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Esclusiva: intervista a Potito Starace, ex tennista ATP


– A che età hai iniziato a giocare a tennis? In quale circolo sportivo?

– Ho iniziato a giocare a tennis a 7 anni. La mia fortuna probabilmente è stata quella di avere un circolo sotto casa, il “Tennis Club Starace”, che mio nonno comprò negli anni ’60 e dove, inizialmente, c’erano solo due campi da tennis. Fino a quando avevo 6 anni davo i calci al pallone, ma già a 7 mi ero innamorato del tennis guardando giocare i ragazzi più grandi di me.
Con il passare del tempo, la struttura si è evoluta a tutti gli effetti; dopo la morte di mio nonno, il club è stato ribattezzato negli anni ’90 con il mio nome: “Circolo Tennis Potito Starace”. Abbiamo costruito altri campi da tennis, un campo da beach tennis, uno da padel e una piscina. Oggi, poiché sono a Roma, il circolo di Cervinara viene gestito da mio padre e da mio fratello. Quest’ultimo è Maestro Nazionale e si occupa lui dei corsi e della scuola tennis.


– Quando ti sei accorto di poter trasformare il tennis nel tuo lavoro? Quale è stata la figura di riferimento che ti ha sostenuto nella fase di crescita del tuo gioco?

– Già a 12 anni avevo vinto il titolo nazionale Under 12, anche se a quell’età, essendo ancora piccolo, giocavo naturalmente per divertimento, e non più di tre volte a settimana. A 15 anni ho fatto la scelta di andare in Federazione a Cesenatico e, a 17, mi sono trasferito da Alberto Sbrescia, che è stato il mio Maestro. Con la sua supervisione, ho iniziato a giocare i primi tornei Futures e Challenger. Dopo quel periodo, Sbrescia non mi ha potuto più seguire e, a malincuore, le nostre strade si sono separate. Arrivato a 20 anni, ero già nei primi 200 del mondo. Dopodiché ho iniziato pian piano la scalata nel ranking ATP, partita dopo partita, torneo dopo torneo.

– Vista la tua esperienza vissuta da giocatore, ti chiederei: quali sono i maggiori ostacoli che un talento emergente incontra per accedere al professionismo?

– Gli ostacoli per diventare un professionista sono numerosi: quando si giocano i tornei Juniores cambia tanto rispetto al mondo professionistico. Si può essere talentuosi da giovanissimi, però si possono avere in seguito dei problemi a competere contro tennisti più esperti e in parte già affermati. Quindi il primo impatto da junior a giocare a livello professionistico è abbastanza complicato per tanti aspiranti, tranne per alcune eccezioni. È proprio dalle competizioni juniores a quelle dell’ITF che dovrebbe scattare la molla perché, una volta che si arriva nei Futures, si trovano già dei giocatori giovani che sono nel circuito da qualche anno e che hanno i requisiti per affermarsi nei Challenger, per poi approdare negli ATP.

– Hai vinto 6 tornei ATP in doppio e 11 tornei Challenger con altrettante finali giocate. Sei stato numero 27 del mondo e sei rimasto nel circuito maggiore per almeno 15 anni. Molti bambini sognano di poter, un giorno, raggiungere i tuoi traguardi, ma forse non sanno di tutto il lavoro, il sacrificio e gli investimenti che ci sono dietro a determinati risultati. Che consigli daresti a chi vorrebbe seguire le tue orme?

– Sì, sono stato 27 del mondo nel 2007, come best ranking. Ho battuto tra l’altro, in partite di torneo, alcuni ex numero 1 della classifica ATP come Carlos Moyá, Juan Carlos Ferrero e Marat Safin. Ho vinto 6 tornei in doppio, 11 tornei Challenger e tutte le partite in Coppa Davis, tranne una contro Roger Federer. Detta così sembra semplice, però dietro a questi risultati c’è un duro lavoro che inizia da quando avevo 7 anni, naturalmente con tanta leggerezza perché ero ancora piccolo, fino ai 15 anni. Verso i 16 anni, nel momento in cui mi sono accorto di poter giocare ad alti livelli, la salita è stata lunga: tanti sacrifici, diversi investimenti legati al fatto che, nel tennis, ci sono delle spese fisse da dover sostenere, in particolare quando non si è coperti economicamente dalla Federazione.
Il consiglio che posso dare a chi vorrebbe seguire il mio percorso di vita e di carriera è dare tutto negli allenamenti perché il tennis è uno sport individuale nel quale il rendimento dipende dal singolo giocatore in campo. Poi naturalmente è molto importante stare sempre a fianco dell’allenatore, che è la guida principale, e riporre tanta fiducia nelle persone vicine: dal coach al preparatore atletico.

