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Fabio Fognini non finisce di stupire: il ligure vince in rimonta la finale dell’ATP 250 di San Paolo

Brasil OpenQuando Fabio Fognini, a Montecarlo, in un momento di frustrazione, si rivolse al suo angolo dicendogli: “io la faccia la metto sempre quando va male”, c’era un motivo; un motivo che spiega tutto l’emblema di un tennista dal talento straordinario, spesso caricato di aspettative ma puntualmente rimproverato per un comportamento considerato indolente. Fognini, pur avendo probabilmente esagerato nei modi e nei toni a prendersela con il suo team in quella circostanza, ha dimostrato più volte di poter vincere partite importanti in situazioni di gioco e di punteggio sfavorevoli. Il tennista ligure, infatti, vanta una statistica interessante che lo vede agguantare sei finali nei tornei ATP, di cui la metà vinte dopo aver perso il primo set; un dato indicativo del fatto che, quando la situazione è sembrata sfuggirgli di mano, il tennista ligure è riuscito comunque a trovare lo spunto vincente. E non si tratta solo di finali vinte in rimonta, ma anche di partite di ordinaria amministrazione. Pensiamo al Rio Open, dove Fognini si è imposto su Thomaz Bellucci per 6-7, 7-5, 6-2; su Tennys Sandgren per 4-6, 6-4, 7-6; su Aljaz Bedene per 6-7, 6-3, 6-1. O pensiamo a imprese ben più grandi come la vittoria in rimonta su Rafael Nadal agli US Open 2015, da due set sotto nel punteggio, o alle vittorie nette su Andy Murray, che non poté nulla né a Napoli né a Roma contro un Fognini magistrale: un insieme di prove di maturità per il tennista di Arma di Taggia che confermano le sue qualità, malgrado tutte le avversità del caso.

La finale del Brasil Open ha visto Fognini opposto al giovane tennista cileno Nicolás Jarry, classe ’95, prospetto interessante per il tennis sudamericano. Un giocatore in crescita, che ha estromesso nella tournèe sudamericana due ex top 20 come Pablo Cuevas e Albert Ramos Viñolas e che lo ha portato a disputare la sua prima finale di un torneo ATP.
Anche in questo caso Fognini era sotto di un set contro un giocatore che, stando alle differenze di classifica, non avrebbe dovuto impensierirlo più di tanto. E invece il giovane Jarry, per tutto il primo parziale, ha lasciato andare accelerazioni notevoli; ha servito prime palle di servizio molto angolate che non consentivano a Fognini di creare gioco. Il ligure, infatti, dava l’idea di non muoversi bene in campo e di accusare, durante il primo set, problemi di tempo sulla palla, dovuti probabilmente al posizionamento molto arretrato in risposta. Ma quando Jarry ha cominciato a perdere le misure del campo con le numerose accelerazioni forzate, Fognini ha innestato una marcia superiore, iniziando a carburare punto dopo punto, a riproporre il gioco variegato ed efficace che lo contraddistingue.

L’ex numero 13 del mondo si complica un po’ la vita ma si impone per 1-6, 6-1, 6-4. Torna nuovamente nella top 20, attestandosi temporaneamente alla posizione numero 19. Dedica, infine, durante la premiazione, la vittoria del torneo al capitano e difensore della ACF Fiorentina, Davide Astori, deceduto per un arresto cardiaco, tra sabato 3 e domenica 4 marzo.
Un Fognini, dunque, che ha dato una bella prova di maturità, dentro e fuori dal campo, e che continua a tenere alto il livello del tennis italiano.

Federico Bazan © produzione riservata

Roger Federer ininterrotto: lo svizzero conquista il ventesimo Slam in venti anni di carriera

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Il numero 20 rappresenta qualcosa oggi per Roger Federer: con la vittoria agli Australian Open 2018, lo svizzero conquista infatti il ventesimo torneo del Grande Slam in venti anni di carriera, il che significa, in media, uno Slam all’anno da quando esordì nel circuito ATP, ovvero dal 1998, ad oggi. L’elemento che non coincide con questo numero è che l’elvetico non ha più i venti anni durante i quali, all’epoca, mostrò al mondo quell’estro che lo avrebbe portato ad essere uno dei tennisti più forti di tutti i tempi; ma di anni ne ha quasi il doppio. Come ha affermato lo scrittore e aforista Roberto Gervaso, “I vent’anni sono più belli a quaranta che a venti”; un modo per dire che Federer, nel momento in cui si ritirerà e non si troverà più quindi a ripetere la routine nel circuito tra allenamenti, tornei e finali, probabilmente godrà appieno dei suoi quarant’anni, grazie a quanto di buono fatto e costruito nei venti e nei trenta. Ma per Federer non è finita qui. Lo svizzero, infatti, a quasi 37 anni, non smette mai di migliorarsi e di ambire a risultati stellari, il che la dice lunga sulla sua forma fisica, sulla concentrazione mentale, sulla voglia instancabile di ripetersi nelle grandi imprese e, naturalmente, sulla collaborazione con Ivan Ljubičić che ha dato un valore aggiunto al tennis dell’elvetico.
Con la vittoria nella finale degli Australian Open 2018, opposto al croato Marin Cilic, Federer ha dato prova che l’età è solo un numero e che, momentaneamente, non esiste una concorrenza nel circuito ATP che si trovi nelle condizioni di interrompere il suo dominio.
Fatte queste considerazioni, ci sarebbe da interrogarsi sul perché Federer, alla sua età, stia per tornare ad essere il numero uno del mondo, dopo il trionfo agli Open di Australia. Il motivo potrebbe celarsi in due riflessioni distinte: la prima è che Federer abbia realmente un tennis inarrivabile per gli avversari e che quindi nessuno riesca effettivamente ad ostacolare il gioco dell’elvetico nel momento in cui lo stesso Federer decida di giocare il suo tennis, quello che impedisce agli avversari di esprimere il loro gioco. Questa tesi potrebbe essere avvalorata dalle statistiche della finale con Cilic: Federer ha servito il 36% di prime palle in campo, un numero che lascia intendere come lo svizzero, seppur non al massimo nel rendimento al servizio, abbia comunque portato a casa la finale, contro un avversario reduce comunque da una vittoria Slam (US Open 2014) e da una finale a Wimbledon.
La seconda, ed è forse la tesi più verosimile, è che il Federer odierno non ha più dall’altra parte della rete i campioni di una volta, il Nadal, il Djokovic e il Murray degli anni d’oro. Gli ultimi scontri diretti con Nadal pendono infatti dalla parte dello svizzero. E questo potrebbe essere un segnale che spiega, in parte, l’inarrestabilità attuale del tennista di Basilea.
Un altro elemento che rende Federer un campione ininterrotto sono i sorteggi non semplici avuti negli ultimi tornei del Grande Slam. Pensiamo a Wimbledon 2017 dove Federer incontrò al primo turno Dolgopolov, un giocatore insidioso e imprevedibile; Miša Zverev, che su erba è un giocatore ostico per le caratteristiche di gioco; Dimitrov agli ottavi, Raonic ai quarti e Berdych in semifinale, prima di avere la meglio su Cilic nell’ultimo atto. Lo stesso è avvenuto: agli US Open 2017, dove lo svizzero ha dovuto battere, nell’ordine, Tiafoe, Južnyj, López, Kohlschreiber, prima di arrendersi a Del Potro; agli Australian Open 2018, il cui tabellone lo ha visto disimpegnarsi contro nomi di spicco del circuito tra cui Gasquet, Berdych, la nuova stella del tennis, Chung, e, in finale, lo stesso Cilic.

