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Esclusiva: intervista a Stefano Meloccaro, giornalista di Sky Sport

– Essendo del ’64, ti sei avvicinato al tennis guardando all’opera diverse generazioni di campioni. Se ti parlassi delle tre rivalità storiche tra Borg e McEnroe, Sampras e Agassi, Federer e Nadal… quale di queste ti ha affascinato di più?

– Tutte e tre le rivalità sono state avvincenti e mi hanno lasciato qualcosa. Se non altro per la diversità di stile e di gioco dei protagonisti in campo. Inutile negarti che sia cresciuto guardando in tv le finali tra Borg e McEnroe, due giocatori diametralmente opposti nella tecnica e nel carattere: il ghiaccio contro il fuoco, la solidità contro l’imprevedibilità, la perseveranza contro il talento, la rotazione contro il colpo piatto, il passante contro il serve and volley. 
Sampras e Agassi hanno dato vita ad una rivalità interessante ma, secondo me, non all’altezza mediatica delle altre due.
Per quanto riguarda Federer e Nadal, che dire… stiamo parlando di due campioni da Guinnes dei primati. Vantano “solo” 39 Slam in due e non penso che, da qui a fine carriera, rinuncerebbero all’idea di vincere qualche altro Wimbledon o Roland Garros in più. Se nel ventunesimo secolo il tennis viene seguito e praticato da un numero di persone via via crescente, lo si deve anche alle loro sfide appassionanti che hanno riempito gli stadi di spettatori: la finale di Roma del 2006, di Wimbledon del 2008 e degli Australian Open del 2017, solo per ricordare le più lunghe e combattute. 

 

– La tua passione per il tennis è nata guardando tante partite e si è consolidata attraverso l’attività di Maestro, ancor prima di giornalista. Quali sono i tuoi ricordi più belli legati all’insegnamento? Che consigli daresti a un Istruttore che si avvicina per la prima volta a questo lavoro?

– Ricordo quanto fossero pignoli i Maestri Federali nel mettere in riga gli aspiranti Istruttori su come dovessero presentarsi e comportarsi al corso. Il rigore e la disciplina venivano prima di tutto. Quando feci l’esame di Istruttore negli anni ’90 ad un circolo dell’Eur di Roma, mi sembrava più di stare all’interno di una accademia militare che non dentro ad un’aula… Scherzi a parte, per poter insegnare il tennis devi avere a tua volta dei buoni insegnanti che sappiano trasmetterti la passione per ciò che andrai a fare. Infatti, è dal loro “modus operandi” che puoi imparare un metodo e farlo tuo, avendo come riferimento stili di insegnamento diversi che variano da Istruttore a Istruttore.
Consiglierei ai neofiti di approcciarsi con entusiasmo e impegno a questo lavoro. Un Maestro scoprirà che insegnare, spiegare, correggere un determinato fondamentale non sono gli unici requisiti da possedere. Entrare in sintonia con i propri allievi, soddisfare le loro richieste, mantenere vivo l’ascolto e l’interesse nei loro confronti, sono solo alcune delle prerogative di un buon insegnante. 

Stefano Meloccaro


– Chi oggi guarda il tennis in televisione, conosce Stefano Meloccaro in veste di giornalista di Sky Sport. Ma forse non tutti sanno delle varie attività che ha svolto e che tuttora svolge nel suo campo: è stato conduttore radiofonico di Edicola Fiore, in coppia con Rosario Fiorello, e di M2o; ancora oggi è inviato su Sky, commentatore in diretta, scrittore di libri e di articoli. 

Quanto conta, per un giornalista, essere poliedrico nel proprio mestiere?

– Per un giornalista può essere un vantaggio saper spaziare in diverse attività all’interno del proprio campo, ma non è sempre indispensabile. Ci sono giornalisti che si specializzano in determinati settori: chi conduce un telegiornale o un reportage, chi fa l’inviato, chi intervista gli ospiti in una conferenza stampa. Ma ci sono anche professionisti che si occupano di un lavoro dietro le quinte come, ad esempio, il redattore di un giornale cartaceo, il freelance online oppure il cronista che prepara un servizio di telegiornale da mandare poi in onda. 
Ciò non toglie che si possa apprendere più di una attività giornalistica e migliorare nel tempo, attraverso la pratica. Sicuramente, ci sono cose che riescono con naturalezza e altre per le quali si è meno portati. Quello che ho personalmente imparato sul campo, è che un giornalista può provare a cimentarsi in esperienze nuove, per poi consolidarle nelle sedi opportune (tv, radio, carta stampata ecc.), una volta apprese. Per esercitarsi si può simulare una telecronaca, togliendo l’audio con il telecomando, oppure riportare le notizie del giorno riprendendosi, da soli, con una videocamera. 

 

– Hai lavorato con Ivan Ljubicic, ex numero 3 del mondo nonché attuale coach di Roger Federer. Nella prefazione del tuo libro Studio Tennis, l’ex giocatore croato ha detto: “Il mio amico Stefano Meloccaro ha una enorme passione per il tennis. Di solito il giornalista specializzato o è un ex giocatore di alto livello, oppure ha un passato importante nello sport. Meloccaro è preparato, ma non rientra in alcuna delle due categorie. Invece ho scoperto che ne sa, più di molti tra quelli che hanno giocato sul serio. E questo può succedere solo se hai una passione sconfinata”.
Cosa può imparare un giornalista sportivo a lavorare in coppia con un ex tennista di alto livello?

– Ho incontrato Ivan negli studi di Sky Sport, in occasione dell’edizione di Wimbledon del 2012. Mi ha affiancato nella conduzione del programma sul Grande Slam. Da lì è nata una bella amicizia, oltre ad una sentita intesa tennistica. Ivan è un professionista serio, attento alle dinamiche tecnico-tattiche del tennis; conosce da vicino i top players e le trame nascoste del nostro sport.
Aver lavorato insieme a lui è stato un privilegio. Mi ha insegnato ad amare il tennis ancora di più di quanto non lo amassi, ad analizzarlo anche da un punto di vista introspettivo. E poi abbiamo entrambi una malattia virale che si chiama Roger Federer. Ivan, infatti, ne è rimasto talmente contagiato da diventare il suo coach. Mentre io, tutte le volte che riprendo in mano la racchetta, non posso fare a meno di riguardarmi gli slow motion dei colpi di Roger su YouTube.

 

– Sei autore di due libri: Braccio d’oro, il meraviglioso rovescio di Paolo Bertolucci, la biografia di uno dei nostri tennisti di punta degli anni ’70; e Studio Tennis, una raccolta dei tuoi articoli più originali.
So che stai scrivendo un terzo libro, da pubblicare prossimamente. Vuoi svelare qualche anticipazione ai nostri lettori? 

– È un libro sul tennis degli anni ’70. Descriverò i personaggi, le sfide indimenticabili, i racconti di un’epoca irripetibile, ricca di campioni unici nel loro stile di gioco e nel loro carattere. 

 

– Passando a un discorso meramente tecnico del tennis, quali sono i motivi principali che, dal tuo punto di vista, hanno portato i tennisti odierni a omologarsi nello stile di gioco?

– I nuovi materiali in grafite e in carbonio permettono ai tennisti di accelerare i propri colpi ad una velocità superiore rispetto a quanto consentissero effettivamente i vecchi telai di legno che si usavano fino agli anni ’80. L’omologazione dello stile di gioco dei professionisti delle nuove generazioni deriva dalle continue rotazioni in top spin che il tennis odierno impone. Cercare oggi soluzioni di tocco o schemi, come il serve and volley e il chip and charge, non porta agli stessi risultati del tennis di 40 o 50 anni fa, dove la tecnica contava di più della preparazione atletica, dell’allenamento strutturato, della ripetizione quasi meccanica del gesto tecnico a cui oggi assistiamo.
Nel tennis attuale, presentarsi a rete sulla scia dei signori “del gioco educato” come Panatta, Nastase, McEnroe, Edberg e Becker equivale, nella maggior parte dei casi, a subire il passante, a meno che non si parli di una volée definitiva.
Le dinamiche tecnico-tattiche del tennis odierno si sviluppano, per un buon 80/90%, da fondo campo. Non è un caso che moltissimi giocatori ricorrano ad un gioco arrotato da dietro alla riga di fondo campo e all’apprendimento del rovescio bimane. La scuola svedese (Borg, Wilander, Carlsson ecc.) e, a seguire, quella spagnola (Bruguera, Berasategui, Moya ecc.), hanno rivoluzionato il gioco del tennis in modo piuttosto influente. 

 

– Cosa differenzia il tennis di oggi dal tennis della generazione nella quale sei cresciuto?