Un ostacolo alla crescita di un ragazzo o di una ragazza, invece, può essere rappresentato da alcuni genitori che si mettono in mezzo, creando dei problemi in questioni di non loro competenza o per delle aspettative irrealistiche riguardo alle possibilità del proprio figlio.

– Finita la carriera nel circuito professionistico, sei diventato il direttore tecnico dell’agonistica del Due Ponti Sporting Club. Quali sono i principali obiettivi che ti sei posto all’inizio di questa nuova avventura?

– Sì, adesso sono il direttore tecnico dell’agonistica del Due Ponti, che è un circolo che frequento da tanto. Ho giocato anche gli incontri a squadre: la Serie A di tennis e la Serie A di padel delle quali ancora oggi sono titolare. Quindi sono molto contento perché è un circolo che frequento da anni e mi trovo molto bene.
Gli obiettivi sono quelli di far crescere l’agonistica, dalla scuola SAT provare a tirar fuori dei prospetti e farli arrivare pian piano in alto. Abbiamo iniziato nel settembre del 2020 con 12 ragazzi, e siamo contenti perché è cambiato tanto il circolo, sono cambiate anche le metodologie di allenamento che faccio fare ai ragazzi. Sicuramente in pochi mesi di lavoro vedo già dei miglioramenti. C’è un’atmosfera serena e quella è la cosa più importante.


– Tra le ragazze e i ragazzi che stai allenando, intravedi potenziali promesse del tennis italiano?

– Ci sono dei ragazzi che giocano bene. Sono giovani, devono ancora lavorare tanto e si devono ancora formare fisicamente, quindi non è semplice. Però nel tennis non si sa mai. Sicuramente bisogna allenarsi con determinazione ed essere sempre pronti ad affrontare qualsiasi momento, in qualsiasi torneo, sia nei periodi positivi che in quelli meno positivi. Però i ragazzi stanno lavorando bene, quindi speriamo che ne possa uscire almeno uno con tutti gli strumenti necessari volti a fare un salto di qualità importante, magari nel professionismo.

– E infine ti chiedo quali suggerimenti daresti a un giovane istruttore di tennis che vorrebbe intraprendere la carriera di Maestro Nazionale.

– Per diventare Maestro Nazionale mi sento di dire solo di studiare tanto e di tenersi in costante aggiornamento perché il tennis è cambiato tanto, già da 10 anni a questa parte. Ci sono metodologie di allenamento diverse, soprattutto sul piano fisico. E un Maestro deve essere aperto ai cambiamenti che il tennis odierno impone.

Federico Bazan © produzione riservata

Marco Cecchinato da sogno a realtà: il tennista palermitano è in semifinale al Roland Garros

Adriano Panatta vince il RG 1976Non accadeva dal 1978 che un tennista italiano arrivasse in semifinale al Roland Garros: l’ultimo a riuscirci fu Corrado Barazzutti. Mentre, a vincerlo, vi furono solamente Nicola Pietrangeli nel 1959 e 1960 e Adriano Panatta nel 1976.
Oggi, in un’epoca successiva a Pietrangeli, Panatta e Barazzutti, esce fuori il nome di Marco Cecchinato, che, a distanza di 40 anni dal traguardo raggiunto proprio da Barazzutti, torna a far rivivere momenti toccanti al movimento del tennis italiano e a tutti i suoi appassionati, entrando nel tabellone principale del Roland Garros e spingendosi avanti, lungo tutto l’arco del torneo, con grande personalità.
Una personalità che nasce probabilmente dalla maturità, raggiunta dal tennista azzurro, sotto diversi punti di vista: prima di tutto mentale, per quanto riguarda la gestione delle situazioni delicate durante il match e l’importanza dei punti chiave: Cecchinato, in un evento di grande portata come uno Slam, non ha avuto “il braccino” quando c’era da servire per il match, ma ha spesso tirato fuori il meglio di sé andando a conquistarsi la vittoria contro dei top players che non hanno “tenuto botta” al suo gioco; ma anche una maturità tecnico-tattica: si è visto un Cecchinato in fiducia con tutti i fondamentali e, contrariamente a quanto si vedeva qualche anno fa, un rovescio nettamente più efficace, tanto da sentire sicuro il vincente lungo linea con questo colpo. Sappiamo, probabilmente, che il dritto e il servizio sono i colpi che fanno da padrone nel tennis del palermitano, se guardassimo i punti diretti ottenuti dal tennista azzurro nell’arco del torneo; ma il rovescio non si è dimostrato da meno.
Inoltre, Cecchinato, può vantare “un piano b” nel suo bagaglio: gli abbiamo visto giocare spesso delle palle corte vincenti o soluzioni alternative alle accelerazioni da fondo campo come i colpi stretti e gli schiaffi di dritto al volo. Lo ha dimostrato soprattutto nel quarto di finale contro Novak Djokovic, dove Cecchinato è venuto spesso avanti a prendersi il punto.