È incredibile come Federer non finisca mai di stupire: ventesimo torneo del Grande Slamnintchdbpict000381230195-e1517145695200 conquistato, novantaseiesimo titolo ATP vinto, 82% di vittorie in carriera e i record continuano a piovere.
A fine match, durante la premiazione, si sono udite le parole di un tennista incredulo e sorpreso di se stesso per quanto realizzato; si sono viste le lacrime di un tennista che sa quanto ha dato e sta dando al tennis, ai suoi tifosi, a tutte le generazioni che lo hanno visto e lo stanno vedendo giocare; la commozione di un campione che continua a lottare sul campo e che, al tempo stesso, non nasconde la consapevolezza di avviarsi alle ultime battute di una carriera memorabile.

Federico Bazan © produzione riservata

Caroline Wozniacki è la nuova regina degli Australian Open: la danese vince il suo primo torneo del Grande Slam in finale con Simona Halep

halep wozniackiErano anni che Caroline Wozniacki cercava la vittoria in un torneo del Grande Slam. La danese, infatti, aveva sempre vinto, in passato, tornei Premier e International ma, quello che è mancato a lungo nella sua bacheca, era un sigillo di più alto prestigio come le WTA Finals e una delle quattro prove del Grande Slam. Proprio in queste, la Wozniacki arrivò nell’ultimo atto in due occasioni, ed entrambe a New York, nel 2009 e nel 2014, senza però mai riuscire a completare l’opera. La missione della danese, nella finale degli Australian Open 2018, opposta a Simona Halep, sarebbe stata quella di giocarsi una partita decisiva, sia per l’economia della carriera (vincere il primo Slam), sia per la classifica (in caso di vittoria, tornare numero uno del mondo), dopo aver disputato undici anni nel circuito WTA; e, naturalmente, con il coronamento di un sogno, avrebbe anche sfatato il taboo delle due finali perse negli Slam.
Dalle ipotesi, la Wozniacki è passata ai fatti: il successo della tennista di Odense, dovuto ad una grande solidità e continuità durante tutto l’arco del torneo, è arrivato in una partita che l’ha vista opposta ad una Halep generosa, disposta a sacrificarsi, malgrado i problemi fisici e la stanchezza nelle gambe, patita durante i match precedenti, decisi al tie break del terzo set, contro la Davis (4-6, 6-4, 15-13) e la Kerber (6-3, 4-6, 9-7). La finale femminile degli Australian Open ha però premiato una Wozniacki più lucida e più solida da fondo campo che ha retto botta al gioco offensivo della Halep, la quale faticava a spostarsi per la mancanza di energie ma che, nonostante i problemi evidenti, riusciva a spingere e a manovrare gli scambi. Tra le due, ha prevalso la danese che si è aggiudicata il tie break del primo e, al terzo set, ha fatto la differenza nei punti importanti, quando si trovava a remare, lontano dalla riga di fondo campo.
A fine partita, le lacrime di una Wozniacki finalmente realizzata per quel che riguarda iCaroline Wozniacki suoi obiettivi professionali: l’aver vinto le WTA Finals a Singapore, in primis, che le ha dato probabilmente quella fiducia necessaria a compiere il salto di qualità; e la vittoria agli Australian Open, che le ha consentito di tornare numero uno del mondo, con un bottino ben più grande nelle mani di tutti i precedenti conquistati. Una Halep, dall’altro lato, che esce a testa alta da una edizione degli Open d’Australia dove ha vinto con merito e fatica delle partite complicate e che ha provato, proprio come la Wozniacki, a mettere la firma su quello che sarebbe stato il suo primo Slam, dopo aver raggiunto due finali al Roland Garros (2014 e 2017), senza però riuscire a vincerle.
Quel che attendeva la Wozniacki si è avverato, dopo anni di crescita e miglioramenti costanti. Adesso tocca alla Halep che, per lo spirito di sacrificio, ha dimostrato di avere la stoffa di una campionessa Slam.