– Le differenze sono tante. Non è solo una questione di evoluzione dei materiali, di tecnica di gioco e di nuovi tornei disputabili, con formule viste e riviste. La tecnologia, per esempio, consente oggi ai giocatori di affidarsi “all’Occhio di Falco”, qualcosa di impensabile fino ai primi anni 2000. Se i giudici di sedia, durante una partita degli anni ’70, ’80 o ’90, avessero sbagliato la valutazione di una palla, la decisione sarebbe rimasta comunque la stessa, a danno di uno dei due tennisti e a vantaggio dell’altro. L’Hawk-Eye, così come, per esempio, la tecnologia del VAR nel calcio, possono rendere giustizia ai giocatori in campo, qualora le chiamate arbitrali non siano corrette. 
Un altro elemento che distingue il tennis odierno dal tennis dell’epoca è che, se prendessimo la stragrande maggioranza delle giovani promesse uscite fuori dalle migliori accademie, ci accorgeremmo come tantissime giocatrici e, una buona fetta di giocatori, dispongano di un bagaglio tecnico-tattico analogo. Il che, attenzione, non è una critica… ma una considerazione di quanto il tennis sia cambiato. L’omologazione delle tipologie di gioco è un elemento a cui stiamo assistendo in modo sempre più incisivo.
Il tennis con cui sono cresciuto io aveva Panatta che era Panatta, Borg che era Borg, McEnroe che era McEnroe, Connors che era Connors, Vilas che era Vilas: ognuno con il proprio stile inconfondibile. 

Oggi, a parte Federer, Nadal e pochi altri top players, la maggior parte dei professionisti ha una impostazione tecnica simile, improntata sulla spinta della palla, sulla rotazione e poco, pochissimo, sulle variazioni e sul tocco. Questo discorso è applicabile, soprattutto, nel tennis femminile, dove il gioco di grazia di una Navratilova, di una Graf o di una Evert si è del tutto estinto. 

 

– Hai incontrato e conosciuto tanti tennisti di spessore. Da Panatta, a Bertolucci e Volandri, passando per Ljubicic e Federer. Su quest’ultimo, sarebbe simpatico se raccontassi un aneddoto ai lettori de Il Mondo del Tennis, visto che è uno dei campioni a te più cari. 

– Ho incontrato Roger durante i preparativi di Wimbledon, edizione 2018. Ci tenevo ad intervistarlo. Ricordo di essermi emozionato alla prima domanda e di averla sbagliata. Lui aveva capito il mio errore e ci aveva riso su, scherzando. Un aneddoto su Federer? Non mi viene nulla di particolare su di lui. Quel che ti posso dire è che è una persona molto più semplice di quanto si pensi. Ed è anche simpatica e umile. Mi ritengo fortunato solo ad averci scambiato due battute insieme, perché non è quel tipo di tennista che si incontra in tutte le interviste, diciamo… 

Federico Bazan © produzione riservata

Come trattare gli infortuni ricorrenti del tennista: risponde il Dott. Scacco, Osteopata

Non è raro trovare tennisti amatoriali e agonisti che, parlando del proprio vissuto sportivo, raccontino di aver smesso di giocare a tennis, a causa di problemi fisici. E magari di aver ripreso dopo tanti anni.
In effetti, alla domanda: “Da quanti anni giochi a tennis?”, capita spesso di ascoltare risposte diverse da quelle abituali. Tra le più comuni: “Ho iniziato quando ero piccolo, ho fatto la scuola tennis e i tornei, ma crescendo ho smesso, per poi riprendere in mano la racchetta a 40/50 anni”, per esempio. Oppure: “Ho giocato per anni a calcio, poi ho scoperto il tennis, ma il pallone mi ha logorato le articolazioni, quindi a tennis non riesco a giocare quanto vorrei”.
Altri racconti abbastanza diffusi sono: “Ho una infiammazione che non mi consente di allenarmi bene”. “Il problema fisso che mi impedisce di giocare e con cui devo fare i conti è l’epicondilite”.
Ogni storia, quindi, appare diversa l’una dall’altra, ma tutte quante sono caratterizzate da uno stesso comune denominatore: gli infortuni.
La domanda che sorge spontanea è: come prevenire le problematiche di natura fisica? E cosa fare per trattarle, fino a debellarle?
Risponde, a Il Mondo del Tennis, il Dott. Emanuele Scacco, laureato in Scienze Motorie all’Università degli Studi di Roma Foro Italico, di professione Osteopata.

Chi è e di cosa si occupa il Dott. Emanuele Scacco?

emanuele scacco

    Dott. Emanuele Scacco, Osteopata

Ciao Federico, è un piacere poter rispondere alle tue domande e fare chiarezza su quello che è poi il centro della vita dell’uomo, ovvero la salute. Ho iniziato la mia formazione laureandomi in Scienze Motorie presso lo Iusm di Roma e ricordo di essermi appassionato all’Osteopatia in quegli anni, decidendo così di intraprendere un lungo viaggio personale che mi ha condotto dove sono ora.

 

– Cosa è l’Osteopatia e a cosa serve? 

L’Osteopatia è una terapia che mira, attraverso trattamenti manuali, a ripristinare il meccanismo di autoregolazione insito in ogni essere vivente. Le competenze riguardanti l’anatomia, la biomeccanica, la fisiologia, acquisite in sei lunghi anni e la tanta pratica, permettono ad una mano esperta e capace di trovare le disfunzioni (traumatiche e non), correggerle e consentire al sistema corporeo di tornare al suo equilibrio. Il trattamento osteopatico si avvale di tecniche strutturali, viscerali, fasciali, cranio sacrali al fine di operare su un paziente considerandolo nella sua globalità e non solo nella zona sintomatica.


Vi sono determinati problemi fisici ai quali diversi atleti, amatori e agonisti, possono andare incontro. Quali sono le cause principali che provocano, in linea di massima, un infortunio?

Uno sportivo, specie se si tratta di un professionista di una determinata disciplina, è sicuramente influenzato da un importante carico di lavoro muscolare, quindi, qualora l’atleta non sia seguito e valutato costantemente, potrebbe incappare in problemi fisici di varia natura, derivanti da uno schema corporeo non sufficientemente integro. “Il classico colpo della strega” è un chiaro esempio di una disfunzione acuta improvvisa che si può manifestare per moltissime cause: strutturali, viscerali, circolatorie, posturali. Questo è per farvi capire che, per noi osteopati, è fondamentale sentire con le mani prima di poter fare una diagnosi del problema.

 

Non è raro assistere, nei circoli sportivi, a giocatori di tennis amatoriale che entrano in campo e iniziano a colpire la palla compiendo movimenti a freddo. Quanto conta, nella prevenzione degli infortuni, attuare un riscaldamento preparatorio alla pratica sportiva?

– È una cosa molto comune vedere sportivi, soprattutto a livello amatoriale, non effettuare un riscaldamento adeguato prima di un allenamento. Questo fa sì che, aldilà di limitare la nostra performance, il nostro corpo sarà totalmente impreparato a iniziare uno sforzo. L’ossigenazione ai muscoli è il motore del movimento, pertanto attuare un sano riscaldamento avrà dei numerosi benefici, sia a livello prestazionale, ma soprattutto a livello fisico, perché è assolutamente prioritario per la prevenzione.

 

Entriamo nel merito. In uno sport come il tennis, ci sono vari tipi di acciacchi più o meno noti. Il più conosciuto, ma non certamente l’unico, è l’epicondilite, detto anche “gomito del tennista”. Come si può trattare una problematica di questo tipo? 

Cercherò di renderlo più semplice possibile. Dal punto di vista anatomico, il gomito è formato da tre ossa: l’omero, il radio e l’ulna.
Sono i muscoli a permettere il movimento dell’articolazione e, questi, sono connessi alle ossa grazie ai tendini. Le sporgenze ossee, nella parte inferiore dell’omero, si chiamano epicondili (sporgenza esterna) e epitroclea (sporgenza interna). I tendini di alcuni muscoli che muovono il polso e la mano, si connettono all’omero proprio all’altezza di queste sporgenze. L’Epicondilite, o gomito del tennista, è un’infiammazione dei tendini che si fissano sull’epicondilo. Questi muscoli, estensori dell’avambraccio, consentono il sollevamento della mano e del polso e il piegamento all’indietro delle dita. Il movimento del tennista coinvolge tutto l’arto superiore, costantemente impegnato in un movimento prono-supinazione e flesso-estensione; questo fa sì che, se le strutture a cui si legano i muscoli non svolgono i loro movimenti fisiologici poiché in disfunzione, i muscoli saranno maggiormente sollecitati. L’osteopata va alla ricerca palpatoria del preciso muscolo interessato nell’evento infiammatorio. Essendo presente un pacchetto di più muscoli con inserzione in quel punto, bisogna essere molto accurati nel determinare esattamente quale sia quello coinvolto, se uno o più muscoli.
Una volta individuato, si valuta la qualità articolare, sia a livello prossimale che a livello inserzionale. Questo perché, molto spesso, la sofferenza e il mal funzionamento del muscolo scaturiscono da una limitazione della mobilità delle articolazioni. Le articolazioni si muovono meno, il muscolo lavora più del dovuto e si affatica. Eliminando la causa di sofferenza di quel muscolo, se ne ottimizza l’efficacia. A questo punto si effettua un lavoro manuale di rilascio delle fibre muscolari e del connettivo circostante, così da riequilibrarne le tensioni e, se necessario, si consigliano esercizi di rinforzo.

 

Prima di servire è buona abitudine ripetere l’azione dello “sciogli spalla”, non solo per abituarsi al movimento del servizio, ma anche per prevenire eventuali disturbi, quali la “Sindrome da conflitto”, che colpisce la cuffia dei rotatori.
Cosa va a limitare, nel tennista, la Sindrome da conflitto? Come si può debellare? 

