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ASICS Gel Resolution 8 Clay: la scarpa perfetta per la terra battuta

Descrizione:
La scarpa da tennis Gel Resolution 8 Clay nasce con l’obiettivo di fornire un prodotto di qualità al tennista che predilige il gioco sulla terra battuta. La complessità degli inserti garantisce una serie di elementi imprescindibili per un giocatore: aderenza al terreno, stabilità, riduzione degli impatti e degli urti. Senza considerare la durata della scarpa nel tempo, oltre alla qualità riscontrabile durante le performance.
Un altro aspetto non indifferente delle nuove ASICS è la leggerezza sul piede: è un tipo di scarpa della quale non si avverte il peso e che, anzi, tende a non essere invasiva durante gli spostamenti in campo per l’estrema comodità. Il tutto, coadiuvato da una eccellente protezione della pianta del piede.
Prezzo consigliato al pubblico: 140,00 €.

Caratteristiche tecniche:
Colore: bianco/verde
Misure: dal 38 al 50
Peso: 420 gr.
Materiale: tomaia FLEXION FIT che ne incrementa la flessibilità
Suola: sistema AHAR (High Abrasion Resistant = Alta Resistenza all’Abrasione)

Vantaggi:
– Calzata confortevole:
Leggerezza e flessibilità sono i due elementi principali della Gel Resolution 8 Clay, grazie al materiale innovativo dei nuovi inserti.

 Stabilità e sostegno:
Le tecnologie DYNAWRAP e DYNAWALL aiutano il tennista a migliorare la stabilità sul terreno di gioco e il sostegno dato dalla calzatura.

 Assorbimento degli urti:
Le varie tecnologie con cui le scarpe sono composte consentono al giocatore di attutire eventuali urti sulla tomaia e sulla suola.

– Ammortizzamento:
Ammortizzazione con tecnologia GEL nell’avampiede e nel tallone.

– Resistenza all’abrasione e all’usura:
Suola progettata con il sistema AHAR per una maggiore robustezza e durata nel tempo.

Valutazione personale:
Quando, indossando un paio di scarpe da tennis, si avverte che il piede faccia male, dia fastidio oppure che in campo non si abbiano delle buone sensazioni, si deve necessariamente cambiare il modello andando a comprarne un altro paio, per evitare di subire infortuni, quali tallonite e fascite plantare. Ma perché dover cambiare paia di scarpe o fare dei tentativi, se si possono scegliere le ASICS Gel Resolution Clay 8?
Può capitare che un prodotto si presenti di qualità ma deluda, successivamente, le proprie aspettative. Questo, tuttavia, non è mai il caso di ASICS, una marca di prestigio per lo sport e per il tennis, una garanzia per tutti i suoi praticanti.
Le scarpe sono un elemento fondamentale, tanto per un maestro, quanto per un tennista, che si tratti di un amatore, agonista o professionista. Un qualsiasi spostamento, infatti, parte dai piedi e questi devono essere obbligatoriamente supportati da una calzatura di qualità.
ASICS risponde pienamente alle mie aspettative quando sono in campo, in quanto è una scarpa comoda, non solo durante il gioco effettivo, ma anche per tutti quei passi che un maestro deve compiere da un campo ad un altro o da una parte all’altra del circolo dove lavora.
L’andamento di una performance nasce dalla volontà, ma questa ha bisogno sempre di essere sostenuta da una scarpa adatta, funzionale e durevole nel tempo.
Sia quando alleno qualcuno, sia quando mi alleno io, ho bisogno di un abbigliamento tecnico sportivo di livello, ed ASICS non smette mai di soddisfare le mie esigenze.

Voto soggettivo da 1 a 10:
Comodità (morbidezza dell’inserto e elasticità della calzata): 10
Qualità (protezione del piede e durata nel tempo): 9
Estetica (modello e colore): 10

Voto medio da 1 a 10:
10 + 9 + 10 / 3 = 9,7

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Carlo Bilardo, Preparatore Atletico di tennisti professionisti

Carlo Bilardo a Cincinnati per il Western & Southern Open

– Com’è iniziata la tua avventura nel mondo del tennis?