Federico Bazan © produzione riservata

I top five del ranking ATP, tra presente e futuro

Gli appassionati di tennis sperano che i Fab Four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray) – in particolare Federer e Nadal – continuino a giocare a livelli entusiasmanti per altri anni, in quanto, molti di loro, oltre ad una mera questione di tifo e di amore verso il tennis, non vedono all’orizzonte qualcuno, tra le giovani promesse, che abbia un tennis sufficientemente incisivo da potersi avvicinare alle imprese compiute dallo svizzero e dallo spagnolo in passato. Il circuito ATP andrebbe certamente avanti con l’assenza dei Fab Four, ma sarebbe inevitabile, per chi ama il tennis, nutrire un senso di nostalgia verso due leggende di questo sport come Federer e Nadal, che hanno segnato intere generazioni e che continuano a segnarle, malgrado siano ormai passati più di dieci anni dalle finali storiche di Roma e di Wimbledon, dove i due, giovanissimi, si trovavano nel fior fiore della loro avvincente rivalità sportiva.
Più tardi sarebbero emersi Novak Djokovic e Andy Murray, sebbene in misura minore rispetto a Federer e Nadal in termini di vittorie, record bissati e spettacolarità di gioco (specialmente lo scozzese, ancora molto lontano dai bottini espugnati dagli altri tre); Djokovic e Murray, dal 2011 al 2016, hanno espresso però un livello di tennis tale da accantonare in più occasioni lo strapotere dell’elvetico e del maiorchino, quelli che, fino a quel momento, erano i due più grandi dominatori del circuito ATP, il numero uno e il numero due del ranking a correnti alterne.
Con l’affermazione di Djokovic nel 2011 (sfiorato il Career Grande Slam con le vittorie degli Australian Open, Wimbledon e gli US Open) e la consacrazione successiva di Murray nel 2012 (vittoria agli US Open), veniva fuori appunto “il mito dei Fab Four”, nome che nasce in riferimento alla storica band dei Beatles e che successivamente è stato attribuito dai media ai quattro tennisti più forti dei tempi odierni o, se non ai più forti, senz’altro tra i più noti al pubblico, conoscitore e anche non conoscitore di tennis.
Sebbene attualmente vi siano dei fuoriclasse o dei futuri campioni (tra le Next Generation e non solo) ed è indubbio che vi siano, ad ogni modo, i tennisti delle nuove generazioni difficilmente potrebbero eguagliare o, addirittura, superare le imprese scalfite da un Federer o da un Nadal. I Fab Four, in fin dei conti, se oltre a Federer e Nadal aggiungessimo Djokovic e Murray dei tempi migliori, sono tra i pochi che hanno sempre dato una scossa all’opinione pubblica, proprio per i record realizzati e le sfide disputate uno contro l’altro nelle finali Slam. Come tutte le cose belle, però, anche Fedal terminerà, pur nell’amarezza dei tifosi del tennis. E a prendere il loro posto nel ranking chi ci sarà?
ZverevUn’ipotesi valida vede Alexander Zverev diventare prossimamente il nuovo numero 1 del mondo, non appena Federer e Nadal cederanno la corona alle nuove leve. Le possibilità per il giovane tennista di Amburgo di raggiungere la vetta della classifica ATP, sono quasi dietro l’angolo: basti pensare che, in una sola stagione, Zverev ha vinto due Masters 1000 come Roma, battendo in finale Djokovic, e Montreal, estromettendo in due set Federer, nell’atto conclusivo del torneo canadese.
Ad appena 20 anni, il tedesco è numero 4 del mondo, e questo fattore legato all’età, lascia intendere, già da ora, come Zverev possa essere uno dei protagonisti di spicco del circuito ATP negli anni a venire, sia perché ha il carattere per stare in vetta alla classifica (non sente la pressione di giocare contro i big del tennis e, come è già avvenuto, di batterli), sia perché ha il gioco per imporsi nei tornei importanti. E, in quel gioco, magari non spettacolare ma completo, oltre ad avere tutti i colpi ad altissimo livello, può contare molto sul rovescio, probabilmente uno dei migliori in circolazione tra quelli giocati a due mani.

Dominic+Thiem+2017+Open+Tennis+Championships+dOvBR_84t8cx_0-715x477Un altro nome che potrà ambire alla conquista di palcoscenici importanti, primo fra tutti il Roland Garros, è Dominic Thiem. L’austriaco ha mostrato un tennis stellare sulla terra battuta e, sebbene non sia una Next Gen, ha la stoffa per realizzare grandi imprese. Thiem dovrà però attendere la fine del dominio sul rosso di Rafael Nadal che, per il momento, rimane il vincitore indiscusso dello Slam parigino. L’austriaco – salvo l’ostacolo rappresentato proprio da Nadal che vanta due vittorie al Roland Garros, in due scontri diretti, sul tennista di Wiener Neustadt (il primo risale al secondo turno del RG 2014 quando il maiorchino vinse 6-2, 6-2, 6-3; il secondo è la semifinale del RG 2017, nella quale Nadal si impose per 6-3, 6-4, 6-0) – ha dato prova di esprimere un livello di tennis molto alto attraverso delle accelerazioni esplosive che lo rendono un giocatore ostico per chiunque. Il suo gioco rende paradossalmente meglio sul rosso perché Thiem resta abitualmente molto dietro alla linea di fondo campo e riesce a destreggiarsi bene sia in fase difensiva che quando lascia andare le sue poderose sventagliate.