Dal punto di vista dei risultati ottenuti, Cecchinato ha realizzato, in un solo anno, quello che potremmo definire “un passo da gigante”: partiva dal circuito Challenger fino al 2017, per poi allenarsi duramente e diventare, sulla scena internazionale, uno dei primi 50 giocatori al mondo e, probabilmente, con il livello di tennis che sta esprimendo attualmente, uno dei più temibili sulla terra battuta. Il palermitano, infatti, nel solo 2018, ha vinto il suo primo torneo ATP 250 a Budapest, liquidando, tra gli altri, in semifinale, il connazionale e idolo di infanzia, Andreas Seppi; ha ottenuto una vittoria abbastanza significativa contro Fabio Fognini al primo turno del 250 di Monaco di Baviera; ha fatto partita alla pari, agli Internazionali d’Italia, contro la testa di serie numero 9 del torneo David Goffin, pur perdendo in tre set.
Ma la grande rivelazione arriva proprio al Roland Garros, tra lo stupore generale del pubblico: Cecchinato vince una partita complicatissima contro Marius Copil, da 2 set sotto di svantaggio; supera l’argentino Marco Trungelliti al secondo turno; liquida successivamente Pablo Carreño Busta (numero 11 del mondo e testa di serie numero 10 del torneo); si riprende lo scalpo di David Goffin dopo la sconfitta a Roma (numero 9 del mondo e testa di serie numero 8 del torneo); e, ai quarti di finale, ha la meglio sull’ex numero 1 del mondo Novak Djokovic, vincitore del Roland Garros nel 2016.
Risultati, figli del fatto che, oltre a Fabio Fognini, il tennis italiano sta aprendo le porte ad un nuovo protagonista molto interessante, anche in ottica Coppa Davis. 

Marco Cecchinato vince i quarti al RG
La favola per il tennista palermitano continua. Troverà Dominic Thiem in semifinale. Gli appassionati del tennis italiano e tutto il movimento sperano in un’altra grande impresa, firmata Marco Cecchinato. Sognare non costa, ma se l’attuale numero due del tennis italiano ha liquidato con pieno merito tre dei top players presenti in tabellone, vuol dire che potrà farlo anche con i prossimi due, Rafael Nadal permettendo.

Fonti:
statistiche di Panatta nel ranking history
foto di Cecchinato del Coni

Federico Bazan © produzione riservata

Le pagelle dei tennisti italiani agli Internazionali Bnl d’Italia 2018

internazionali tennis


Tennis maschile, i nomi che hanno raggiunto i risultati migliori nel torneo:

Fabio Fognini: al primo turno impartisce una lezione di tennis gratis a Gaël Monfils per 6-3, 6-1; infiamma il Centrale due giorni dopo liquidando il numero otto del mondo Dominic Thiem, testa di serie numero sei del torneo capitolino, considerato attualmente tra i migliori tennisti sul rosso; batte per la prima volta in carriera Peter Gojowczyk, tennista tedesco, numero 64 del mondo, ma avversario ostico da affrontare sulla terra battuta; arriva ai quarti di finale dove perde dal vincitore del torneo, Rafael Nadal, strappandogli il primo set.
Ha il tennis adatto per battere i primi dieci del mondo: lo dimostra contro Thiem ed è l’unico, insieme a Zverev, a vincere un set a Nadal in tutto il torneo.
Gli manca qualcosa nella gestione della gara che gli consenta di entrare in top ten, dei miglioramenti in termini di tenuta mentale che possano dargli un voto di 10 su 10.
Voto: 9.5

Marco Cecchinato: vince il torneo di Budapest battendo in semifinale Andreas Seppi. A Monaco ha la meglio sul numero uno del tennis italiano, Fabio Fognini. Arriva a Roma liquidando al primo turno Pablo Cuevas, terraiolo puro, ex top 20. Strappa il primo set a David Goffin, numero nove del mondo, pur perdendo alla distanza. Solido da fondo campo. Più maturo nella gestione della partita. Concede poco ai suoi avversari.
Voto: 8.5

Matteo Berrettini: batte in due set quella che avrebbe dovuto essere una delle promesse del tennis statunitense, Frances Tiafoe; nel turno successivo, gioca alla pari con Alexander Zverev per tutto il primo set, deciso su pochi punti e conclusosi per 7-5 in favore del vincitore degli Internazionali dello scorso anno.
Durante il match contro il tedesco, rischia di farsi seriamente male alla caviglia. Cade ma si rialza e continua a giocare con onore. Riceve i complimenti a fine partita da parte dello stesso Zverev che afferma come Berrettini sia un giocatore in crescita.
Premiato per la grinta e i miglioramenti tecnici, grazie anche al lavoro svolto con il suo coach Vincenzo Santopadre.
Voto: 8