– Nel 1996 presi la direzione sportiva del Forum Sport Center di Roma, un centro fitness con un’ampia scelta di sport da praticare e, tra questi, il tennis in modo particolare.
Venivo da trascorsi come sprinter azzurro e allenatore di atletica leggera, ed iniziai ad organizzare dei programmi di allenamento per gli agonisti di tennis del circolo. La vera accelerazione avvenne quando Claudio Pistolesi volle aprire la propria Accademia di tennis all’interno del Forum nei primi anni 2000. Claudio allenava un portentoso Simone Bolelli in crescita esponenziale e decise di portare nella sua Accademia anche Alberta Brianti. Lei veniva da un periodo non molto positivo, ma con grandi potenzialità di sviluppo sia fisico che tecnico. Cominciai a seguirla costantemente ed i risultati non tardarono ad arrivare. Si trasferì poi a Milano e continuai a mandarle dei piani di allenamento che lei integrava con altre sedute. E fu nel 2011 che raggiunse il suo best ranking di 55 WTA.

– Sei nato a Roma, ma marchigiano di adozione, se così si può dire. Cosa ti ha spinto, professionalmente, a trasferirti da una grande città come Roma ad una realtà più piccola come Fermo?

– Andare via da Roma e trasferirmi a Fermo, nelle Marche, non è stata tanto una scelta professionale, quanto di vita. La mia compagna è nata a Fermo e, quando ci siamo trovati a lavorare senza sosta immersi nel caos di Roma e con un bimbo da crescere, non abbiamo avuto dubbi sulla decisione da prendere. In queste piccole province marchigiane funziona tutto: non ci sono file, traffico e, soprattutto, abbiamo la possibilità di sfruttare il tempo al meglio.
Il tennis marchigiano è uno dei fiori all’occhiello della nostra Italia con la racchetta ed è guidato dal Presidente della Federtennis delle Marche, Emiliano Guzzo, da ben 13 anni. L’occasione di continuare a fare il preparatore atletico nel tennis era quindi possibile, ma cambiando stile di vita.

– Quali esperienze ti hanno formato per arrivare ad allenare delle tenniste e dei tennisti professionisti?

– L’Accademia di Claudio Pistolesi è stata la prima vera rampa di lancio dove, le mie esperienze provenienti dall’atletica leggera, si sono potute affinare nel tennis. Dopo essermi trasferito, ho iniziato a collaborare con la scuola tennis di Porto San Giorgio dove si sono formati giocatori come Gianluigi Quinzi ed Elisabetta Cocciaretto. Contemporaneamente, fui chiamato dal preparatore atletico Stefano Baraldo ad andare in Cina, insieme al coach Roberto Antonini, in una delle accademie più prestigiose di tennis a Guangzhou.
La mia crescita continua ancora oggi, lavorando con Marco Sposetti e Marco Pisciotta nella nuova Accademia di Tolentino, nata in un circolo all’avanguardia internazionale.

Carlo Bilardo con Elisabetta Cocciaretto (a destra della foto) e la squadra under 16 di Porto San Giorgio

– Con chi hai collaborato, se dovessi fare qualche nome tra i vari giocatori italiani? In base al rapporto che hai instaurato con i tennisti che hai seguito, riusciresti a descrivere un aneddoto per ognuno di loro, oppure anche un ricordo vissuto insieme e che ti farebbe piacere raccontare?