La Sindrome da conflitto della cuffia dei rotatori è un problema che riguarda un po’ tutti gli sportivi. La spalla, di per sé, lavora in stretta sinergia con la scapola e questo lavoro è mediato da un gruppo di muscoli: sovraspinoso, piccolo rotondo e sottospinoso. Il sovraspinoso è quasi sempre il muscolo più sollecitato e quasi sempre il primo a perdere la sua integrità. Il dolore alla spalla dipende, in realtà, da disfunzioni meccaniche della stessa, cioè dal fatto che la spalla non si muova nella maniera corretta e le parti interne presentino incongruenze funzionali. Questa situazione porta, tra l’altro, anche ad una lacerazione dei tendini che avviene progressivamente nel corso del tempo.
La maggior parte dei pazienti, con lesioni alla cuffia dei rotatori, riferisce di non aver mai svolto attività particolarmente gravose, né di aver mai effettuato particolari movimenti traumatici. Questo tipo di lesione avviene in maniera progressiva in seguito ad un malfunzionamento dell’articolazione.
A scopo preventivo, un buon riscaldamento è fondamentale per l’afflusso di sangue ai muscoli, nessuno escluso, quindi dare elasticità al tessuto attraverso, per esempio, delle sedute di stretching funzionali, sarebbe ottimale. Naturalmente, per risolvere del tutto il problema, l’osteopata può aiutare sul recupero funzionale e meccanico dell’articolazione.

 

Abbiamo parlato degli infortuni più comuni che riguardano gli arti superiori. Passando invece agli arti inferiori, esiste, fortunatamente in rari casi, una problematica fisiologica per quei tennisti che, facendo costantemente leva sull’anca per eseguire determinati movimenti, sono maggiormente esposti a traumi del tessuto osseo in quell’area.
Lleyton Hewitt e Andy Murray, due ex top ten del ranking ATP, si sono dovuti operare per risolvere questo tipo di infortunio molto delicato. Ci puoi spiegare nel dettaglio di cosa si tratta?

– Il tennis è un sport dove l’anca è al centro del movimento. La forza del colpo parte sempre dall’arto inferiore seguendo la catena cinetica, piede-anca e bacino-arto superiore. L’esecuzione di ogni colpo impone una sollecitazione continua, non indifferente, della componente rotatoria; sull’anca, inoltre, si inserisce uno dei muscoli posturali più importanti del corpo, ovvero l’ileopsoas. Contratture di quest’ultimo sono la causa di molte lombalgie e dolori all’anca. Micro traumi, ripetuti negli anni, inducono anche una fibrotizzazione della componente legamentosa che abbraccia la capsula articolare della testa del femore. Nei casi di dolore cronico localizzato in quell’area, potrebbe essere necessario operarsi.


Dott. Emanuele Scacco

Osteopata
Contatti: emanuelescacco91@hotmail.com 

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista sull’allenamento del tennista al Personal Trainer Massimiliano Mulè

Il Mondo del Tennis ha il piacere di intervistare Massimiliano Mulè sugli esercizi da eseguire in palestra, propedeutici allo sport anaerobico del tennis e non solo.

Massimiliano Mulè

Allora, Massimiliano, cominciamo con le presentazioni.
Studi Scienze Motorie allo IUSM e sei diplomato in Pesistica, con qualifica tecnica federale di istruttore FIPE, rilasciata dalla Federazione Italiana Pesistica. Lavori come Personal Trainer presso il circolo sportivo Due Ponti Sporting Club. A pensarci, sono tutte attività che si legano l’una con l’altra. Come e quanto influiscono le conoscenze teoriche da te acquisite, nel lavoro pratico del Personal Trainer?

– Ciao a tutti. Un buon insegnante deve conoscere molto bene prima la teoria per poi passare alla pratica. Solo in questo modo si può fare un’analisi curata e procedere con l’inizio di un percorso. Questi studi non dovrebbero essere eseguiti tramite un corso di poche ore come molto spesso accade, ma attraverso un percorso universitario che offra le giuste conoscenze nel settore, in modo tale da non danneggiare l’atleta.

 

Quale metodo segui per insegnare i corretti movimenti da adottare in palestra a tutti coloro che si rivolgono a te per dei consigli? Utilizzi schede di allenamento, spiegazioni, dimostrazioni…?

– Un esercizio, per essere applicato, deve essere prima spiegato descrivendo tutti i muscoli che interagiranno durante lo svolgimento e i benefici che porterà; dopo la spiegazione, segue la dimostrazione, dove il Personal Trainer mostrerà all’allievo la corretta esecuzione dello stesso; infine, una volta trovato il carico ideale e la giusta posizione del corpo, va fatto eseguire con un’attenta assistenza. 


Massimiliano– Puoi spiegare ai nostri lettori la differenza tra un allenamento che verte sull’ipertrofia muscolare e uno che riguarda la definizione muscolare? Quali esercizi principali suggeriresti per i due tipi diversi di allenamento?

– Un allenamento che verte sull’ipertrofia consiste nel sollevare carichi via via più elevati per ottenere un maggior volume muscolare, mentre un allenamento che verte sulla definizione consiste nel combinare attività muscolare e attività aerobica, seguito da una buona alimentazione, al fine di bruciare un numero di calorie simile a quello assunto. Spesso l’atleta ricerca una buona correlazione tra massa muscolare e definizione.
I principali esercizi per sviluppare una ipertrofia muscolare sono: la panca piana, la lat machine, le serie che si possono eseguire con i manubri come le aperture e le spinte (per la parte superiore, ovvero petto, dorsali e spalle); la leg curl, la leg extension, la pressa e lo squat (per la parte bassa, ovvero i quadricipiti e i polpacci).
Per quanto riguarda la definizione muscolare, è consigliabile eseguire esercizi a corpo libero come i piegamenti, le trazioni, lo jump squat ecc.


– Quali sono i benefici che l’atleta riscontra dagli esercizi a corpo libero come, ad esempio, lo stretching e gli addominali?

– Gli esercizi a corpo libero sono ottimali per lavorare a livello di definizione muscolare e, grazie alla catena cinetica, è possibile sollecitare più muscoli contemporaneamente con un solo esercizio. Gli addominali più efficaci sono eseguiti a corpo libero; mentre lo stretching è molto utile all’inizio e alla fine di ogni sessione di allenamento per ridurre la tensione muscolare, prevenire strappi o stiramenti e, più in generale, prepararsi alla pratica sportiva.


– Quanto è importante il fattore “monitoraggio” durante un allenamento? Di norma, quante serie e ripetizioni si eseguono per ogni carico di lavoro? Esiste un tempo di recupero ideale tra una ripetizione e l’altra?

– Il monitoraggio è molto importante soprattutto per gli allievi che hanno iniziato da poco e cheMassimiliano 2 faticano nel trovare le tempistiche corrette tra una serie e l’altra; allenarsi con un buon istruttore che ti segue personalmente è comunque molto più efficace e sicuro.
Non esiste un numero standard di ripetizioni; quest’ultimo varia in base al tipo di allenamento che si esegue e al tipo di atleta che vi si sottopone. In linea di massima, un allenamento incentrato sull’ipertrofia muscolare prevede il sollevamento di carichi di maggiore entità ma con ripetizioni minori (per esempio, 4 serie da 6-8 ripetizioni l’una); al contrario, un allenamento che verte sulla definizione muscolare, si svolge con carichi più leggeri ma con un maggior numero di ripetizioni (ad esempio, 4 serie da 10-12 ripetizioni l’una).
Per quanto riguarda il tempo di recupero, parlando di esercizi che si eseguono in palestra, è di solito pari o di poco superiore al minuto, ma anche in questo caso varia in base all’esercizio che si sta eseguendo, al carico di lavoro utilizzato e, aggiungerei, alla capacità di recupero dell’atleta interessato. In altre parole, più il gruppo muscolare che si sollecita con quel determinato esercizio viene affaticato, e maggiore dovrà essere l’intervallo di recupero tra un serie e l’altra. Se così non fosse, può accadere di incappare nella problematica “dell’overtraining” (sovrallenamento) che comporterebbe, tra i primi sintomi, un indolenzimento dei gruppi muscolari coinvolti. 


– Entriamo nel merito. Qual è l’allenamento mirato per un atleta che pratica uno sport anaerobico e, in particolare, per il tennista?

– Nel tennis è molto importante la preparazione atletica che deve mirare ad abituare il tennista agli intensi ritmi di questo sport e quindi ad una resistenza aerobica, una forza esplosiva e una capacità di reazione notevoli. 


– L’importanza della corsa. Che circuito di esercizi consiglieresti ad un tennista, relativo allo scatto e agli spostamenti?

Essendo il tennis uno sport dove occorre sviluppare una elevata resistenza aerobica e, allo stesso tempo, una grande velocità di reazione, è consigliabile allenarsi con la corsa, alternando un’andatura costante a scatti brevi e spostamenti laterali. Ci sono poi molteplici esercizi che, di norma, vengono selezionati da un tennista durante una sessione di allenamento abitudinaria. Tra questi, diverse modalità di andatura: lo skip, la corsa laterale, incrociata, calciata, in avanti e indietro alternata. Tra gli altri movimenti, non meno importanti, vi sono: i salti su panca, l’isometria, gli esercizi con la palla medica eseguiti al muro o a coppie e le distensioni con gli elastici. Normalmente, questo circuito di esercizi viene eseguito in palestra o all’aperto, in spazi sufficientemente ampi da consentirne il corretto svolgimento. 