Filippo Baldi: si fa notare agli Internazionali lottando e battendo al terzo set Marton Fucsovics e Guillermo García López, rispettivamente teste di serie numero sei e numero dieci del girone di qualificazioni. Entra per la prima volta nel tabellone principale. Lotta di nuovo al terzo parziale ma perde contro Nikoloz Basilashvili. Ha 22 anni, molto tempo per crescere e migliorarsi. I risultati ottenuti a Roma sono comunque di buon auspicio per l’avvenire.
Voto: 8


Tennis femminile, tanti i nomi delle partecipanti ma tutte fuori al primo turno o alle qualificazioni:

Roberta Vinci: il primo turno contro la serba Aleksandra Krunić è la sua ultima partita nel circuito WTA. Standing ovation al Pietrangeli solo per lei. Emozionanti le parole a fine match. Ma, come rendimento nell’ultima partita della carriera, non proprio esaltante. Vince il primo set giocando il suo tennis, fatto di back e discese a rete. Poi il vuoto. Tanti errori gratuiti, tanta fretta di chiudere. Nel terzo set, gioca a caso dando l’idea che sia già con la testa fuori dal tennis.
Il momento toccante dopo il match, malgrado la partita persa, la rivaluta nell’insieme per quel che riguarda la partecipazione al torneo.
Voto: 7

Francesca Schiavone: una delle tenniste più anziane del circuito. Trova al primo turno Dominika Cibulkova. Strappa alla slovacca il secondo set, ma non può nulla contro una giocatrice più giovane e con colpi più pesanti.
Raggiunge la sufficienza per la grinta e la voglia di continuare a giocare, malgrado l’età.
Voto: 6

Camila Giorgi: ad inizio anno, nel torneo di Sydney, aveva sconfitto nettamente delle top ten come Petra Kvitová, Sloane Stephens e Agnieszka Radwańska, in partite a senso unico, dominate dalla tennista italo-argentina. A Roma, vince il derby contro Deborah Chiesa ma perde, al secondo turno delle qualificazioni, in due set contro l’americana Danielle Collins, giocatrice in crescita da quest’anno, ma comunque alla portata della Giorgi, che può vantare una maggiore esperienza rispetto alla statunitense nel circuito WTA.
Le condizioni di gioco tra Sydney e Roma sono completamente diverse, ma qualcosa non torna nel tennis della Giorgi: belle vittorie contro giocatrici forti, alternate però a sconfitte piuttosto inaspettate.
Voto: 5

Sara Errani: fa il suo esordio al Pietrangeli contro Timea Babos. Nel secondo set, sul punteggio di 5-3, non riesce a portare l’avversaria al terzo. Si fa rimontare e perde in due set. Per quanto abbia vinto il torneo di doppio in passato con la Vinci, e sia arrivata in finale nell’ormai lontano 2014, quando esprimeva il suo più alto e probabilmente irripetibile livello di gioco – da un po’ di anni a questa parte esce sempre al primo turno, dando la sensazione che Roma non sia proprio il suo torneo.
Voto: 4

Federico Bazan © produzione riservata

 

Simone Bolelli, un tennista elegante

Tra i tennisti italiani ce n’è uno in particolare che spicca per l’eleganza del gesto tecnico: Simone Bolelli.

Simone Bolelli

                      La sbracciata di Bolelli con il rovescio ad una mano

Il bolognese gioca un tennis classico (dritto e rovescio ad una mano con impugnature non estreme), abbinato ad una fisicità notevole. Bolelli, infatti, serve delle prime palle di servizio a velocità considerevoli, oltre a giocare dei colpi da fondo campo tecnicamente molto consistenti e, al contempo, apprezzabili stilisticamente.
In questo video del match di secondo turno agli Australian Open 2015, tra il tennista di Budrio e Roger Federer, potete osservare tutti i pregi del bagaglio tecnico-tattico di Bolelli: quello che risalta più all’occhio del gioco di Simone, è senz’altro il rovescio ad una mano che consiste in una sbracciata giocata in top spin (vedi foto sopra) e, spesso, alternata al back, una soluzione che rende Bolelli particolarmente versatile alle circostanze. Ma i due fondamentali con cui il giocatore bolognese fa la differenza, sono il servizio, attraverso una prima palla piatta e veloce, e il diritto. Nel video possiamo vedere come il tennista di Budrio cerchi di conquistare più campo possibile spostandosi sul lato del rovescio per giocare il dritto a sventaglio, un’arma fondamentale del suo tennis, che gli consente di prendere il comando dello scambio, decidendo le traiettorie sulle diagonali.