– La prima tennista italiana che ho seguito è stata Alberta Brianti e di lei posso dire che è una grande professionista sia in campo che fuori; molto tifosa del Milan, grande ammiratrice di Gattuso ed è per questo che la chiamo “Ringhietta” quando ci sentiamo.
Dopo il trasferimento a Fermo, ho incontrato una giovanissima Elisabetta Cocciaretto, ragazza sempre solare e sorridente anche nei momenti difficili, un grande talento. Durante gli spostamenti in macchina tra il circolo e la palestra, ero costretto a farle ascoltare “Who let the dogs out” dei Baha Men, un tormentone che era allegria allo stato puro. Ricordo quegli anni con grande piacere.
Un altro talento che ho incontrato più saltuariamente è stato Gianluigi Quinzi; in particolare, ci siamo allenati nel periodo della sua maturità scolastica. Un ragazzo con un fisico ed una volontà di ferro e che, sicuramente, non ha raccolto quanto meritasse. Di Gianluigi colpiva la semplicità nel rapportarsi con la gente anche dopo la vittoria di Wimbledon Juniores; qui a Porto San Giorgio gli vogliono bene tutti, anche ora che ha interrotto la sua carriera da professionista.
Ho allenato, inoltre, alcuni giocatori giovani come Elisa Tassotti, Andrea Meduri, Yaima Perez Wilson ed, ultimamente, Ilaria Sposetti e Sofia Rocchetti, entrambe nella nuova Accademia di Tolentino.

Carlo Bilardo con Saisai Zheng, finalista di doppio al Roland Garros

– Allenare regolarmente un tennista professionista significa anche accompagnarlo in giro per il mondo, in quanto la vita nel tour è fatta di numerosi spostamenti, da Nazione in Nazione e da città in città. Uscendo dal contesto nostrano, quali tennisti stranieri hai avuto l’occasione di allenare e in quali Paesi? Com’è stato per te, a livello esperienziale ed umano, lavorare lontano da casa in un ambiente differente dal quale eri inizialmente abituato?

– Fare il coach nei tour ATP e WTA implica tutta una serie di sacrifici e rinunce, nella propria vita privata, che non sono sempre facili da affrontare. Si sta lontani da casa, e quindi dai propri cari, anche per mesi interi, in quanto bisogna dedicarsi ai propri atleti e alle loro esigenze 24 ore al giorno. I continui spostamenti da un Paese all’altro e da un continente all’altro non ti fanno mai sentire a casa e con le radici in un posto. Finito un torneo, si prende il volo per il prossimo e, nel frattempo, un preparatore atletico non deve perdere il filo conduttore della sua programmazione, ma anzi deve adattarla, in sinergia con il coach di tennis e il fisioterapista, ai problemi fisici che, purtroppo, in un tennista professionista non mancano mai. Abituarsi alle varie culture che si conoscono viaggiando, la vedo come un arricchimento dello spirito e anche avere la possibilità di scambiare delle metodologie di allenamento con altri preparatori, diventa una continua fonte di ispirazione che poi mi piace riportare nella mia terra e mettere a disposizione dei miei allievi italiani.
Ho avuto la fortuna di allenare, all’estero, molti professionisti stranieri come Olga Fridman (top 5 ITF) in Ucraina e numerosi in Cina, tra i quali: Yen Hsun Lu (33 ATP), Shuai Peng (14 WTA e 1 in doppio), Saisai Zheng (34 WTA e 15 in doppio), Yi Fan Xu (8 WTA in doppio), Zhu Lin (71 WTA) e Zarina Diyas (31 WTA).
Di questi, la collaborazione con Zarina è stata fatta molto spesso in Italia e nelle Marche: lei, infatti, ha un legame speciale con la nostra Nazione e con i nostri fashion brands. Ha raggiunto il suo best ranking di 31 al mondo, allenata da Stefano Baraldo. E, ormai da qualche anno, mi dedico quasi esclusivamente alla preparazione di Saisai Zheng, arrivata al numero 34 WTA, dopo aver vinto il WTA 500 di San Jose.

– Passando a delle domande più tecniche, vorrei chiederti su cosa ti basi per organizzare dei circuiti di atletica e come li imposti in funzione del tennista che hai di fronte.