– Fattore dieta. Quali alimenti deve selezionare un giocatore di tennis prima della pratica sportiva e in che proporzioni?

– In merito all’alimentazione, a prescindere da quale sport si pratichi, c’è un mondo di nozioni da conoscere e, quando ci interessa fare una dieta sana, bisognerebbe sempre rivolgersi ad un esperto in materia, come un dietologo o un nutrizionista; figure professionali che, per la maggior parte, consigliano un’alimentazione equilibrata e completa, formata da cinque pasti al giorno: colazione, spuntino, pranzo, spuntino, cena. Gli spuntini possono essere a base di frutta, yogurt ecc.
Prima dell’inizio di un allenamento è sconsigliato mangiare in abbondanza, in quanto il processo di digestione potrebbe causare fastidi all’atleta. Sarebbe dunque opportuno assumere apporti calorici moderati, almeno prima di un’ora dall’allenamento, ed evitare soprattutto di selezionare pasti abbondanti; al contrario, è buona prassi assumere cibi ricchi di carboidrati, in tempi più distanziati dalla pratica sportiva, con l’obiettivo di ripristinare i valori glicemici in caso di calo fisiologico dell’atleta.


– Discorso proteine. Ci sono diverse scuole di pensiero su questo tema, specialmente sulle proteine in polvere e sui potenziali aspetti positivi e negativi legati all’ingerimento di queste sostanze. Qual è la tua opinione al riguardo? Pensi che un atleta di qualsiasi disciplina possa farne a meno?

– Vi è spesso un abuso di integratori proteici, soprattutto per tutti quegli atleti che hanno fretta di mettere massa muscolare; questo abuso può causare un sovraccarico nello smaltimento delle proteine da parte dei reni. Tutto questo avviene perché vi è molta pubblicità da parte delle aziende ma poca informazione da parte di chi le compra. Una buona alimentazione, un allenamento costante ed impegnativo sono perfettamente in grado di evitare l’assunzione di integratori. Nel caso, invece, di un’insufficiente apporto proteico giornaliero, delle proteine assunte nelle giuste dosi, possono aiutare l’atleta nella crescita del volume muscolare, in contemporanea a buone sessioni di allenamento. 

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Federico Dondelli, maestro di tennis e proprietario di un negozio di sport

Ciao Federico,

è un piacere poter intervistare un amico e istruttore FIT.

– Classe ’92, bresciano d’origine, con residenza a Roma. A 23 anni, subito dopo la laurea in scienze motorie allo IUSM, sei diventato istruttore della FIT e proprietario di un negozio di sport specializzato sul tennis. Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto ad entrare così velocemente nel mondo del lavoro e del tennis?

– Certamente la passione per questo sport, che è tanta, ha contribuito ad una mia ascesa molto repentina e il lavoro è arrivato come conseguenza naturale dell’amore verso il tennis. Anche se, alla fine, lo vedo più come un gioco che non come un lavoro vero e proprio.


– Da Brescia a Roma. Alla base di questa tua scelta di trasferimento, vi sono stati, da parte tua, dei motivi personali legati alla selezione di un centro sportivo in particolare? Cercavi da subito, non appena arrivato nella capitale, un circolo che potesse soddisfare le tue esigenze?

Inizialmente, dopo i test di ammissione, ero stato preso in due facoltà diverse: una a Milano e l’altra a Roma, al Foro Italico. La prima scelta, anche perché più vicina alla mia città natale, è stata Milano. Tuttavia, non trovandomi bene, ho deciso di lanciarmi in questa avventura romana. Appena arrivato, è stata un po’ dura adattarmi ai ritmi della capitale ma, alla luce di quello che ho costruito lavorativamente e sentimentalmente in questa città fantastica ed eterna, sono contentissimo della mia scelta. Per quanto riguarda il circolo, è avvenuto tutto un po’ per caso; sono andato una volta a giocare allo Sporting Club Due Ponti per un torneo e da lì ho deciso di iscrivermi. 


– Le conoscenze che hai acquisito studiando scienze motorie allo IUSM, al Foro Italico, 
si sono rivelate utili ai fini della tua attività di istruttore? Se sì, che valore aggiunto ti hanno dato?

All’interno del mio lavoro è molto importante una laurea in quel campo ma penso che, a prescindere dal livello di istruzione, la differenza la si faccia mostrando gli “artigli” sul terreno di gioco e, naturalmente, giocando il più possibile per capire le dinamiche dello sport con la racchetta. Solo cogliendo alcune sfumature, relative alla coordinazione psicomotoria, all’apertura e al portamento del colpo dell’allievo, si può essere sicuri di insegnare nella maniera corretta.


– Fai lezioni di tennis in due circoli di Roma, all’Accademia Tennis Vigna Clara e al Due Ponti Sporting Club. Com’è strutturata la tua giornata? Riesci ad alternare le lezioni agli allenamenti?

La mia giornata è molto piena. Sveglia alle 7.00, una fragrante colazione e poi al lavoro dalle 8.00 fino alle 14.00. Al circolo Due Ponti vado verso le 16.00 del pomeriggio per divertirmi ed allenarmi, sia in palestra che in campo. Un circolo, comunque, molto adatto a questo genere di svago.

Dondelli

Che requisiti deve possedere un buon maestro di tennis?

– Sicuramente la pazienza! Scherzi a parte, un buon maestro non deve mai cercare di mettere troppo la sua impronta sul proprio allievo perché ogni giocatore ha una personalità a sé stante.
Oltre a questo, un bel curriculum non guasta mai; infatti, non manderei mai mio figlio in una scuola tennis nella quale gli istruttori non sono certificati dalla FIT.


– Quali sono gli aspetti positivi delle scuole tennis in Italia? Quali, invece, quelli dove poter migliorare?

– Gli aspetti positivi sono tanti, uno dei quali è la tecnica e la bellezza per il colpo in sé. Il tennis italiano va alla grande fino agli under 16; da lì a salire c’è un calo di risultati evidente (soprattutto dai ’90 ai ’95). Secondo me è qui che dovrebbe lavorare la Federazione Italiana per migliorare.


– A che età consiglieresti ad un bambino di iniziare a giocare e, volendo intraprendere un’attività agonistica, come dovrebbe essere strutturato l’allenamento?

– Non esiste un’età giusta per affacciarsi in questo sport; tra i cinque e gli otto anni sarebbe perfetto ma non indispensabile. Per intraprendere una attività agonistica con un attrezzo adeguato, l’età ideale si aggirerebbe intorno ai 13/14 anni. Prima di entrare nel merito dell’allenamento, è però importante godere di una preparazione atletica adeguata; solo in un secondo momento, si può lavorare a livello tennistico, tecnico o tattico che sia. Finita la pratica sul campo, un po’ di stretching e, a mio avviso, qualche disciplina orientale, come lo yoga e il pilates, andrebbero fatte per incentivare il proprio benessere psico-fisico. 


– Infine ti chiederei di descrivere ai nostri lettori il tuo negozio di tennis, soffermandoti, in particolare, sul materiale che avete a disposizione (racchette e attrezzature). Che racchetta consiglieresti a chi si avvicina per la prima volta al nostro sport?

Il mio negozio si trova a Brescia. Non è molto grande, sono 70 metri quadri; è iniziato tutto per gioco con i miei soci. Più tardi, ci siamo resi conto che avremmo potuto trasformarlo in un business e abbiamo colto la palla al balzo. Per quanto riguarda il materiale disponibile, abbiamo articoli di tutti i generi, racchette e abbigliamento. Da Babolat, a Yonex passando per Head, Wilson e Pro Kennex. Per quanto riguarda il look, le magliette di Federer, dalle più datate a quelle attuali, la linea intera di Raonic, i marchi celebri Nike, Adidas, Lacoste, Hydrogen e molto altro.
Sul discorso racchette, non ne consiglierei una in particolare perchè ognuno di noi ha un gioco talmente diverso che si adatta solo a determinati tipi di incordatura, grip e bilanciamento. Comunque, in commercio, sta andando molto la Babolat Pure Drive in quanto, a detta dei più, è una racchetta maneggevole e che abbraccia diversi stili di gioco. 

Grazie mille Federico, un abbraccio a tutti i lettori! 

Grazie a te Federico,
A presto


Federico Bazan © produzione riservata

 

Il Mondo del Tennis, blog di un giovane e appassionato tennista

Sul mio blog ho sempre fatto la parte dell’intervistatore; stavolta ho il piacere di essere l’intervistato. Ringrazio il sito SuperScommesse per questo bello spazio riservato a Il Mondo del Tennis.
http://www.superscommesse.it/notizie/mondo_del_tennis__il_blog_di_un_giovane_e_appassionato_tennista-9804.html 

Oggi intervistiamo Federico Bazan, giovane tennista, che con il suo blog Il Mondo del Tennis, comunica la propria passione per questo sport.