David GoffinUn terzo nome, non meno importante, è quello di David Goffin, che nel finale del 2017, ha tirato fuori un tennis da top five. Non è riuscito a vincere le Finals di Londra (perse nell’ultimo atto contro Grigor Dimitrov) e la finale di Coppa Davis in Francia, ma i trionfi su Nadal e Federer alla O2 Arena e i due punti portati al Belgio in Coppa Davis, a Lille, hanno evidenziato il salto di qualità del belga, classe ’90; salto di qualità esploso in una seconda fase della sua carriera, che potremmo definire della maturità.
Se il tennista di Rocourt continuerà ad esprimere quel livello di tennis propositivo che lo ha portato a liquidare Nadal, Federer e Tsonga nel giro di due settimane e ad arrivare in finale a Londra, potrà puntare a traguardi ancora più soddisfacenti, primo fra tutti la conquista di uno Slam che ancora manca nella sua bacheca. Volendo azzardare un accostamento pugilistico sul belga, potremmo definirlo un peso leggero con dei colpi da pesi massimi. È infatti un giocatore dal fisico mingherlino che fa leva sulla rapidità dei piedi negli spostamenti, che arriva bene sulla palla ed ha al contempo, dalla sua, un tennis offensivo, fatto di vincenti e discese a rete. Anche Goffin, come Zverev, ha nel rovescio il suo marchio di fabbrica.

Grigor DimitrovLa vera sorpresa che potrebbe, tra gli altri, raggiungere la vetta della classifica ATP, si chiama Grigor Dimitrov. Il bulgaro, attuale numero 3 del mondo (fin’ora suo best ranking), ha chiuso il 2017 vincendo il Master 1000 di Cincinnati e le Finals di Londra, tra lo stupore generale del pubblico, a seguito di annate tutt’altro che esaltanti (si pensi al 2015 e al 2016 dove il bulgaro non ha collezionato alcun trofeo, nemmeno tra gli ATP 250). Il tennista di Haskovo ha il talento per stare nei primi cinque del mondo; bisogna però capire se riuscirà a dare continuità al suo gioco, oppure se vivrà altre stagioni sotto tono, come quelle degli anni passati (2015 e 2016).

Per finire, tra le Next Generation, spicca il nome di Andrej Rublëv, più indietro degli appena citati in termini di punti e classifica, ma con il gioco adatto a sfondare. Se il russo trovasse sempre, con le sue accelerazioni devastanti, l’incrocio delle righe, diventerebbe semplicemente ingiocabile per tutti. Il problema più grande di Rublëv, però, è che ha unRublev-fh tennis rischioso e con pochissime variazioni. Questo vuol dire che, forzando tutte le palle, ha più possibilità di errore rispetto agli altri giocatori. In questo aspetto, assomiglia molto al connazionale Karen Chačanov per il tipo di soluzioni tecniche. Se aggiungesse qualche variazione al suo gioco, il russo potrebbe ridurre i rischi nelle scelte tattiche e, di conseguenza, trovare più regolarità nel gioco.

Ci sarebbero poi altri candidati alla top five, naturalmente. Non è da escludere un ritorno scoppiettante di Juan Martin Del Potro che, seppur attualmente non si trovi ai suoi massimi storici, può però tornare a competere ad armi pari con i top players del circuito. Magari non da numero uno del mondo per un tempo ininterrotto, però tra i primi cinque della classifica è probabile. Dipenderà tutto dalla sua condizione fisica, lontano da ulteriori infortuni, che in passato lo hanno destabilizzato in modo determinante; a scanso di inconvenienti, infatti, Del Potro ha il gioco e lo spirito di sacrificio per valere tra i primi al mondo.

Juan-Martin-Del-Potro-VS-Marcel-Granollers

Quanto agli infortunati del 2017, come Djokovic, Murray, Wawrinka, Nishikori e Raonic, per loro si apre una nuova fase. E in questi casi, o è una fase esaltante, tale per cui ognuno di loro ritroverà il suo miglior tennis, oppure, al contrario, risulterà al di sotto delle aspettative. Specialmente per i primi tre che ormai hanno superato i 30 anni, il 2018 sarà l’anno delle conferme, forse quello decisivo nell’economia della loro carriera per capire se potranno stare ancora dietro a Federer e a Nadal in classifica o, al contrario, se allenteranno definitivamente la presa.

Federico Bazan © produzione riservata

Filip Krajinovic vince l’ATP Challenger del Due Ponti Sporting Club

Filip Krajinovic trofeoIl Due Ponti Sporting Club ha dato il via alla terza edizione del BFD Challenger, torneo con un montepremi di 43 mila euro, che ha ospitato professionisti ATP di alto livello, in buona parte italiani e spagnoli, tra cui anche due ex top ten: Tommy Robredo (ex numero 5 del mondo) e Nicolas Almagro (ex numero 9 ATP).
Questa edizione del torneo, malgrado le previsioni pendessero dalla parte dei tennisti iberici, ha visto imporsi il talento serbo Filip Krajinovic, che, dopo la conquista del trofeo, da numero 105, è rientrato nei primi 100 del mondo. Krajinovic, compagno di squadra di Coppa Davis di Novak Djokovic, vanta non a caso un best ranking di 87, sebbene potenzialmente valga qualcosa in più. Questo valore aggiunto del giocatore serbo lo si può constatare in virtù di una serie di vittorie nei Challenger, contro giocatori che sono stati in passato top 50: tra questi, Lukas Rosol, Guido Pella, Guillermo Garcia-Lopez e Daniel Gimeno-Traver, ex 48 del mondo, battuto proprio dal tennista di Sombor nell’atto conclusivo del torneo del Due Ponti, in una finale dove si è vista la differenza di rendimento tra i due giocatori. Krajinovic, in piena fiducia, ha concesso pochissimo al suo avversario, mentre Gimeno-Traver, in fase di ripresa dopo un periodo di infortuni debilitanti, ha giocato il suo tennis cercando di premere da fondo campo ma, rispetto al serbo, incappando più spesso in errori non forzati.