– Utilizzo molto i circuiti di atletica applicati al tennis e li organizzo a seconda delle caratteristiche fisiche dell’atleta e del periodo della stagione tennistica. Cambia tutto se ci troviamo durante la preparazione invernale oppure nel mezzo della stagione agonistica, se abbiamo una pausa lunga tra un torneo e l’altro oppure pochi giorni. Nei circuiti io tendo ad esaltare le caratteristiche di un tennista effettuando tutte quelle esercitazioni che vadano ad incrementare le proprie doti naturali, mentre mi dedico a delle sedute specifiche per tutti quegli aspetti che richiedano una maggiore attenzione e di cui il nostro tennista sia meno dotato. Esiste poi una metodologia che sperimento personalmente da anni e che applico alle allieve donne durante la preparazione invernale ed i vari allenamenti stagionali; ovvero il ciclo mestruale, messo al centro della programmazione come punto di forza anziché di svantaggio. In questo, la donna sportiva ha un grande potere, spesso sottovalutato.

Carlo Bilardo con Saisai Zheng all’Asia Cup 2017

– Quali sono i requisiti indispensabili che una allieva o un allievo devono avere affinché si instauri, con te, un rapporto finalizzato al perseguimento di obiettivi condivisi?

– Ho avuto sempre rapporti bellissimi con i miei allievi e, se dovessi dire quali sono i requisiti indispensabili perché gli obiettivi siano condivisi e raggiungibili, dico che sincerità, volontà e determinazione sono ai primi piani della mia lista.

– E, infine, mi piacerebbe domandarti quali sono le soddisfazioni più grandi che il lavoro di preparatore atletico ti ha dato in questi anni e, in prospettiva, quali progetti vorresti costruire in un’ottica futura.

– Ho avuto la soddisfazione di raggiungere molti best ranking con i miei tennisti ed ottenere anche delle belle vittorie contro vari top players; tutto questo è passato attraverso 24 Slam, una finale di doppio al Roland Garros, una vittoria nel WTA 500 di San Jose, diversi successi nei Master 1000 di doppio con Yi Fan Xu. L’ultimo risultato positivo risale al torneo di doppio di Courmayeur, vinto da Zheng e Wang in coppia.
Per quanto riguarda i miei progetti futuri, vorrei portare l’Accademia di Tolentino ad una conoscenza internazionale e dare ai miei colleghi più giovani la possibilità di affacciarsi al mondo professionistico.

Foto di: Carlo Bilardo


Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista ad Adriano Albanesi, International Tennis Coach

Adriano Albanesi a New York durante gli US Open

La lunga esperienza di Adriano Albanesi nel circuito ATP ha inizio calcando i campi in terra rossa, tra allenamenti e partite di torneo, per poi distinguersi, a livello internazionale, nelle vesti di Coach di vari tennisti professionisti.
Tra i successi da giocatore nel tour, spiccano la vittoria ai Campionati Italiani Under 18 a squadre, il raggiungimento della top 30 nella classifica dei migliori tennisti azzurri nel 2009, il best ranking ATP di 1290 in singolare e 800 in doppio, oltre a numerose partecipazioni nelle competizioni a squadre Interclub: in Francia e in Slovacchia; in Germania, nella terza divisione, e in Italia, nella prima divisione.
In qualità di Coach, invece, Albanesi vanta diversi titoli ed esperienze con giocatrici e giocatori di livello ITF, ATP e WTA, tra i quali Lesia Tsurenko, Elena Rybakina, Riccardo Ghedin e Cristian Rodriguez, solo per citarne alcuni.

– Ex giocatore ATP, Maestro Nazionale FIT e Head Coach di tennisti del circuito maggiore, nonché attuale Direttore Tecnico della scuola tennis de L’Antico Tiro a Volo, uno dei circoli storici di Roma. La tua prospettiva sul tennis può essere quindi osservata da molteplici angolature. Dopo tutte le esperienze maturate in campo da protagonista e fuori, da supervisore, quanta mole di lavoro si cela dietro ad una semplice racchetta?