– Buongiorno Federico, grazie per aver accettato la nostra intervista. Come e quando nasce Il Mondo del Tennis?

– Buongiorno, grazie a voi.
Ho aperto il mio blog sul tennis il 28 aprile 2013, all’età di 18 anni. Era il mio ultimo anno di liceo,B3JS24OCIAAWw9u a ridosso della maturità. Il tennis è stato da subito il mio sport preferito. Ne ho praticati diversi, a dire il vero, tra cui la pallacanestro e il tennistavolo, nel quale avevo anche una classifica regionale e facevo tornei in giro per il Lazio. Ma il tennis è stato l’unico a trasmettermi quel qualcosa in più. Un giorno scoprii per caso Supertennis, accendendo la tv, al canale 64 del digitale terrestre. Cominciai a vedere qualche partita e a seguire con particolare interesse le telecronache dei match. Da questa scoperta a provare ad impugnare la vecchia Head di mio padre il passo fu veramente breve. Quando misi per la prima volta piede sulla terra del campetto vicino casa e provai a fare due colpi con il maestro, capii di essermi innamorato perdutamente di questo sport. Tra tutte le partite viste in quel periodo, ce ne fu una in particolare che mi fece venire voglia di scrivere un articolo su ciò che avevo visto con i miei occhi: fu la finale del torneo Godò di Barcellona tra Rafael Nadal e Nicolas Almagro, la quarta finale consecutiva centrata da Nadal dopo un anno di inattività a causa di un grave infortunio al ginocchio. Rivedere Nadal tornare ai livelli degli Internazionali di Roma del 2006, quando lo vidi giocare per la prima volta contro Federer (avevo 12 anni), mi invogliò a trasformare un semplice interesse in autentica passione. Quella sera in cui il campione iberico, battendo il connazionale Almagro, tornò il grande di sempre, mi vennero la voglia e la motivazione di buttare giù tutte le sensazioni che avevo provato nel vedere una finale di così alto livello tra un Nadal rinato e un Almagro in grande spolvero. E così nacque l’idea del blog che chiamai “Il Mondo del Tennis”, un nome che potesse fare da cornice a diversi ambiti dello sport con la racchetta: dalla storia e l’evoluzione del gioco, passando per i tornei e i campionati a squadre, alla tecnica e la mentalità, fino ad arrivare alle interviste ai giocatori e ai diversi appassionati, noti al mondo del tennis.


– Parlaci della tua passione per il tennis: quando nasce, e perchè hai deciso di aprire un sito dedicato a questo sport?

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– La mia passione per il tennis nasce da quando ero piccolo. Ai tempi della scuola elementare i miei genitori mi mandavano l’estate ai centri estivi dove, tra le altre attività, giocavo anche a tennis. Durante gli anni delle medie, ho fatto alcune lezioni da un maestro vicino casa, due anni di scuola tennis e mi sono infine iscritto in un circolo dove sono tutt’ora tesserato. Il blog l’ho aperto perchè ho iniziato a praticare lo sport con la racchetta a livello agonistico, classificandomi 4.5 fin dai primi tornei FIT in giro per Roma, ma anche interessandomi personalmente alle partite dei tornei ATP e WTA, che ho sempre seguito e che tutt’ora seguo in tv e, per quanto possibile, dal vivo.

Poi mia cugina, ad un Natale di qualche anno fa, mi regalò il librone illustrato “500 Anni di Tennis” del grande Gianni Clerici; da quel momento non avevo più scampo. Sfogliai alcune pagine e mi resi conto che il tennis sarebbe stato come una chiave che apre una porta. E spero non sia l’unica… in fondo ho solo 21 anni.


– Quali sono le fonti maggiormente utilizzate per un sito come il tuo?

– Cerco il più possibile di basarmi sulle conoscenze personali, acquisite giocando, guardando, analizzando meticolosamente gli incontri, i giocatori, i risultati, le classifiche e le condizioni di gioco. Copiare qualcosa o qualcuno non fa parte di me e del mio carattere; quello che scrivo viene molto spesso dall’ispirazione e dalla creatività, oltre che dalla voglia di descrivere ciò che potrebbe interessare, coinvolgere i lettori e, magari, essere oggetto di dibattito.
L’ispirazione consiste nel mettersi a pensare ad una strategia efficace per scrivere l’articolo; magari, dopo aver visto giocare un tennista, dopo aver assistito ad un suo allenamento, imparando a conoscere i suoi pregi e difetti tecnici e caratteriali, mi faccio un’idea delle cose che possano risultare utili da evidenziare e le scrivo, strutturando l’articolo. Ecco, le fonti, a mio avviso, non consistono nel prendere notizie da altri siti, enciclopedie, libri e scopiazzare, come fanno tanti (salvo casi in cui la materia lo richieda, per esempio alcune statistiche, i numeri che riguardano la carriera dell’atleta, gli effetti di alcune sostanze ritenute doping o meno, le dichiarazioni di un tennista su un determinato fatto ecc.) ma è seguire con scrupolo, analizzare, sviluppare con occhio critico l’avvenimento. In pratica, mettere insieme capacità di analisi e di sintesi.


– Come scegli i temi da trattare e approfondire?

– Non mi pongo limiti nello scegliere i temi da trattare. Sono uno spirito libero. Questo non vuol direFlavia Pennetta che faccio come mi pare, ma se qualcuno mi dicesse di portare a termine un lavoro, più o meno impegnativo, in 5 minuti, glielo porterei dopo 5 ore e sarei più contento di portarglielo fatto come si deve, pur infrangendo gli accordi, che non entro i tempi stabiliti e sbagliarlo completamente. Questo per dire che un bell’articolo o una recensione ben elaborata richiedono tempo, sacrificio, impaginazione, formattazione, correzioni, riletture e via dicendo. Solo un grande lavoro può suscitare un’apertura, un interesse condiviso e una predisposizione maggiore al dialogo tra le persone. Per scrivere alcuni pezzi ci ho impiegato anche del tempo.
Diffido molto, comunque, di chi dice che, se ci metti meno tempo, sei il più bravo. La qualità è ben altro…
Per come sono fatto, infatti, preferisco scrivere un articolo sulle impugnature, sulla tecnica dei giocatori, sul fatto che oggi le politiche della FIT facciano fatica a riservare un grande futuro al tennis italiano, su come mai nel tennis odierno il serve & volley si sia estinto, sul perchè gli inglesi, inventori del tennis, non abbiano oggigiorno un giocatore che faccia la differenza, anzichè scrivere dei risultati o di una qualsiasi partita di torneo che magari finirà un domani nel dimenticatoio. Nei miei pezzi cerco l’originalità, evitando il più possibile i sensazionalismi e le frasi fatte.


– Sul tuo sito hai scritto che pratichi il tennis a livello agonistico da tre anni. Cosa consiglieresti a coloro che vorrebbero avvicinarsi al tennis per la prima volta?

– Di giocare e divertirsi. Il tennis è uno sport molto gratificante, se praticato con costanza ed impegno, perchè puoi migliorare di giorno in giorno e vedere lentamente i progressi svolti. L’importante è non renderlo uno stress. Si arriva dove le possibilità vogliono che si arrivi. L’andare oltre si potrebbe pagare a caro prezzo. Questo lo dico, non per fare della retorica fine a se stessa, ma perchè ci sono innumerevoli casi di ragazze e ragazzi che, pur di provare a sfondare, lasciano la scuola o l’università; poi, purtroppo, non riescono nei loro obiettivi tennistici e si ritrovano con un pugno di mosche in mano. Il tennis, oltre al talento e alla pratica sul campo, richiede investimenti notevoli che non tutte le famiglie possono permettersi. Consiglio comunque a tutti i bambini e ai ragazzi più “pigri” di giocare a tennis ma anche di fare altri sport. Praticare almeno una disciplina sportiva è importante per il fisico e per la testa. Aiuta a sviluppare le capacità motorie e di coordinazione, aiuta a scaricarsi e a distrarsi dalla routine quotidiana. Ma soprattutto, uno sport come il tennis, insegna dei valori che sono l’educazione, il rispetto e la lealtà verso l’avversario e verso il prossimo. O almeno, è quello che ha insegnato a me… e di questo ne vado fiero.


– Secondo te, quanto è seguito questo sport nel nostro paese? E perchè il calcio continua ad essere considerato lo sport per antonomasia?

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– Negli ultimi tempi, il tennis ha avuto un’affluenza senza precedenti di spettatori e di tifosi. Pensiamo a quante persone vengano al Foro Italico ogni anno da città di tutta Italia, per vedere gli Internazionali, quanto l’impianto si allarghi anno dopo anno e accolga più negozi, attività, giochi per bambini ecc. All’epoca non esistevano né il Centrale, né la Supertennis Arena. C’erano solo il Pietrangeli e solo alcuni dei campi Ground attualmente presenti. Oggi ci sono anche i campi da paddle tennis dove si esibiscono i professionisti e moltissima gente si ferma là a guardarli giocare. Fino ad alcuni anni fa, tutto questo era impensabile.