Filip Krajinovic

Dal punto di vista tecnico, Krajinovic è un giocatore solido che ha probabilmente nel dritto il suo fondamentale migliore, colpo con cui si procura il punto con più facilità.
Provenendo dall’accademia americana di Nick Bollettieri e avendo imparato a giocare sul veloce, il gioco di Krajinovic non prevede rotazioni esasperate come, al contrario, per esempio, la scuola spagnola. Malgrado questo, i risultati migliori che ha ottenuto a livello Challenger sono sulla terra battuta, a dimostrazione che si adatta bene anche a condizioni di gioco diverse dalle sue superfici abituali.
La caratteristica peculiare del serbo è la capacità di alternare una buona difesa da fondo campo, spostandosi lateralmente e arrivando ottimamente sulla palla, a costruzioni del punto volte a trovare il vincente. Un giocatore dunque intelligente tatticamente che, se in continua ascesa, potrà rappresentare una mina vagante nei tornei ATP e un cliente non semplicissimo da affrontare anche per i top players.

Federico Bazan © produzione riservata

Rafael Nadal torna il cannibale di un tempo: chiude la stagione estiva vincendo il Roland Garros e gli US Open

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Un Rafael Nadal così convincente sul cemento americano non lo si vedeva dal 2013, anno nel quale il maiorchino, nell’atto conclusivo degli US Open, liquidò nettamente l’allora numero 1 del ranking ATP, Novak Djokovic.
In pochi, quest’anno, si sarebbero aspettati, prima dell’inizio del torneo, che il tennista di Manacor potesse trionfare in maniera così agevole a Flushing Meadows, in considerazione delle precedenti uscite di scena nel 2015 e nel 2016, dove Nadal non superò il terzo turno (2015) e gli ottavi di finale (2016).

Sono da evidenziare due fattori che hanno, se non totalmente, almeno in parte semplificato il compito all’iberico di vincere il torneo: il primo dato è che nessuno degli avversari incontrati dallo spagnolo nel tabellone era un top 20. Questo vuol dire che Nadal, da attuale numero 1 del ranking ATP, ha pescato tre avversari fuori dai primi 50 del mondo (Lajovic, Daniel e L. Mayer) e due fuori dai primi 30 (Rublev e Anderson).
L’unico giocatore che in tutto il torneo, per tipologia di gioco, avrebbe potuto creare problemi al tennis di Nadal, sul veloce, era proprio Juan Martin Del Potro, ex numero 4 del mondo, vincitore degli Us Open nel 2009; ma, a parte l’argentino, che pure ha perso da Nadal con onore, nessun altro avversario incontrato dall’iberico è riuscito realmente ad impensierire il campione di Manacor nel corso del torneo, sia per il divario di esperienza nelle prove del Grande Slam con gli altri giocatori, sia per la differenza netta in termini di gioco e di classifica tra lo stesso Nadal e i vari Lajovic, Daniel, L. Mayer, Rublev e Anderson.
Il secondo fattore che ha consentito al campione iberico di arrivare indisturbato alla vittoria nella finale contro Anderson è legato alle grandi assenze rappresentate dall’ex numero 1 del mondo, Andy Murray, che si è ritirato per problemi all’anca; dal due volte vincitore degli US Open nel 2011 e nel 2015, Novak Djokovic, che riprenderà l’attività nel 2018, a causa di un infortunio al gomito; dal forfait di Stanislas Wawrinka che non ha partecipato al torneo per problemi al ginocchio.
Murray, Djokovic e Wawrinka, non a caso, sono quei tre giocatori che, oltre ad avere il ranking per competere contro Nadal, in passato hanno vinto gli US Open; se avessero partecipato a questa edizione, probabilmente per Nadal sarebbe cambiato qualcosa…
Ciò non toglie comunque le prestazioni maiuscole dell’iberico durante tutto l’arco della manifestazione. Da menzionare le due vittorie sul giovane talento russo Andrej Rublev, in fase di crescita prorompente, e su un rinato Juan Martin Del Potro che, a scanso di infortuni, potrà finalmente avere la possibilità di tornare un top ten.
Facendo un’analisi più tecnica, c’è da dire che Nadal ha concesso le briciole agli avversari, giocando un tennis aggressivo e concreto. Si è infatti visto un Rafa molto propositivo, e non solo da fondo campo: discese a rete, volée e passanti sono state alcune tra le soluzioni vincenti adottate dallo spagnolo in più occasioni. Questa propositività la si è vista specialmente nella finale contro Kevin Anderson, nella quale il maiorchino ha cercato spesso la via della rete, zona del campo dove è migliorato in maniera esponenziale nel corso degli anni.

