– La famiglia Palmieri ha dato tanto al tennis italiano. Una tradizione che ha inizio dagli anni ’30 con i trionfi di Giovanni Palmieri, uno dei primi tennisti italiani ad aver vinto gli Internazionali d’Italia, il torneo di Monte Carlo e i Campionati Italiani Assoluti.
Nel tunnel che porta allo stadio Pietrangeli, compaiono il suo nome e la sua foto nell’albo dei vincitori del torneo capitolino. Che ricordi hai di tuo nonno uomo e di tuo nonno tennista?
– Giovannino è entrato con prepotenza nella mia modesta carriera tennistica. Lo vedevo come un mito e per me era un vanto averlo come nonno. Era così elegante da sembrare un nobile, pur essendo di umili origini. Elegante dentro al campo, con il suo gioco, e fuori, con la sua personalità. Un campione d’altri tempi, fonte di ispirazione per figli, nipoti e generazioni a venire.
Se la mia vita fin da piccolo è stata costellata da racchette e palle, lo devo anche alla grande dedizione che mio nonno aveva per il tennis e che mi ha trasmesso con le sue partite indimenticabili.
– Dopo le imprese di Giovannino, la storia dei Palmieri è andata avanti con il contributo importante che tuo zio, Sergio Palmieri, ha dato e continua a dare oggi al tennis italiano. Ex tennista, da anni Direttore Tecnico degli Internazionali BNL d’Italia, ricopre un ruolo ai vertici della FIT e nell’organizzazione degli appuntamenti principali: torneo di Roma, Coppa Davis e Fed Cup.
La tua passione per il tennis è nata anche grazie a tuo zio? Quali valori ti ha insegnato?
– La passione per il tennis è sbocciata grazie alla mia famiglia. Ogni parente ha giocato un ruolo fondamentale in questo sport: il nonno è stato il primo Palmieri di successo con la racchetta. Dopo Giovannino, è arrivato mio padre che, pur non essendo stato un tennista, era comunque un grande appassionato di tennis, volenteroso di continuare la nostra tradizione di famiglia: ricordo ancora quando mi accompagnava tutti i pomeriggi al circolo, dopo la scuola. Ma, tra tutti, chi ha contribuito maggiormente alla mia crescita tecnica è stato lo zio Lillo, un Maestro eccezionale, ormai da anni impegnato nel coordinamento del settore agonistico al Tennis Club Cagliari.
Mio zio Sergio, invece, ancor prima di entrare a far parte della Federazione, ha avuto una carriera tennistica di tutto rispetto. Ha giocato, in singolare e in doppio, con alcune leggende del passato tra cui Stan Smith, Roy Emerson e Rod Laver. Ha raggiunto piazzamenti come il secondo turno al Roland Garros e il terzo turno a Wimbledon nel doppio misto. Tra le sue vittorie più importanti, c’è quella contro Jaroslav Drobný, vincitore di tre tornei dello Slam.
Per arrivare alla tua domanda, lo zio Sergio è sempre stato un esempio per me, soprattutto per la grande professionalità che ha sempre avuto e che tutt’ora ha nel suo lavoro.
– Giovanni era del 1906, Sergio è del 1945 mentre Stefano nasce nel 1958. Arriviamo quindi al protagonista dell’intervista, il terzo in ordine cronologico.
Prima di diventare Maestro, giocavi in serie C1. Hai girato diversi circoli di Roma: il Parioli, il Pisana, il Tennis Formello e, attualmente, le Muse. Quali sono state le esperienze che ti hanno formato, prima come giocatore e poi come Maestro?
– Ho giocato per molto tempo in C1 al Parioli e al Pisana, prima di diventare Maestro alle Muse. Come giocatore, le esperienze sono state tante: senza dubbio tutti i tornei fatti, i campionati a squadre e i vari circoli di Roma che ho girato e ai quali mi sono affezionato. Come Maestro, l’aver avuto tante persone diverse alle quali insegnare il tennis: dai bambini, passando per i ragazzi, fino agli adulti. Con ognuno di loro ho sempre cercato di esprimere le mie conoscenze stringendo, allo stesso tempo, un rapporto amichevole basato sul piacere di giocare a tennis.
– Dal 1992 lavori al Circolo delle Muse. Tra le ragazze e i ragazzi che hai seguito negli anni, ce n’è qualcuno che ha intrapreso la strada del professionismo?
– In tanti anni di insegnamento non ho avuto giocatori professionisti ma molti che ho fatto innamorare al tennis. Penso che la massima aspirazione per un Maestro sia quella di seguire una bambina o un ragazzo promettenti e condurli verso la strada del professionismo. Ma, spesso, è molto bello e gratificante anche solamente far divertire i propri allievi e farli appassionare al tennis. Con l’auspicio che non smettano mai di giocare.
– E, per concludere, i ricordi più belli che hai vissuto con tuo zio.
– Ce ne sono diversi. Se dovessi sceglierne uno, direi il Masters negli Stati Uniti nel 1985. Ricordo che andai insieme a mio zio e alcuni suoi amici tennisti. Vidi tanto bel tennis in un’epoca di grandi campioni: Connors, McEnroe, Edberg, Becker, Lendl, Wilander, Leconte e molti altri. Ebbi l’opportunità di conoscere più da vicino uno di questi, ovvero il mitico John McEnroe, in quanto Sergio era stato manager per un periodo della carriera dell’americano. Contrariamente a come veniva comunemente descritto per le sue arrabbiature e i suoi sfoghi, McEnroe era una persona molto simpatica e socievole al di fuori del campo. Indicativo del fatto che il tennis non sempre riveli interamente il carattere di una persona.
L’esperienza del Masters mi ha fatto scoprire un lato del tennis differente, ancora più avvincente, più entusiasmante. E da lì ho capito il perché mio zio sia partito da zero e arrivato dove è oggi. Perché ha coltivato una grandissima passione per questo sport e l’ha custodita nel tempo. Ancora oggi, superati i 70 anni di età, è una persona a cui piace viaggiare, conoscere nuovi stadi, guardare i tornei dal vivo ed entrare in contatto con i tennisti.
Federico Bazan © produzione riservata