Secondo me, il ruolo dei social network, della rete e della televisione sono stati fondamentali nel processo comunicativo e di avvicinamento delle masse. Supertennis e Sky hanno coinvolto migliaia di spettatori, anche provenienti dal mondo del pallone, proponendo partite di Coppa Davis e Fed Cup dell’Italia, i tornei del Grande Slam, gli ATP 1000 e le World Tour Finals. Ovviamente tutto questo è incomparabile al successo che ha il calcio. Ma questo perchè, per il calcio, basta un pallone, fare due porte con le felpe e ci si diverte lo stesso, che sia in spiaggia piuttosto che nel cortile sotto casa. Il tennis richiede una racchetta, un barattolo di palline, un campo fatto in un certo modo e una rete. E poi credo ci sia di mezzo una questione culturale: il tennis nasce come sport di élite, per i più ricchi (anche se questo discorso è opinabile, specialmente oggigiorno dove ci sono diversi tennisti provenienti da famiglie con, all’origine, un’esigua disponibilità economica; pensiamo alle sorelle Williams e a molti tennisti dell’est Europa come Davydenko). Il calcio è lo sport di massa per eccellenza. Giocare a pallone è immediato ed economico. Giocare a tennis richiede diversi elementi costosi come la racchetta, l’equipaggiamento e le varie attrezzature indispensabili per giocare. E poi la prima cosa che desidera istintivamente un bambino piccolo è una palla, più che una racchetta.


– Infine ti chiediamo un’opinione relativa al torneo Challenger ATP per i nostri lettori. Pochi giorni fa si è concluso il torneo Roma Garden Open: cosa ne pensi?

– Ha vinto il tennista britannico Edmund, poco più che ventenne, numero 80 del mondo, che ha liquidato il serbo Filip Krajinovic, giocatore insidioso che sconfisse con autorevolezza il nostro Fabio Fognini nel torneo di Amburgo, circa due anni fa. Ecco, Edmund, a proposito di tennisti inglesi, può essere un giocatore in prospettiva molto interessante per il mondo del tennis anglosassone. Adesso si stanno facendo vedere anche Aljaz Bedene e la giovanissima Heather Watson che ha estromesso Sara Errani al primo turno degli Internazionali di Roma. Il torneo del Garden è un buon esame per testare il livello di giocatori che, in prospettiva, possono crescere ed avere l’opportunità di competere un domani in tornei del Grande Slam.

 

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Lorenzo Fares, telecronista di SuperTennis Tv


Ciao Lorenzo, è un piacere poterti intervistare. Grazie per il tempo che dedichi a “Il Mondo del Tennis”.

Ciao Federico, figurati. 


– Sei uno dei telecronisti di SuperTennis Tv, canale interamente dedicato allo sport con la racchetta. Puoi illustrare ai nostri lettori il percorso che hai intrapreso per diventare giornalista e telecronista sportivo?

– Dopo aver conseguito la maturità classica, ho frequentato il corso di laurea quinquennale in scienze della comunicazione all’Università “La Sapienza” di Roma, laureandomi nel 2006. Successivamente, ho frequentato la scuola di giornalismo della Lumsa. Sono diventato giornalista pubblicista nel 2004 e, dopo la scuola di giornalismo, ho superato l’esame da professionista.
Una volta entrato a SuperTennis nel 2008, con la nascita del canale, mi sono specializzato nelle telecronache, a cavallo tra il 2008 e il 2009. 


– Quali sono state le tue esperienze professionali prima di approdare a SuperTennis? Ritieni siano servite come trampolino di lancio per il lavoro di cui ti occupi attualmente?

Senz’altro, mi hanno aiutato a capire questo mondo, per nulla facile. Ho fatto anni di “gavetta”, collaborando per giornali sportivi come Il Corriere Laziale, che si occupava di calcio giovanile, o per alcune radio private in cui mi occupavo prevalentemente di sport. Iniziai a Radio Meridiano 12 nel 2005 e, proprio per questa radio, cominciai a seguire i miei primi Internazionali al Foro Italico; era l’anno della splendida finale tra Nadal e Coria. 


– Com’è nata in te la passione per il tennis? Hai sempre sognato di fare questo mestiere?

– La passione per il tennis me l’ha contagiata mio padre. Da piccolino pensavo solo al calcio, poi mio papà mi convinse a provare lo sport con la racchetta. Iniziai a giocare nel 1993, avevo 11 anni e mezzo. Mi piacque, cominciai a praticarlo con regolarità fino ad appassionarmi al tennis giocato, visto dal vivo e in tv.
Assistere alla finale degli Internazionali di Roma del 1994, in cui Sampras sconfisse Becker, fu per me il momento in cui capii che il tennis aveva ormai spodestato il calcio tra i miei sport preferiti. Vien da sé che, da allora, mi sarebbe piaciuto, un giorno, poter lavorare nel tennis. 

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                        Lorenzo Fares intervista Juan Martin Del Potro


– Qual è stata la prima partita che hai commentato?

– Nel gennaio 2009 comprammo i diritti del torneo ATP di Auckland. Commentai la finale in cui Juan Martin Del Potro sconfisse Sam Querrey. Naturalmente ero tesissimo ma fu un’esperienza magnifica, che mi porto ancora dietro e che, da allora, mi ha fatto guardare con molta simpatia al campione argentino.


– Ce n’è qualcuna, tra tutte quelle che fin’ora hai visto, che non potrai mai dimenticare?

– Ce ne sono diverse ma, se dovessi scegliere, direi le partite di Coppa Davis dell’Italia. Per il clima che si respira, per il fatto che in quel momento commento gli incontri della nostra Nazionale.
Il giorno in cui Fognini sconfisse Murray a Napoli rimane indimenticabile, ad esempio. Quella partita la commentai con grandissima emozione, grande adrenalina.


– Fare una telecronaca comporta l’osservanza di alcune consuetudini. Quali sono gli step e le regole più importanti da seguire?

– Solitamente non mi preparo nulla di scritto, vado a braccio. Sono un fanatico delle statistiche e, prima di entrare in cabina di commento, mi studio a memoria tutte quelle cose che possono servirmi per poter dare informazioni in più sulle tenniste o sui tennisti in campo.
A mio avviso un telecronista deve parlare il meno possibile durante gli scambi, in quanto non è il protagonista in quel momento ma solo una guida che ha il compito di tenere compagnia al telespettatore e impreziosire il tutto con qualche curiosità e statistica.


– Che conoscenze deve avere un telecronista?

– Il lessico è fondamentale. Occorre conoscere i vocaboli tecnici del tennis. Bisogna poi sempre informarsi, prima dell’inizio di un match, sul cammino dei tennisti nei tornei, sui precedenti e magari su notizie o curiosità che hanno accompagnato un atleta in quella settimana di partite.


– Ci sono giornalisti sportivi che esprimono la propria opinione motivandola, altri che mantengono una linea il più possibile imparziale ed altri ancora che cercano di mediare. A quale scuola di “pensiero giornalistico” senti di appartenere?

– Dipende dai casi. Non sono contrario all’idea di dare un’opinione, purché non la si imponga. La mia motivazione su un determinato tema potrebbe non trovare d’accordo alcuni spettatori o lettori ma, qualora si crei un dibattito, è bene potersi confrontare.  


Nel ringraziarti per la disponibilità, seguiremo sempre con interesse le tue telecronache su Supertennis Tv.

Grazie, un saluto.

A presto,

Federico

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Francesco Giorgino

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                                                  Il servizio

In tanti la conoscono come giornalista del Tg1, pochi in veste di tennista. Ci vuole raccontare com’è nata in lei la passione per il tennis?

– È una passione nata nel periodo adolescenziale, poi sopita, ma risvegliatasi con la forza di un vulcano in età adulta. Del tennis mi ha sempre affascinato la sua caratteristica di sport di situazione, in cui la tecnica non è mai fine a se stessa, poiché è sempre al servizio di un obiettivo tattico. Uno sport nel quale chi ha propensione allo stile può esprimersi al meglio, senza per questo rinunciare alla performatività, alla forza muscolare e alla rapidità di movimento. Uno sport che si fa all’aria aperta, che si può praticare ovunque (visti i numeri dei circoli e dei campi da tennis in Italia) e soprattutto che ti accompagna lungo tutto l’arco della vita.

A che età ha cominciato a giocare? In che circolo ha imparato i rudimenti della disciplina?

– Ho cominciato intorno ai dieci anni. I primi rudimenti li ho acquisiti frequentando il campo in mateco presente nella villa di alcuni amici di famiglia ad Andria, in Puglia. Il figlio del proprietario di questa villa seguiva alcune lezioni private con un maestro del locale circolo tennis. Un giorno assistetti ad una di queste lezioni e il maestro mi invitò ad impugnare una racchetta e a provare a colpire qualche palla. La mandai al di là della rete e il maestro (troppo generoso nel giudizio o più verosimilmente desideroso di avere un altro allievo) mi disse: “Francesco, sei portato per il tennis!”. In realtà, avevo dimostrato solo di avere una buona coordinazione fra gli arti superiori e quelli inferiori. Fu così che partii alla scoperta di questo sport che, giorno dopo giorno, mi ha conquistato. Più del calcio. Più dello sci nautico e dello sci alpino, che pure da ragazzo ho praticato molto.

Giorgino dritto

                                        Il dritto con presa semi-western

Oltre a vivere sul campo lo sport con la racchetta, le piace anche seguirlo in tv? Si è mai cimentato in una telecronaca sportiva?

