Hilton, che ha 2 campi da tennis. Spesso i giocatori preferivano allenarsi lì, lontano dai riflettori e dai fans. Io conoscevo bene i maestri che insegnavano su quei campi e Monica chiese loro degli sparring partner con cui allenarsi. Uno fra quelli chiamati ero io e, durante l’allenamento, mi si avvicinò il padre per chiedermi se avessi potuto andare con loro al Roland Garros. Il giorno della finale vinta contro Steffi Graf a Parigi, entrai in contatto con il manager della Seles che mi prolungò il contratto per i giorni che intercorrevano fra Parigi e Wimbledon e, successivamente, per tutto il torneo londinese. Il giorno della finale sull’erba persa con la Graf, mi prolungarono il contratto fino al 31 Dicembre dello stesso anno.

– Come organizzavi una sessione di allenamento con la Seles? Il lavoro di sparring partner ti permetteva anche di parlarci per darle dei consigli tecnico tattici sul suo gioco?

Le sessioni di allenamento erano sempre concertate fra il padre, suo coach, e me. Quasi sempre, visto che si svolgevano all’interno di vari tornei, si andava a vedere l’avversaria successiva di Monica e poi si cercava di replicarne il gioco nell’allenamento. In ogni caso, sia lei che il padre, volevano assolutamente che io partecipassi attivamente agli allenamenti suggerendo soluzioni a determinate situazioni o, semplicemente, esprimendo pareri sul gioco. In partita poi ci pensava da sola, noi ci limitavamo ad incitarla e ad incoraggiarla nei momenti difficili.

Enrico Sellan segue i ragazzi dell’agonistica alla Rome Tennis Academy

– Quando hai realizzato che il lavoro di Maestro sarebbe stata l’attività principale della tua vita? Quali sono, dal tuo punto di vista, le gioie, da un lato, e gli insegnamenti più grandi, dall’altro, che questa professione può dare a chi la esercita?

Da piccolo sognavo di diventare fra i giocatori più forti del mondo, come tutti del resto. Poi, una volta raggiunta l’età in cui si devono fare delle scelte, anche per motivi economici, mi è sembrato naturale scegliere la professione del maestro. Ma non pensavo mi desse tante soddisfazioni, invece più passa il tempo e più le soddisfazioni crescono. Dal bambino principiante che impara a palleggiare e a partecipare alle prime competizioni, al giocatore già adulto che, magari, si sta affacciando al mondo semi-professionistico, agli atleti professionisti. Ogni categoria sa darti emozioni, se fai questo lavoro con passione. Il tennis è uno sport individuale, ed anche se hai intorno a te maestri, preparatori e altre figure professionali, alla fine in campo ci vai da solo e devi sbrigartela da solo. Quindi, per me, è uno sport che forma il carattere come poche altre discipline sportive.

– E, per concludere, i tuoi progetti per il futuro nell’ambito della tua professione. Ti sei posto degli obiettivi tennistici da qui a medio-lungo termine?

Negli ultimi anni mi sono dedicato a ragazzi che facevano attività agonistica o semi-professionistica; da settembre del 2022 sono rientrato nella scuola tennis del Circolo Canottieri Aniene, dove seguo prevalentemente il settore agonistico e pre-agonistico. Il mio impegno è portare a questi ragazzi, che sono ancora molto giovani, le mie competenze e le mie esperienze, in modo che possano crescere nel minor tempo possibile. Ho trovato uno staff ottimo dal punto di vista tecnico con il quale ho gran piacere a confrontarmi e lavorare insieme tutti i giorni, con l’obiettivo di migliorare sempre di più il livello del gruppo, senza avere fretta perché sappiamo molto bene che ci vuole tempo per raggiungere quanto ci siamo prefissati.

Foto di: Enrico Sellan

Federico Bazan © produzione riservata

Roger Federer annuncia il ritiro dal tennis: lo fa con una lettera commovente

Leggendo la lettera di addio di Federer al tennis, la prima cosa che mi ha positivamente colpito, è stata la gratitudine di riconoscere, nelle altre persone, il motivo del suo successo. Inizia a scrivere dicendo: “Di tutti i regali che il tennis mi ha dato negli anni, il più grande, senza dubbio, sono state le persone che ho incontrato lungo il cammino: i miei amici, i miei rivali, e più di tutti i sostenitori che danno vita a questo sport”. E subito piovono i ringraziamenti verso la moglie, i figli, i genitori, gli allenatori, gli sponsor, gli organizzatori, i tennisti rivali in campo e i sostenitori. Il sotto testo di Roger per loro è, in sintesi: “Senza di voi, non sarei qui a scrivere queste parole adesso”.

Il secondo elemento all’interno della lettera che non riesco ad ignorare, è l’umiltà nel valutare se stesso, malgrado quanto di grande e, probabilmente, irripetibile abbia conseguito in uno sport come il tennis, nell’era Open, in termini di record e vittorie. Oltre ai numerosi ringraziamenti e riconoscimenti, Federer aggiunge:
“Il tennis mi ha trattato più generosamente di quanto non avrei mai pensato”.
“Mi considero una delle persone più fortunate sulla Terra. Mi è stato dato un talento speciale nel giocare a tennis e l’ho portato ad un livello che non avrei mai immaginato per un tempo che non avrei pensato possibile”.