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Il dritto con presa eastern di Bolelli conferisce una ottima spinta sulla palla sia sulla diagonale sia “a sventaglio”

Bolelli è inoltre un giocatore che mette a segno diversi vincenti a partita. Questo perché ha dei colpi particolarmente incisivi e perché conosce bene le strategie di gioco. Quando è il momento di tirare il colpo, non si tira indietro e questo lo rende un giocatore d’attacco non semplice da gestire per i classici baseliner (o più comunemente detti “rematori”).

Malgrado una classe non da poco, Bolelli non ha mai ottenuto risultati a livello ATP particolarmente esaltanti, a livello di singolare, ad eccezione di una finale nel lontano 2008 persa contro Fernando Gonzalez, nel torneo ATP 250 di Monaco di Baviera. Molto meglio, invece, nel doppio, dove ha vinto gli Australian Open 2015 in coppia con Fabio Fognini, bissando un traguardo storico per il tennis italiano dai tempi di Nicola Pietrangeli e Orlando Sirola; si è inoltre imposto in una serie di partite di doppio arrivando in finale a Indian Wells, Monte Carlo e Shanghai sempre in coppia con Fognini; da ricordare anche le partite vinte in Coppa Davis, competizione a squadre nella quale non ha mai sfigurato.

Bolelli ha, in realtà, tutte la carte in regola per poter fare quel salto di qualità che lo porterebbe stabilmente tra i primi 50 del mondo. Il suo è un tennis brillante che purtroppo, a causa di numerosi infortuni, ha meritato troppo poco per quel che effettivamente valeva e vale. Ma per fare in modo che questo salto di qualità si realizzi, il bolognese avrà bisogno di maggiore fiducia nei propri mezzi, quella fiducia che distingue un buon giocatore da un campione.

Federico Bazan © produzione riservata

Bilancio del tennis italiano relativo alla stagione 2016

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Il tennis italiano, maschile e femminile, ha vissuto un 2016 in progressivo declino se si va ad analizzare nel merito quanto accaduto nei singoli tornei disputati, in termini di statistiche (vittorie / sconfitte), punti ottenuti, posizioni nel ranking e trofei vinti.
Il 2016 è stata una stagione positiva per il tennis femminile, solo in un primo momento, con le rispettive vittorie di Roberta Vinci a San Pietroburgo, Sara Errani a Dubai e Francesca Schiavone a Rio, arrivate tutte nel mese di febbraio. Da quel periodo di auge in poi, fino a fine stagione, se si esclude l’ottima cavalcata della Vinci agli Us Open (dove la tarantina ha raggiunto i quarti di finale perdendo dalla attuale numero 1 del mondo Angelique Kerber), le tenniste italiane non sono mai riuscite a trovare quella continuità nelle vittorie che hanno consentito loro, in passato, di superare sfide importanti.

Entrando nello specifico, Sara Errani che vanta come best ranking la sesta posizione, aveva cominciato l’anno da numero 20 del mondo e, in seguito al successo ottenuto nel torneo di Dubai, aveva raggiunto la posizione numero 16. Ha chiuso però la stagione da numero 49, perdendo così 33 posizioni e 1345 punti. Errani che nel 2016, a parte il torneo di Dubai, non ha mai superato il terzo turno in nessun’altra competizione, comprese le prove del Grande Slam.

Meno negativa è la situazione riguardante Roberta Vinci, che ha aperto la stagione da numero 15, raggiungendo come best ranking la posizione numero 7, in seguito al trionfo conseguito nel torneo di San Pietroburgo; la tarantina ha tuttavia chiuso l’anno da numero 18 del ranking. La Vinci ha quindi perso 11 posizioni rispetto al suo risultato annuale massimo e ha vanificato la conquista di 3550 punti (picco raggiunto dopo la vittoria di San Pietroburgo) perdendone, similmente alla Errani, 1340 nel computo finale.

Francesca Schiavone ha avuto un sussulto di orgoglio con la vittoria nel torneo di Rio e, sebbene sia rientrata nella top 100, bissando la posizione numero 88 del ranking da numero 114 di inizio anno, ha chiuso la stagione da 103, uscendo nuovamente fuori dalle prime cento giocatrici del mondo. Nota di merito a parte, invece, per quel che riguarda il punteggio: a gennaio 2016 la tennista milanese vantava 541 punti. Ha concluso la stagione con 642 punti all’attivo, guadagnandone così 101.

Discesa netta per quanto riguarda il rendimento di Camila Giorgi che da numero 35, ha concluso il 2016 alla posizione numero 82. La marchigiana ha perso 47 piazze e 556 punti. Giorgi che, a parte il torneo di Katowice dove ogni anno si esprime al meglio, non ha mai superato un terzo turno in tutta la stagione.