Con il trionfo di Nadal agli US Open, il campione iberico accorcia le distanze su Roger Federer nella conquista dei trofei del Grande Slam. Nadal arriva, infatti, a quota 16 sigilli, a fronte dei 19 dello svizzero. La sfida relativa al palmarès è dunque ancora aperta tra i due storici rivali di questo sport, tenendo conto del vantaggio di 3 tornei del Grande Slam che Federer può vantare su Nadal, sebbene sia da sottolineare che lo spagnolo ha a disposizione, rispetto a Federer, più tempo per imporsi negli appuntamenti di maggiore prestigio, essendo più giovane dello svizzero di 5 anni.
Il dominio di Federer e Nadal nel 2017 con due Slam per parte (AO e Wimbledon per Federer e Roland Garros e US Open per Nadal) lascia presagire una lungaggine non ininfluente per le stelle emergenti del circuito ATP: le “Next Generation” avranno piùRafael Nadal US Open possibilità di riuscita nel momento in cui si chiuderanno le carriere di due campioni eterni come Federer e Nadal e, con queste, il ritiro graduale dal circuito di altri grandi interpreti: Djokovic, Murray, Wawrinka e Del Potro. Ma la favola dei senza tempo non è ancora finita: dopo la seconda giovinezza del Re Roger Federer, sta tornando affamato anche il Cannibale, Rafael Nadal, pronto a difendere la prima piazza, pronto ad azzannare l’ennesimo trofeo.

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Rischio squalifica per Sara Errani: la romagnola risulta positiva ad un controllo antidoping

Situazione delicata per la Federtennis: una delle giocatrici di punta del tennis italiano, Sara Errani, è stata trovata positiva all’arimidex, farmaco normalmente utilizzato per i casi di carcinoma mammario, il cui principio attivo è l’anastrozolo, uno stimolatore ormonale e metabolico o, in altri termini, un incentivo per l’atleta durante le prestazioni sportive. A rivelarlo, un test antidoping, dal quale emergerebbero alcune tracce della sostanza nelle urine della tennista romagnola.

Serena Williams vs Sara Errani -Internazionali BNL d'Italia 2014

La Federazione Italiana Tennis si trova dunque a dover fronteggiare un episodio con un epilogo amaro per una campionessa come la Errani che, ricordiamo, ha completato il Career Grande Slam in doppio, in coppia con Roberta Vinci, ha vinto 3 edizioni della Fed Cup e si è comportata più che discretamente anche nel singolare, dove ha comunque conquistato 9 titoli a livello WTA.
Qualcosa però è cambiato nel tennis della Errani, che ha perso gradualmente quella incisività della campionessa “fighter” di un tempo: la romagnola pare esser entrata in un vortice dal quale non è più riuscita a venirne fuori; un vortice in termini di risultati che l’hanno vista vincere l’ultimo torneo importante nel febbraio del 2016 e, da quel momento in poi, sprofondare nei tornei successivi, anche in condizioni di gioco relativamente favorevoli, se pensiamo, comunque, a molti primi turni persi sulla terra, sua superficie prediletta e contro avversarie non irresistibili (la Rodionova, la Haddad Maia e la Parmentier, solo per citarne alcune che hanno liquidato nettamente la romagnola quest’anno e che si trovano in alcuni casi fuori dalle prime 100).
Che le cose non andassero bene per “Sarita”, era evidente anche da diversi dettagli: continui problemi con il lancio di palla al servizio, errori inusuali da fondo campo per una regolarista del suo calibro, soluzioni alternative nelle corde della romagnola prevedibili e inefficaci contro le avversarie. La Errani, da ex top ten del circuito WTA, rischia, allo stato attuale, di uscire fuori dalle prime 100 e, se dovesse essere squalificata, potrebbe pagare un prezzo ancora più salato.

La speranza è che ci sia un possibile errore nelle analisi e che quindi la Errani possa essere scagionata da questa pesante accusa. Di contro, se così non fosse, auspichiamo che il movimento del tennis italiano stia vicino alla Errani in questo periodo delicato e che le sia di supporto per il proseguo della carriera professionistica.

L’augurio da parte del mondo del tennis è che torni, se non a splendere, quantomeno a riaccendersi lo spirito combattivo di una stella del tennis italiano che in passato ha regalato al nostro sport grandissimi successi.

Fonti (relative al doping e al principio attivo): Corriere della Sera

Federico Bazan © produzione riservata

Le Next Generation a confronto con i talenti dei primi anni 2000

vecchie glorieC’è un dato che distingue i successi di due generazioni diverse del circuito ATP: da un lato, quella dei primi anni 2000 (i nati tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80) e, dall’altro, le cosiddette “Next Gen” (i nati negli anni ’90), che rappresentano le giovani leve del momento.
Facendo infatti una comparazione riguardo alle conquiste dei tornei del Grande Slam in giovane età, si può affermare che “la vecchia guardia” ha totalizzato complessivamente risultati migliori. Pensiamo, solo per citarne alcuni, a Kuerten, Moyá, Hewitt, Safin e Roddick che, tra i 20 e i 21 anni d’età, vinsero almeno un torneo del Grande Slam ciascuno. La stessa cosa non si può dire, allo stato attuale, per i giovani talenti del circuito odierno come Zverev, Kyrgios, Chačanov, Medvedev e Rublev che, pur avendo la possibilità futura di imporsi nelle competizioni di maggiore prestigio (le prove del Grande Slam, la Coppa Davis e le Olimpiadi), ad oggi, nessuno di loro ha vinto un torneo del Grande Slam, a differenza dei predecessori.
C’è da chiedersi, dunque, il motivo di questa disparità di successi tra le due generazioni tennistiche, manifestatasi, in entrambi i casi, nei primi anni del professionismo. Gli interrogativi possibili a riguardo sono principalmente due, peraltro in contrapposizione tra loro. Il primo è: il livello generale del tennis junior potrebbe essere sceso rispetto a qualche anno fa? Oppure, e forse è l’interrogativo più verosimile, il livello complessivo del tennis odierno è cresciuto esponenzialmente tale per cui la supremazia dei Fab Four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray) ha impedito alle vecchie generazioni e sta impedendo alle nuove generazioni di emergere negli appuntamenti più importanti?
In effetti, tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, il circuito ATP aveva una varietà notevole di campioni cosparsi, ma mancavano ancora dei veri grandi dominatori della classifica mondiale al livello di Federer, Nadal e Djokovic. Dominatori, in termini di vittorie, statistiche e tempo trascorso in vetta al ranking.
Lo strapotere di Federer e Nadal, infatti, ha cominciato ad affermarsi a partire dal 2004-2005, proprio negli anni in cui i vari Kuerten, Moyá, Hewitt, Roddick e Ferrero avevano interrotto la serie positiva negli Slam (se si esclude l’exploit di Safin agli Australian Open nel 2005).