Ma soprattutto, è meravigliosa la sua originalità nel trovare le parole, come del resto l’estro delle giocate e delle magie a cui ci ha abituati quando lo abbiamo visto in campo esprimersi come solo lui sa fare: “Gli ultimi 24 anni nel circuito sono stati un’avventura incredibile. Mentre a volte ho la sensazione che siano passati in 24 ore, è anche profondo e magico che sembra come se avessi già vissuto una vita intera”. Del resto, i giorni che noi viviamo sono composti proprio da 24 ore. E il suo parallelismo calza alla perfezione.

Conclude la lettera, ripartendo dalle origini degli occhi di un bambino sognante: “Quando il mio amore per il tennis è sbocciato, ero un raccattapalle nella mia città natale di Basilea. Guardavo i tennisti con un senso di stupore. Erano come dei giganti per me ed io ho iniziato a sognare. I miei sogni mi hanno portato a lavorare duramente e a cominciare a credere in me stesso. Un insieme di vittorie mi hanno dato fiducia e consentito di incamminarmi verso il viaggio più straordinario che mi ha portato a questo giorno”.

Caro Roger, tu hai sognato guardando gli altri tennisti giocare quando facevi il raccattapalle a 12 anni. Mentre io ho sognato ad occhi aperti guardando giocare te contro Rafa nella finale del 2006 a Roma, quando anche io, casualmente, avevo 12 anni. Ed è da quella partita sul Centrale del Foro Italico, la mia prima in assoluto vista dal vivo, che la mia passione per il tennis è sbocciata in modo preponderante.

Ho avuto la fortuna di crescere guardando le tue partite, i tuoi colpi e le tue invenzioni. E, naturalmente, i tuoi più grandi avversari in campo.

Grazie.

Foto di: Pagina Facebook di Roger Federer

Federico Bazan © produzione riservata

Guida al Museo Xperience Rafa Nadal

Il Museo Xperience si trova dentro alla Rafa Nadal Academy e si divide su due piani. L’entrata al pubblico è disponibile dalle 10:00 di mattina fino al pomeriggio e il biglietto d’ingresso costa nove euro. La visita dura circa un’ora, ma ci si può trattenere per fare delle foto ed osservare tutto nel minimo dettaglio.
Il Museo è dedicato alle vittorie, ai trofei e ai record del campione spagnolo. Ma non solo. Ci sono, ben custodite all’interno di un vetrina, le racchette originali dei tennisti del passato, da Rod Laver e Manolo Santana, passando per John McEnroe, Stefan Edberg, Boris Becker fino ai campioni odierni; di queste, si può apprezzare l’evoluzione dei telai e dei materiali negli anni, in base al periodo storico nel quale sono stati usati.
Nel Museo è possibile fermarsi a guardare dei video in modalità touch screen dove sono visibili i punti più belli di Nadal nei tornei maggiori; è possibile, inoltre, giocare a tennis in 3D, colpendo una pallina con una racchetta immaginaria, per spedirla sopra alla rete in una zona del campo scelta dal computer; oppure fare il giudice di linea gareggiando con un avversario in contemporanea per decretare se la palla tocchi la riga oppure sia fuori.

All’ingresso, i visitatori vengono accompagnati dalle guide in un corridoio dove si chiudono le porte ed è riprodotto un audio, dal quale proviene il rumore dei tifosi prima dell’ingresso in campo dei giocatori. Si percepiscono i loro passi, i loro movimenti delle scarpe sul terreno e l’impatto della pallina sulle corde della racchetta. Finito l’audio, si accede alla struttura dove vi è una specie di sala giochi e, se si continua il giro, si trovano le racchette d’epoca di Santana, Laver, Vilas, McEnroe, Lendl, Becker e quelle dei giocatori odierni tra cui Nalbandian, Federer, Nadal, Djokovic e Thiem. Intorno ai telai d’epoca, compaiono sui muri del Museo alcune foto e tutti i record di Rafael Nadal: il numero di Slam vinti, lo storico del ranking, il numero di settimane da numero 1 del mondo nei vari anni, i piazzamenti ottenuti nelle prove del Grande Slam dal 2003 ad oggi, la percentuale di vittorie in carriera, l’anno e il nome degli avversari battuti nelle finali Slam.

Scendendo al piano di sotto, c’è una stanza buia con delle vetrine illuminate; dentro a queste, vi sono tutti i trofei più importanti vinti da Nadal nella sua carriera, in ordine cronologico. Da sinistra verso destra si comincia con la vittoria a Les Petit As nel 2000, i tornei delle Baleari e i primi Challenger, come l’Open di Barletta. Spostandoci verso destra, possiamo apprezzare il primo titolo ATP 250 del tennista maiorchino, conquistato a Sopot nel 2004. Continuando la visita nel Museo, compare la carrellata dei tornei su terra battuta più vinti in assoluto dal tennista spagnolo: tutti i trofei di Monte Carlo, Barcellona e Roma.
Infine, si arriva ai trofei del Grande Slam, custoditi in una bacheca a parte. In quest’ultima, è possibile guardare un video proiettato sul muro che parte in automatico, dove gli atleti più celebri di diverse discipline sportive raccontano il segreto del successo, in chiave motivazionale.

Lasciando alle spalle la bacheca dei trofei, si possono apprezzare anche i vestiti indossati da Nadal in campo nelle quattro prove del Grande Slam, con i rispettivi trofei e le foto del campione che alza la coppa.

Un Museo interamente da gustare, che a parole si può descrivere ma che, in presenza, si vive in un’altra dimensione. Per i fan sfegatati di Rafa Nadal potrebbe essere considerata una seconda casa, ma anche per dei semplici appassionati della racchetta è sicuramente una scoperta interessante da aggiungere alle proprie esperienze tennistiche e turistiche.

Federico Bazan © produzione riservata