Stando dunque alle statistiche e ai dati di fatto emersi dai calcoli, il tennis femminile sta attraversando un momento buio, considerando, non in ultima istanza, il ritiro di Flavia Pennetta.

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Quanto al tennis maschile, sono da evidenziare gli sforzi profusi da parte di Paolo Lorenzi che è l’unico giocatore azzurro, tra i nomi più noti, che ha chiuso il 2016 con un bilancio positivo, nel ranking, nel punteggio e nei risultati. Il senese, infatti, da numero 68, ha concluso la stagione in bellezza piazzandosi alla posizione numero 40 e guadagnando 365 punti complessivi.

A parte Lorenzi, Fabio Fognini ha perso 28 posizioni ed, infatti, da 21 del mondo, è sceso a 49. Ha avuto sì delle prestazioni degne di nota, se pensiamo alla vittoria nel torneo ATP 250 di Umago e alla finale raggiunta nell’ATP 250 di Mosca, ma minimamente paragonabili al Fognini sensazionale del 2013.

Momento nero anche per Andreas Seppi che ha perso 58 piazze in classifica e 695 punti. Da numero 29 del ranking, l’altoatesino ha chiuso la stagione al numero 87, smarrendo quella solidità e continuità nel rendimento che lo hanno sempre distinto.

Infine, periodo particolarmente sfortunato per Simone Bolelli che ha giocato solo metà stagione per via di un infortunio che lo ha tenuto fuori dal mese di giugno ad oggi. Non giocando più, naturalmente, da numero 58, il tennista di Budrio è sprofondato alla posizione numero 464 del mondo.

Se si fa eccezione per Paolo Lorenzi e Francesca Schiavone che sono gli unici due tennisti, tra i nomi di spicco, a vantare un bilancio stagionale positivo in termini di punti, il movimento del tennis italiano avrebbe bisogno di una reazione generale, di una scossa che fin’ora non si è vista. Le nuove generazioni composte da Matteo Berrettini, Matteo Donati, Martina Trevisan, Jasmine Paolini stanno crescendo a poco a poco ma al tempo stesso stentano nel farsi notare nelle competizioni di maggiore prestigio. Se è vero che ogni cosa arriva a suo tempo, è altrettanto vero che, rispetto agli anni passati, il tennis italiano sta vivendo un periodo di stasi evidente.

Federico Bazan © produzione riservata

Vinci, Errani e Schiavone fanno il tris

Difficile che capitino insieme ma, a volte, le prodezze sportive arrivano una dietro l’altra. Ebbene, l’Italia del tennis femminile porta a casa tre successi consecutivi firmati Roberta Vinci, Sara Errani e Francesca Schiavone, la triade vincente del tennis italiano che continua a far sognare ad occhi aperti gli appassionati. Prima il trionfo della Vinci a San Pietroburgo, torneo Premier, il decimo nella carriera della tarantina; poi la vittoria di Sara Errani a Dubai, altro Premier, nono sigillo per la romagnola. Infine il ritorno della leonessa d’Italia, Francesca Schiavone, che sorprende tutti a Rio De Janeiro conquistando il suo settimo titolo in carriera a distanza di tre anni dalla sua ultima apparizione in una finale di un torneo WTA.

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                Roberta Vinci con la coppa del torneo di San Pietroburgo

Alla vigilia, nessuno si sarebbe aspettato prestazioni così convincenti da parte delle tenniste azzurre: Roberta Vinci, dopo l’impresa gloriosa in quel di New York, ha recentemente annunciato che questa sarebbe stata la sua ultima annata da tennista professionista nel tour. La tarantina aveva infatti rilasciato, in alcune interviste, come il tennis stesse diventando per lei monotono, non più un divertimento. Sembrava che Roberta, dopo quel traguardo inedito conseguito sui campi di Flushing Meadows, avesse perso la voglia di continuare a competere ad alti livelli.
Vinci che, dopo l’affermazione nel torneo di San Pietroburgo, durante il giorno del suo 33esimo compleanno, ha visto due volte scalfito il numero 10 al computer: diventa per la prima volta top ten, piazzandosi proprio al decimo posto della race e, con la vittoria su Belinda Bencic nella finale del torneo russo, arriva a quota dieci titoli WTA.
La campionessa pugliese si è imposta su Belinda Bencic, giocatrice svizzera, giovane promessa per l’avvenire del tennis mondiale che, all’età di 18 anni, è già tra le prime dieci del mondo; in questo caso, tra la freschezza e l’esperienza, ha prevalso l’esperienza di Roberta Vinci che ha ostacolato efficacemente il gioco della Bencic con le sue variazioni e con una grande resa al servizio. Gioco della Vinci che risulta comunque fastidioso per le giocatrici cui piace giocare di ritmo e in modo monotematico. La Bencic ha dimostrato un talento da vendere anche se è ancora troppo acerba per competere con tenniste esperte del calibro della Vinci che sanno variare il ritmo degli scambi e conoscono soluzioni tattiche diverse dalle tante giocatrici odierne, impostate su potenza, spinta e fisicità.