– Dietro ad una semplice racchetta, quando sei un giocatore, ci sono ore e ore di allenamento. Da tennista pensi in prima persona, sei egoista, ma si tratta di un sano egoismo perché vuoi raggiungere determinati obiettivi. È un percorso, comunque, fatto di tanti sacrifici.
Da allenatore, personalmente, ho trascorso un periodo di studio, sia di partite viste sia di esperienze vissute a contatto con altri coach che mi hanno aiutato a migliorare e a capire più nel dettaglio il coaching, in quanto, con un trascorso da giocatore, approcciavo il lavoro di allenatore in modo schematico. Invece, quando sei un coach, devi avere la forbice un po’ più ampia perché, oltre ad essere un allenatore, sei anche un educatore. Quindi non tutto può essere sempre bianco o nero, ma bisogna trovare anche una via di mezzo.

Quando comunichi con un giocatore devi metterti sullo stesso piano, perché altrimenti, qualora un allenatore non riesca a carpire le sensazioni del giocatore, o per lo meno quello che lui ti vuole trasmettere, diventa difficile anche una eventuale collaborazione. E, per evitare questo, devi viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda. È un qualcosa che ho capito tanto quando ho fatto esperienze con altri coach a livello internazionale e, per quello che riguarda la mia metodologia, sono migliorato anche quando ho avuto la possibilità di lavorare con dei bravissimi preparatori atletici.
Quindi, per concludere la risposta alla tua domanda, ci deve essere la voglia, la passione, bisogna essere generosi con se stessi perché la strada è lunga e non si finisce mai di imparare. E ogni sfida ti può portare a nuovi percorsi via via migliori, purché dietro vi sia una grande preparazione.

Rovescio in salto ad una mano dell’Adriano Albanesi tennista, impegnato in un incontro di Serie A al Canottieri Nino Bixio di Piacenza

– Quali sono gli elementi imprescindibili, sia concreti che astratti, sui quali si basa un nuovo percorso di coaching con una ragazza emergente o con un giovane promettente?

– Sia che si tratti di una ragazza emergente o di un giovane promettente, gli elementi che reputo fondamentali sono il duro lavoro, ma soprattutto l’adattabilità, in quanto il più delle volte, in campo, si creano delle situazioni scomode e noi allenatori le riproponiamo. Qualora un giocatore non sia disposto all’adattamento, diventa tutto più difficile, specialmente per uno come me che impronta il lavoro in un certo modo. Spesso entro ed esco dalla comfort zone per testare chi sto allenando e, in questa situazione, è facile incontrare giocatori che facciano più fatica di altri; ma, di base, è l’adattabilità: si gioca tutto l’anno su superfici differenti, con numerosi ostacoli, quindi è imprescindibile per me trovare una scappatoia da questi punti focali. È normale che, per un giovane promettente, si cerchi di costruire, di gettare delle basi solide sulla consapevolezza dei propri mezzi. Mentre, per quanto riguarda un emergente o un giocatore già formato, si intraprende un percorso di consolidamento. Quando arriva da me un giocatore già avviato, si cerca di capire come mai non vada avanti e quali siano le sue difficoltà.

– In che cosa consiste e come è strutturata una “pre season” nella collaborazione tra un tennista professionista e il suo coach?

– Questa domanda mi fa impazzire, è una domanda bellissima perché la pre season per me è, emotivamente, un momento molto importante dove si studia e che ricordo benissimo con le giocatrici che ho allenato. Nei periodi di pre season lavoravo anche di notte, perché riassumevo tutto il filmato della giornata e cercavo di capire dove e come si potesse fare meglio. È uno dei momenti più belli dell’anno per me. Magari per i giocatori un po’ meno, perché loro hanno voglia e bisogno di fare tornei come anche noi allenatori; però, a noi coach, quel periodo della stagione ci permette di studiare e di non avere fretta nel lavorare sui loro punti deboli e anche sui loro punti di forza. La pre season, quindi, è una fase di studio vero e proprio.

Cristian Rodriguez, uno dei tennisti ATP allenati da Albanesi

Quali aspetti ritieni fondamentali in un piano di allenamento specifico per un top player?