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Il contesto è diverso per quanto riguarda invece le stelle del futuro: oggi le Next Gen devono fare i conti, non solo con un Federer in condizioni superlative e un Nadal tutt’altro che alle porte, ma anche con una serie di top player che si trovano da anni stabilmente tra i primi 15 del mondo: i vari Wawrinka, Tsonga, Cilic, Nishikori, Berdych sono infatti quei tipi di avversari che hanno l’esperienza e il gioco per prevalere sulle giovani leve. Senza considerare poi Murray e Djokovic che, al momento, sono un punto interrogativo: potrebbero sprofondare così come risalire in cattedra quando meno ce lo si aspetta.
La sensazione è dunque quella che lo spazio per le Next Gen nei grandi palcoscenici arriverà non appena i campioni nati negli anni ’80 chiuderanno i battenti. E non avverrà a breve.

Federico Bazan © produzione riservata

Australian Open 2017: Fedal, una favola che continua

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                                               Federer e Nadal a confronto nell’esecuzione del dritto

Potremmo cominciare a pensare, seppur a malincuore, che questa finale degli AO 2017, la nona per quanto riguarda il computo delle finali Slam giocate da Federer e Nadal in carriera (Nadal conduce 6-3), fosse la fine dell’ultimo capitolo di una delle rivalità sportive più emozionanti di sempre.

Tenendo conto del fatto che Murray e Djokovic possano nuovamente uscire fuori dalle loro tane, malgrado le sconfitte inaspettate agli AO; tenendo conto del valore enorme degli eterni top ten che se la giocano da anni con i migliori al mondo quasi alla pari: i vari Tsonga, Wawrinka, Nishikori, Raonic, Cilic, i giocatori probabilmente più costanti del circuito ATP in termini di classifica (sono nei primi dieci del mondo da anni); considerando infine, e non in ultima istanza, la brillantezza delle giovani stelle del tennis odierno (Zverev, Pouille, Thiem, Goffin, Dimitrov ecc.) che stanno emergendo a poco a poco con preponderanza, ebbene… l’ultimo atto che hanno giocato quest’oggi Federer e Nadal potrebbe essere l’ultima finale Slam tra le due leggende odierne di questo sport. Era un’occasione rara, non facilmente ripetibile, stando alle variabili possibili e immaginabili. Questa non è tuttavia l’unica considerazione valida.
Possiamo infatti continuare a sognare, a pensare che Federer e Nadal, tutto sommato, siano ancora in grado di stupirci, malgrado l’avanzare dell’età e la scalata dei professionisti più giovani nel ranking ATP.
L’ultimo atto degli Australian Open 2017 ha dato prova che, in fondo, l’età è solo un numero e che al meglio non c’è mai fine. Dunque le soluzioni che si prospettano da qui a lungo termine sono diverse. Il futuro può sempre fare in tempo a riservare delle sorprese ai nostalgici di questo sport e chissà che non si ripeta un altro remake Fedal…
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            Si ripete ancora una volta il capitolo Fedal in una finale Slam

Facendo un’analisi dell’incontro, possiamo dire che le chiavi tattiche del match sono state molteplici. Se andassimo, infatti, ad analizzare nel merito quanto accaduto negli sviluppi della finale, ci accorgeremmo come le premesse avanzate, prima dell’inizio del match, da diversi opinionisti ed esperti, si siano rivelate errate. Errate perchè era una credenza piuttosto comune che Federer soffrisse sulla diagonale di rovescio le uncinate del dritto incrociato di Nadal. Previsione sicuramente fondata, visti i precedenti tra i due, ma smentita dal numero impressionante di vincenti, messi a segno dal tennista elvetico con il rovescio incrociato, colpo giocato da Federer con un grande anticipo sulla diagonale di dritto prediletta dal maiorchino. Questa tattica ha consentito a Federer di guadagnare profondità e di togliere il tempo a Nadal nell’organizzare la sua classica uncinata arrotata. Ma non solo: è stata la tattica che ha permesso al campione elvetico di trasformare il rovescio da colpo abitualmente difensivo in soluzione offensiva; un fatto inedito del gioco che ha fatto in modo che Federer riuscisse a domare la ferocia di Nadal su quella diagonale tanto sofferta dall’elvetico negli anni per il diritto aggressivo dello spagnolo.