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                   Sara Errani bacia il trofeo del torneo Premier di Dubai

Analogamente, Sara Errani, storica compagna di doppio della Vinci, che ha vissuto un inizio di 2016 non particolarmente brillante, ha dichiarato come facesse fatica a gestire la tensione; fatto piuttosto paradossale se pensiamo con quanta autorevolezza abbia liquidato le sue avversarie nel corso del torneo di Dubai (tra l’altro il primo torneo Premier vinto dalla Errani su cemento indoor). Errani che continua comunque ad impreziosire il pubblico con le sue giocate, malgrado le difficoltà patite nell’ultimo periodo.

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La gioia di Francesca Schiavone dopo tre anni dalla sua ultima vittoria in una finale WTA

Stavolta è però Francesca Schiavone la sorpresa più grande: la leonessa d’Italia è tornata a ruggire sulla terra battuta dopo tre anni dalla sua ultima finale disputata. Quasi non se ne sentiva più parlare di una giocatrice che comunque, ricordiamo, ha vinto il Roland Garros nel 2010 e l’anno dopo è arrivata in finale. Ebbene, la leonessa d’Italia ha tirato fuori la grinta da situazioni di svantaggio, come successo nella finale contro la giovane americana Shelby Rogers, giocatrice insidiosa, provvista di accelerazioni notevoli da fondo campo. La Schiavone era sotto nel punteggio ma ha poi trovato la chiave dell’incontro mettendo la Rogers nelle condizioni di subire l’impeto della milanese. Schiavone che, con grinta ed esperienza, ha prevalso su un’altra giocatrice promettente ma ancora piuttosto acerba. A fine incontro, la gioia incontenibile e la commozione di Francesca durante i ringraziamenti al pubblico. Una Schiavone che non si vedeva così entusiasta dai tempi del Roland Garros, forse anche più emozionata dell’ultimo successo sulla terra parigina del Philippe Chatrier.

Il tennis italiano, dunque, almeno in campo femminile, si riscatta dopo un esordio amaro in Fed Cup a Marsiglia e dimostra di poter ancora dominare gli scenari del panorama tennistico attuale. Mentre, nel frattempo, sono in attesa di conferme le nuove generazioni che vedono una Camila Giorgi in fase di stallo e una Martina Caregaro in lenta ascesa.

Federico Bazan © produzione riservata

 

Fuga di campioni

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Più una città è grande e tendenzialmente maggiori saranno le risorse a disposizione (strutture, impianti ed attrezzature). Le grandi metropoli come Roma, ad esempio, offrono una vasta gamma di circoli, campi e scuole tennis. Pensiamo ai nomi più rinomati della capitale, tra i quali il Foro Italico che per storia, tradizione e locazione, si conferma l’impianto tennistico più famoso di Roma e non solo; il Tennis Club Parioli che in passato sfornò campioni straordinari: Uberto De Morpurgo, Nicola Pietrangeli, Adriano Panatta e, ancora oggi, vanta grandi giocatrici tra le quali Roberta Vinci; il Circolo Canottieri Aniene che, oltre ad essere uno dei più antichi circoli della capitale, dispone di atleti altamente professionali come Simone Bolelli e Flavio Cipolla; il Tennis Club Eur, la cui scuola tennis è gestita, tra gli altri, da Corrado Barazzutti; il Sant’Agnese che, un tempo, accoglieva alcuni maestri dell’Accademia americana di Nick Bollettieri e via dicendo…

Se all’epoca i campioni italiani emergevano, oltre al talento e all’allenamento, anche grazie al prestigio dei circoli della propria città (ricordiamo, per esempio, Adriano Panatta, figlio del custode del Tc Parioli, luogo simbolo della crescita tennistica di Panatta stesso), oggi le cose sembrano essere cambiate. Non è più come un tempo dove si giocava al circolo sportivo del vicinato e si decideva di intraprendere la strada del professionismo. Il tennis odierno richiede maggiori investimenti, molti più spostamenti, uno staff completo, composto da diverse figure professionali che seguano il giocatore da vicino in tutti i suoi aspetti: l’allenatore, il fisioterapista, lo sparring, il preparatore atletico, il personal trainer e il manager, colui che si occupa dell’immagine, della comunicazione e degli sponsor dell’atleta. L’assenza di una o più figure di questo tipo, può incidere sul rendimento del giocatore ed ecco perchè, oggi più che mai, un professionista ha bisogno di molte attenzioni, proprio per evitare di incappare in problemi di diverso genere. Nel circuito internazionale le trasferte sembrano esser diventate la regola per tutti i professionisti, non solo nei tornei e nei campionati a squadre che si disputano durante l’anno, ma anche per dei semplici allenamenti.