– Lo seguo tantissimo in tv. Mi piace vedere sia i match live che quelli del passato che ogni tanto vengono riproposti. Amo fare la comparazione fra il tennis di ieri e quello di oggi. Amo soffermarmi sulle impugnature, sull’evoluzione delle rotazioni, sulle stance, sull’ampiezza delle preparazioni dei colpi al rimbalzo, sui cambiamenti del servizio, sulla tecnica degli spostamenti, sulle angolazioni più ricercate. Il tennis in tv per me oltre ad essere spettacolo, è anche uno straordinario materiale didattico. Non ho mai fatto telecronache di tennis, perché faccio il giornalista politico. Ma nella vita mai dire mai.

– Che ricordi ha delle prime volte che ha assistito dal vivo ad un torneo internazionale? Quali sono i giocatori che l’hanno entusiasmata di più?

– Il mio primo torneo internazionale visto dal vivo molti anni fa fu al Foro Italico. In camera avevo i poster di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli. Che squadrone mitico! Quando vedo Barazza glielo ricordo sempre. A proposito di Barazzutti, qualche anno fa a Milano Marittima abbiamo palleggiato per un’oretta. Mi ha fatto fare in campo il tergicristallo per venti minuti consecutivi. La mia unica colpa? Gli avevo detto di avere abbastanza fiato. Naturalmente sono uscito dal campo boccheggiando… Quanto ai giocatori più recenti, adoro il tennis di Roger Federer perché ha uno stile unico, forse irripetibile.

– Lei è un giornalista, conduce il Tg1, ma è anche un docente universitario e un istruttore della Fit. Riesce ad allenarsi regolarmente, malgrado i numerosi impegni?

– Assolutamente si. Come minimo mi alleno tre volte a settimana, per due ore al giorno. D’estate anche di più. Nonostante i molti impegni, riesco sempre a trovare il tempo per allenarmi. Il tennis è uno sport che ha bisogno di allenamenti continui. Ti devi applicare, altrimenti fai passi indietro dal punto di vista tecnico.

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                La preparazione del rovescio ad una mano

Per poter insegnare il tennis, oltre ad avere dei requisiti di base, bisogna seguire un corso che prevede un esame finale. Può illustrarci il percorso che ha seguito per diventare istruttore?

– Bisogna seguire un corso che prevede teoria e pratica, fare un tirocinio presso un centro federale, superare un esame scritto, uno orale e fare la prova di gioco. È giusto che l’Istituto Superiore di Formazione R. Lombardi sia rigoroso nella individuazione degli insegnanti di tennis. In campo non si può improvvisare e oggi più che mai questa figura tecnica deve avere competenze plurime: in area mentale, motoria, tecnica, tattica e della comunicazione.

A proposito, lei è uno dei docenti dell’Istituto Superiore di Formazione della Fit. Insegna ai futuri istruttori, maestri di tennis e tecnici nazionali Sociologia e Comunicazione. Perché è importante la sua materia?

– Sia se consideriamo la relazione fra attività di teaching e attività di learning, sia se consideriamo la relazione fra attività di coaching e attività di training, c’è sempre fra chi trasmette una conoscenza e chi questa conoscenza la acquisisce una forma, diretta o indiretta, di comunicazione. Io provo a far riflettere gli insegnanti di tennis sull’importanza della comunicazione con gli allievi e le loro famiglie, della comunicazione fra tecnici e con i dirigenti del circolo, della comunicazione di massa. Non solo: provo anche a sviluppare la consapevolezza dell’importanza del contesto della didattica e della costruzione del percorso identitario degli insegnanti di questo sport.

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                                           La volèe


– Partecipa regolarmente ai tornei Fit? Che classifica ha, attualmente?

– Attualmente sono 4.1, purtroppo non ho molto tempo per fare i tornei. Mi piacerebbe salire un po’.


– Qual è la strategia migliore per gestire una partita di torneo?

– La strategia migliore è quella di associare ad un allenamento regolare e diversificato (tutti i colpi, tutte le traiettorie e le angolazioni, tutte e tre le situazioni di gioco e quindi difesa, costruzione e attacco), una buona preparazione fisica e una consistente autoefficacia percepita delle proprie competenze tennistiche. Insomma, aver fiducia nel proprio tennis.


– Che giocatore si definisce? A tutto campo, da fondo campo o serve & volley?

– Direi che rientro nella tipologia dell’attaccante da fondo campo. Ma sto lavorando, proprio in questo periodo, per avere più padronanza anche nelle altre tipologie di gioco e nelle altre zone del campo.


– Concludiamo in bellezza, con una sua frase che ha fatto da titolo ad un video circolato sui social network, relativo al suo tennis e che ha avuto migliaia di visualizzazioni: “Nel tennis, come nella vita, sono il controllo, la precisione e la regolarità a farti vincere”. Credo sia un messaggio molto bello da trasmettere a tutte le ragazze e i ragazzi che si affacciano nel mondo dello sport e del lavoro… 


– Lo penso davvero. Il controllo serve perché significa capacità di governare le diverse situazioni della vita. La precisione serve perché significa maturare la consapevolezza che le cose non accadono per caso, ma solo dopo un’apposita formazione. La regolarità serve perché significa abitudine alla costanza, alla perseveranza, alla stabilità. Da questo punto di vista, il tennis è una grande metafora dell’esistenza umana.

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Corinna Dentoni, quindicesima giocatrice azzurra e numero 444 WTA

                                                             Il dritto di Corinna, suo colpo migliore

Ciao Corinna, grazie per il tempo che mi dedichi. È un privilegio per me poter intervistare una tennista professionista, numero 15 tra le giocatrici azzurre attualmente in attività.

Ciao Federico, figurati, lo faccio volentieri. 


Iniziamo dal tuo sogno.

– Com’è nata in te la passione per il tennis?

–  La passione per il tennis è nata quando avevo 7 anni e ho preso per la prima volta la racchetta in mano. Ho praticato molti sport da bambina ma l’unico che mi ha sempre entusiasmato è stato il tennis, diciamo come un amore a prima vista. 


– Sei nativa di Pietrasanta, un piccolo comune in provincia di Lucca. In che circolo hai imparato i fondamentali e chi sono stati i maestri che ti hanno vista crescere?

– Ho iniziato a giocare a Marina di Carrara dove ho sempre vissuto, mi sono spostata a Forte dei Marmi e, successivamente, a Lido di Camaiore per poi trasferirmi, all’età di 17 anni, a Milano, da Laura Golarsa. Grazie a lei, ho imparato i fondamentali del tennis che mi hanno permesso di raggiungere un buon livello tennistico. 


– A proposito di piccole realtà come Pietrasanta… credi sia indispensabile per un talento emergente, magari cresciuto in un comune piuttosto che in una grande città, trasferirsi in un contesto di più ampio raggio, come può essere un circolo di una metropoli o una delle note scuole tennis riconosciute a livello internazionale, affinchè trovi la chiave del successo?

Qual’è stata la tua scelta a riguardo?

– Penso che non sia importante tanto dove ti alleni, quanto con chi ti alleni.
La provincia di Lucca conta numericamente più campi da tennis rispetto al resto d’Italia; quello che manca è una struttura attrezzata e il tennis non lo si vive in maniera professionistica pensando alla crescita dell’atleta, ma più come uno sport dilettantistico. Io mi sono trasferita a Milano e lì ho trovato il contesto di cui avevo bisogno. 


– Ad un certo punto bisogna prendere una decisione importante. A che età hai capito che il tennis sarebbe diventato il tuo futuro? La consapevolezza di voler intraprendere la strada del professionismo è stato un processo graduale?

– Ho deciso e capito che il tennis sarebbe stato il mio futuro quando, con la mia famiglia, abbiamo preso la decisione di trasferirmi a Milano e intraprendere questo lungo percorso. Ho sempre ottenuto ottimi risultati sia da bambina che a livello junior, quindi diciamo che è stato un processo graduale ma comunque pianificato.


Facciamo un tuffo nel passato.

– Hai raggiunto una finale Slam agli Australian Open in doppio, a livello Junior. Sei entrata nel tabellone principale al Roland Garros. Hai vinto 4 tornei ITF nel corso della carriera. Sei stata 132 del mondo, il che significa anni di duro lavoro. Quali sono i tuoi ricordi più belli?

– Di ricordi ne ho tantissimi; la soddisfazione più grande che ho avuto è stata giocare due volte nel tabellone del Roland Garros; è inspiegabile quello che si prova ad entrare da protagonista in un campo come quello dei tornei del Grande Slam. Ci sono stati tanti altri bei ricordi come la finale del 100.000$ in Cina, dopo un grosso infortunio alla caviglia.


Arriviamo al presente.

– Per diventare ciò che sei adesso, ti sei sempre dedicata regolarmente alla pratica sul campo. Com’è strutturato il tuo programma giornaliero di allenamento?

– Mi alleno sei giorni alla settimana, normalmente gioco due ore a tennis al mattino più stretching e, nel pomeriggio, dedico circa tre ore alla preparazione atletica. 


– Sei la quindicesima giocatrice italiana. Cosa si prova ad essere la numero 15 nella tua Nazione?