Altra chiave del match è stata rappresentata dai cambi in lungolinea: Federer ha giocato dei colpi in controbalzo notevoli, al termine di scambi prolungati, cambiando improvvisamente la direzione dello scambio e spiazzando totalmente Nadal. In altre parole, Federer non solo ha ritrovato grande fiducia nei propri mezzi, ma anche uno stato di grazia nel colpire la palla molto avanti, sulla linea di fondo campo, con un anticipo magistrale.
Contro Nadal, raramente abbiamo visto un Federer così propositivo nei momenti topici dei vari match disputati tra i due. Anzi, è proprio contro lo spagnolo che l’elvetico ha perso diverse partite quando era in vantaggio nel punteggio o aveva dei match point a favore (finale Roma 2006). Stavolta è stato Federer a lasciare il segno nei momenti chiave, quando Nadal sembrava riemergere, a tratti, nella versione inarrivabile dei tempi migliori.
C’è da evidenziare un altro aspetto, sicuramente non secondario ai fini del risultato, ovvero il giorno di riposo in più di Federer nel torneo che ha consentito allo svizzero di arrivare più fresco in finale. Al contrario, Nadal, ha avuto meno tempo per recuperare, dopo la maratona di 4 ore e 56 minuti contro Grigor Dimitrov. Sono quegli aspetti che possono fare la differenza, specialmente a dei campioni che, con l’avanzare dell’età, necessitano di tempi di recupero maggiori nelle partite 3 su 5.
Roger Federer dunque, con questo 89esimo sigillo, conferma di non avere eguali di qualsiasi epoca nelle prove del Grande Slam e, arrivando a 18 Slam in cascina, distacca ulteriormente Sampras e Nadal, a quota 14 successi.

Federico Bazan © produzione riservata

Il ritiro a sorpresa di Ana Ivanovic dal circuito WTA

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La provenienza della tennista serba, Ana Ivanovic, contrariamente a quella della maggior parte delle giocatrici di alto livello, ha origine in un contesto geopolitico ed economico particolare, legato alla scissione della ex Jugoslavia in Serbia, Montenegro e Bosnia Erzegovina; scissione scoppiata in conflitti armati e conseguenti stragi civili ed urbane. La Ivanovic è infatti nata e cresciuta nella Belgrado degli anni ’90, in un clima incessante di bombardamenti, durante le guerre di secessione jugoslave tra Serbia e Bosnia Erzegovina, Stati separatisi per la conquista dell’indipendenza dalla ex Repubblica Socialista Federale Jugoslava. Anni difficili, come ha sottolineato la stessa tennista serba, a causa delle continue distruzioni e macerie, della mancanza di strutture adeguate alla pratica sportiva in quei territori ed ai pochi investimenti da parte delle Federazioni a garantire un supporto economico ai giovani talenti emergenti.
Quella della Ivanovic, dunque, è all’origine una storia travagliata, senza esclusione di retroscena, che si è poi magicamente convertita in una carriera di splendidi successi. La serba, seppur con non poche difficoltà legate all’infanzia vissuta, iniziò a giocare a tennis all’età di 5 anni seguendo le orme di Monica Seles, suo grande idolo tennistico, nei campetti da tennis della Belgrado di quegli anni. Da lì sarebbe uscito fuori tutto il carattere della Ivanovic che non passava mai inosservato nelle competizioni a livello junior. Già nel 2004, infatti, raggiunse la finale juniores di Wimbledon e cominciò a dare del filo da torcere alle grandi del circuito WTA. Pochi anni dopo, giunse l’apice della sua carriera: tre finali Slam raggiunte nel giro di due anni, di cui due perse e una vinta, all’età di 20 anni.
Nel 2007 la serba arrivò in finale per la prima volta al Roland Garros perdendo da Justine Henin e l’anno dopo, curiosamente, fece lo stesso riuscendo però a vincerla contro Dinara Safina e diventando così una delle più giovani numero 1 del circuito femminile.
Una carriera quella della Ivanovic, costellata dai tanti trionfi ma anche dagli innumerevoli infortuni e problemi emotivi che ne hanno precluso maggiori soddisfazioni a livello WTA. Soddisfazioni che comunque sono arrivate se oltre al Roland Garros, si contano anche le vittorie della Rogers Cup di Montréal, del torneo di Indian Wells, e le 17 partite vinte in Fed Cup, su un totale di 24 giocate.
Sotto il profilo tecnico, il tennis della Ivanovic risultava molto incisivo con i colpi da fondo campo: un dritto profondo, penetrante, giocato con una spinta eccellente del piattocorde sulla palla che rasentava spesso la rete e un rovescio arrotato, a tenere lo scambio. Non male anche con il gioco di fino: la serba giocava, a volte, pregevoli palle corte e back di rovescio velenosi che mandavano fuori palla le avversarie.
L’indole della Ivanovic era quella di un’attaccante pura ed, infatti, prediligeva il cemento, superficie sulla quale ha vinto di più per il tipo di gioco aggressivo; oltre a questo, sono da ricordare anche alcune grandi prestazioni, disputate e vinte dalla serba sulla terra battuta a Parigi, a Roma e a Stoccarda.

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Il ritiro di Ana Ivanovic pone fine dunque ad un altro capitolo del tennis femminile, in quanto, con il suo addio al tennis giocato, se ne va via un altro pezzo importante del circuito WTA, in grado di competere con decadi di giocatrici (dalla Hingis, alla Henin, passando per Williams, Sharapova, Wozniacki, arrivando a Halep e Bouchard). Un ritiro tutto sommato inaspettato se si pensa all’età di 29 anni della Ivanovic e all’eventuale possibilità di tornare ai vertici per le straordinarie qualità espresse negli anni. Ivanovic, però, a suo dire, è convinta di aver dato il massimo e di non poter più tornare ai livelli espressi negli anni migliori della sua carriera: 2007, 2008 e 2014.

Quello che probabilmente mancherà di più agli appassionati della tennista serba è la bellezza del suo gioco, del suo modo di stare in campo. Era infatti considerata una delle giocatrici più sensuali del circuito, gentile e sportiva anche con le sue colleghe.
La Ivanovic ha annunciato che, dopo il tennis, continuerà ad occuparsi della famiglia e delle sue attività principali: la moda, l’educazione ad uno stile di vita sano e l’aiuto verso i bambini bisognosi, in qualità di ambasciatrice dell’Unicef.

Federico Bazan © produzione riservata