Se scoprissimo le diverse realtà delle tenniste italiane del circuito WTA e dei giocatori azzurri del circuito ATP, ci accorgeremmo come, la maggior parte di essi, tranne rare eccezioni, nascano in città diverse dalle grandi metropoli come Roma, Firenze, Milano, Napoli, Bari e Palermo. Pensiamo a Fognini, di Arma di Taggia, Bolelli, di Budrio, la Errani di Massa Lombarda, la Pennetta di Brindisi ecc.
Ognuno di loro è nato in contesti, sotto un certo punto di vista, “limitanti” in termini di disponibilità di circoli sportivi. Per esempio Fabio Fognini, che proviene da una realtà piuttosto piccola come Arma di Taggia, ha compiuto un grande salto di qualità andandosi ad allenare a Barcellona e scegliendo come allenatore Josè Perlas; come lui, anche Flavia Pennetta che, dopo la decennale intesa con Gabriel Urpi, ha visto in Salvador Navarro una fonte di crescita e di miglioramento; ancora, Sara Errani, con Pablo Lozano, trasferitasi dapprima a Barcellona, poi a Valencia; Simone Bolelli, grazie alla collaborazione con Giancarlo Petrazzuolo e alla preparazione presso il centro federale di Tirrenia; Camila Giorgi come Bolelli a Tirrenia ecc.

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                                Campi al coperto del Centro Federale di Tirrenia

I grandi campioni del tennis italiano hanno dovuto dunque prendere delle decisioni a livello di spostamenti e di ricerca di strutture adeguate. Per puntare al massimo, alcuni di loro hanno lasciato la proprià città per trasferirsi in un’altra o nelle grandi accademie, in Spagna e negli Stati Uniti.
Una riflessione sorge spontanea. Salvo centri federali come Tirrenia e simili, l’Italia è un Paese in grado di offrire prospettive interessanti per gli agonisti? In altre parole, è realmente indispensabile per un potenziale campione, lasciare il proprio Paese e la città natale per andare fuori e trovare il contesto di cui ha bisogno?
Il dilemma è: perchè non restare in Italia? Circoli e scuole tennis non all’altezza? Investimenti insostenibili per le famiglie? Disponibilità di campi limitata? Un insieme di questi fattori?
I casi sono tanti e i motivi molteplici. Senza dubbio, bisognerebbe interrogarsi su come mai, molti degli atleti italiani, tra cui alcuni dei tennisti professionisti, lascino l’Italia per trovare maggiore fortuna all’estero.

Molti di loro lo fanno per scelta personale, spinti dallo stimolo nel trovare strutture, squadre e allenatori che soddisfino le loro esigenze.
È il caso di Corinna Dentoni che ho personalmente avuto il piacere di intervistare. Alla domanda:
 A proposito di piccole realtà come Pietrasanta… credi sia indispensabile per un talento emergente, magari cresciuto in un comune piuttosto che in una grande città, trasferirsi in un contesto di più ampio raggio, come può essere un circolo di una metropoli o una delle note scuole tennis riconosciute a livello internazionale, affinchè trovi la chiave del successo?
Qual è stata la tua scelta a riguardo? “

La sua risposta:

” Penso che non sia importante tanto dove ti alleni, quanto con chi ti alleni.
La provincia di Lucca conta numericamente più campi da tennis rispetto al resto d’Italia; quello che manca è una struttura attrezzata e il tennis non lo si vive in maniera professionistica pensando alla crescita dell’atleta, ma più come uno sport dilettantistico. Io mi sono trasferita a Milano e lì ho trovato il contesto di cui avevo bisogno ” .

Anche il racconto di Stefano Travaglia è piuttosto indicativo di come, seppur a breve distanza dalla propria terra, il trasferimento di un professionista su altri campi sia fondamentale:

” Ad un certo punto bisogna prendere una decisione; io la mia scelta l’ho fatta a 15, quasi 16 anni, andandomi ad allenare a Jesi, città ad un’ora e mezza da casa mia, dove vi era la migliore accademia di tennis delle Marche di quei tempi, 2007/08 ” .

Due testimonianze, quella della Dentoni e di Travaglia, che lasciano intendere quanto una singola scelta di trasferimento comporti dei sacrifici che un professionista è tenuto a fare per trovare la chiave del successo.

 

Federico Bazan © produzione riservata