– Neanche lo sapevo, mi stai informando tu. Comunque, quando si gioca a livello professionistico, non si bada alla classifica italiana perché le mie avversarie sono ragazze di tutto il mondo quindi mi concentro sulla mia attività e la classifica è solo una conseguenza del lavoro svolto. 


– Giochi diversi tornei ITF. Secondo te cambia molto rispetto ai Tier, International e Premier, aldilà del montepremi? C’è molta disparità di livello tra le giocatrici?

– In termini di organizzazione dei tornei c’è una differenza abissale mentre il livello delle ragazze, più che sul campo, cambia per un discorso legato alla gestione della partita con un mental coach. Non tutte possono avvalersene, per i costi che l’allenatore stesso comporta e per il fatto che, alcune di loro, si perdano nel tempo.
Secondo me, comunque, il livello medio si è alzato moltissimo negli ultimi anni; adesso le giocatrici iniziano ad essere professioniste a 15 anni e a 30 continuano a giocare… ci sono meno tornei per l’Europa e meno sponsor, quindi tutte si raggruppano negli stessi tornei e la competizione si fa più accanita. 


– Parliamo un po’ del tuo profilo tecnico. Hai vinto 4 tornei a livello ITF, tutti quanti su terra battuta. Ti definiresti una terraiola?

Hai un colpo che reputi più incisivo, tra i fondamentali? C’è qualcosa, invece, del tuo gioco, che senti di dover migliorare?

– La terra mi piace molto ma, non per questo, mi mette a disagio il fatto di giocare sulle superfici rapide. Per quanto riguarda i miei fondamentali, il dritto, sicuramente, è il colpo con cui faccio più male all’avversario. Sto lavorando sulla seconda di servizio ma forse la cosa che ancora mi manca è la continuità nel gioco… ho avuto parecchi alti e bassi in questi ultimi due anni ed è un aspetto su cui devo migliorare.


Uno sguardo al futuro.

– Obiettivi per il finale di stagione e per il 2016?

– Obiettivi di classifica per la fine dell’anno non ne ho, voglio giocare più tornei possibili. Invece per il 2016, tornare a giocare le qualificazioni dei tornei del Grande Slam. 


– Qualche idea dopo il tennis?

– Quando finirò la mia carriera mi piacerebbe riprendere gli studi e conseguire una laurea. 


Sperando possa continuare sulla scia dei successi e dei traguardi, ti auguro il meglio Corinna.

Grazie.

 A presto,

Federico

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Stefano Travaglia, numero 11 d’Italia e 377 ATP

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                                                                Stefano Travaglia all’opera sul Pietrangeli


Ciao Stefano, è un piacere intervistarti. Ti ringrazio per il tempo che mi dedichi.

Cominciamo dalla scintilla che ha alimentato in te l’amore per lo sport con la racchetta.
– Quanti anni avevi quando è nata la passione per il tennis? Come si è originata quell’alchimia indissolubile che ti ha avvicinato al nostro magnifico sport?

– Avevo l’età di 7 anni quando mio padre Enzo e mia madre Simonetta mi portarono al circolo in cui lavoravano, la Mondadori di Ascoli Piceno e, a piccoli passi, mi misero la racchetta in mano facendomi fare i primi tiri con la palla di spugna.


– Sei nativo della piccola e graziosa Ascoli Piceno, comune marchigiano di poco più di 100 mila abitanti. In che circolo hai imparato i rudimenti della disciplina e chi sono state le persone e i maestri che ti hanno formato tennisticamente?

– Le persone che mi hanno insegnato i rudimenti della disciplina sono state proprio i miei genitori, entrambi maestri di tennis al circolo della Mondadori di Ascoli Piceno. Coltivando da sempre la passione per il tennis e lavorando in quel centro sportivo, non potevano fare a meno di farmi provare tanti sport tra cui anche quello con la racchetta che a suo tempo, onestamente, non mi piaceva granchè.


– Per arrivare ad essere prima categoria, devi fare tanti sacrifici e rinunciare a tante altre attività. Come sono strutturati i tuoi allenamenti?

– È tutto un gioco fino a quando, se vuoi compiere il salto di qualità, devi fare delle scelte mirate; prima di tutto, lasciare la scuola normale per frequentarne una privata che ti dia il tempo di allenarti mattina e pomeriggio. Dopodiché selezionare un centro professionale nel quale tutte le attività da svolgere si possano fare in totale armonia, serenità e fluidità. Il passo finale, e non meno importante, è dare il massimo in campo, in palestra e nelle ore di atletica, in ogni singolo minuto della pratica sportiva.
I miei allenamenti durano sei ore al giorno, quattro di tennis e due tra atletica e palestra.


– A che età hai capito che avresti intrapreso la strada del professionismo? È stato un processo graduale?

– Ad un certo punto bisogna prendere una decisione; io la mia scelta l’ho fatta a 15, quasi 16 anni, andandomi ad allenare a Jesi, città ad un’ora e mezza da casa mia, dove vi era la migliore accademia di tennis delle Marche di quei tempi, 2007/08.
È stato un processo molto graduale sia il distacco da casa che l’evoluzione del mio tennis. Ho iniziato a vincere piano piano, sia in allenamento che in qualche partita dei tornei ufficiali, punto dopo punto, incontro dopo incontro.


Facciamo un salto nel passato recente.

– Hai vinto nove tornei Futures di cui tre in Cile. Hai fatto tre finali in Argentina e due sempre in Cile. Si direbbe che hai un buon rapporto con il Sud America. Che ricordi hai di queste terre?

– Dopo Jesi, mi sono trasferito in Sud America, a Buenos Aires, per due anni e mezzo dove ho giocato molti tornei Open che, in Argentina, si chiamano Top Serv.
Ero 1600 ATP quando arrivai a Buenos Aires, dopo mesi di gavetta nei tornei argentini. Ho avuto l’occasione di qualificarmi in qualche Futures, raggiungendo anche varie semifinali e finali. Dopodiché, quando ero circa 500 ATP, ho iniziato a gareggiare in tornei Challenger, alternandoli ai Futures.
Ho raccolto tre trofei in Cile, tra i quali il mio primo titolo in carriera. Come dimenticarlo…


– Quest’anno hai raggiunto il tuo best ranking in singolare alla posizione numero 194 della classifica ATP. Ricordo di averti visto l’anno scorso al Foro Italico giocare contro Albert Montañés che battesti in due set. Ti qualificasti nel tabellone principale dove affrontasti Simone Bolelli in un derby all’ultimo sangue conclusosi al tie break del terzo. Simone vinse 7-5 al tie break… ma che partita!

Puoi dirti soddisfatto degli ultimi due anni?

– La scorsa stagione mi ha visto protagonista in giro per il mondo, partendo a gennaio per l’Egitto per poi ritrovarmi al Foro Italico sulla Supertennis Arena, 1 set, 3-2 e servizio avanti e concludere con le trasferte africane e indiane, durate complessivamente sei settimane tra Tunisia, Marocco e India. Un anno in cui ho fatto molte partite, molte esperienze e ho raggiunto il best ranking in singolare e in doppio.
Sicuramente la vittoria contro Montañés, ex 22 del mondo, è stata una vittoria bellissima dato che si trattò del mio primo incontro vinto a livello ATP e, per di più, sul Pietrangeli, in un’atmosfera meravigliosa. Il turno successivo fu un altro grandissimo risultato poichè sconfissi Rola Blaz, numero 89 ATP, per poi arrivare a giocare contro Simone Bolelli al primo turno; una partita con molti alti e bassi da parte mia che, comunque, mi portò 1 set e un break di vantaggio nel secondo set! Un Bolelli che, attualmente, gioca in Coppa Davis ed è numero 3 d’Italia… 


Arriviamo al presente.

– Attualmente sei undicesimo in Italia e 377 a livello ATP. Cosa si prova ad essere il numero 11 nella tua Nazione?

– È un privilegio praticare questo sport e rappresentare il mio Paese quando gioco in Italia e all’estero; essere l’undicesimo giocatore italiano è una grande soddisfazione.
Ahimè, quest’anno, ho avuto una serie di infortuni che non mi hanno permesso di giocare in modo continuo ma sicuramente ho ancora tanto da imparare e da dare, motivo per cui continuerò ad allenarmi per fare del mio meglio e dimostrarlo in campo.


– Negli ultimi tempi, purtroppo, sei stato costretto a fermarti ai box per infortunio. Quanto ti ci vorrà per recuperare?

– Riprenderò a giocare il prima possibile e vedrò, in base alla forma fisica e tennistica, dove programmare il finale di stagione.


Uno sguardo al futuro.

– Obiettivi per il 2016?

– Il 2016 è ancora molto lontano, so che posso chiudere quest’anno bene perché ho alcuni tornei da disputare, perciò, per il momento, preferisco guardare al 2015.


Curiosità.

– Come nasce il nickname “Steto”?

– Il mio nickname nacque nel circolo che frequentavo a suo tempo, quando avevo 10 anni. Mi chiamavano “Steto” e da lì nacque il mio soprannome.


Sperando possa riprenderti il prima possibile dall’infortunio e ritornare più forte di prima, ti auguro il meglio Stefano.

Grazie mille, un grande saluto.

 A presto,

Federico


Federico Bazan © produzione riservata