– Gli aspetti che ritengo fondamentali in un piano di allenamento sono il cercare di essere sulla stessa frequenza nella comunicazione coach-tennista, cercare di capire se una partita ti abbia dato delle informazioni affinché poi, in allenamento, tu possa limare, diminuire o aumentare determinate situazioni. Naturalmente, gli elementi fondamentali possono variare da giocatore a giocatore: c’è chi ha bisogno di lavorare maggiormente su un aspetto, chi su un altro. E se non ti trovi sullo stesso piano di chi alleni, non è facile fare coaching.
Una linea guida imprescindibile, per me, è lo sviluppo del potenziale dell’atleta: scoprire quali sono i suoi pregi e suoi limiti, lavorando di pari passo su entrambi
e stilando un piano basato su obiettivi concreti, perseguibili. Solamente step by step, attraverso un percorso di crescita graduale, si può arrivare a ottenere anche risultati inattesi. Nel caso in cui un atleta salti determinate tappe raggiungendo i risultati prefissati in tempi più brevi del previsto, è possibile accelerare il processo di miglioramento, o attuare un altro percorso.

– Hai portato Lesia Tsurenko alla posizione numero 27 del ranking mondiale dopo più di un anno di lavoro insieme. Quarti di finale agli US Open, piazzamenti di rilievo nei WTA Premier, tra cui la finale a Brisbane e i quarti di finale a Cincinnati e a Birmingham. Tsurenko che peraltro sconfisse, in quelle occasioni, delle numero 1 al mondo come Caroline Wozniacki, Naomi Osaka e Garbiñe Muguruza.
Quali sono le partite, giocate dalla Tsurenko, che ricordi con più piacere?


– Sembrerà strano, ma le partite che ricordo con più piacere non sono i quarti di finale agli US Open, le vittorie sulla Osaka e la Kontaveit a Brisbane, piuttosto che sulla Wozniacki e la Muguruza nella tournée americana. Queste sono le ciliegine sulla torta. Io ricordo di più le partite sofferte, non che i match contro le top players non siano stati lottati, però non posso dimenticarmi delle partite quasi perse, delle partite ribaltate di punteggio contro giocatrici di ranking anche più basso. E quelli sono gli incontri che per me contano. È il mio modo di vedere le cose, ovvero: l’exploit, la vittoria contro una top ten o una top five sono delle emozioni incredibili perché vanno a coronare il lavoro che c’è dietro. Ma il lavoro che c’è dietro è tanto e le partite che ci sono dietro, prima di compiere un exploit, sono tante; ma, soprattutto, sono numerose le situazioni che uno deve ribaltare per consolidare la propria mentalità, il proprio atteggiamento. Sono proprio da quei momenti di difficoltà che si vede quello che uno sta cercando di costruire. Io ti ho elencato tanti exploit, ma ti assicuro che ci sono tantissime partite, come un primo turno al Roland Garros, dove erano tre settimane che lavoravamo insieme ed è stato, non un dramma, ma la prima partita che la Tsurenko aveva vinto dopo sei mesi. Impossibile dimenticarla perché è stata come una liberazione. Da quella partita si è aperta un’autostrada: il turno dopo batti la Vandeweghe, che era numero 18 del mondo e poi batti la Rybáriková che aveva fatto semifinale a Wimbledon l’anno prima.
Quindi ne potrei elencare diverse, ma ci sono delle piccole partite chiave con giocatrici meno blasonate che, però, ti fanno trovare il ritmo partita, il ritmo torneo e ti fanno uscire fuori da situazioni difficili.

Adriano Albanesi a colloquio con Lesia Tsurenko, top 30 WTA

Se ce ne sono stati, come hai gestito tutti quei momenti di sfiducia che ha vissuto la tennista ucraina?

I momenti di sfiducia e i periodi bui si possono presentare nell’arco di una stagione. La bravura dell’allenatore e del team che ruotano attorno a un giocatore è quella di evitare il più possibile un rendimento di alti e bassi. Penso che, laddove si presentino dei momenti difficili, andrebbero accettati, analizzati ma, soprattutto, per uscirne fuori, bisognerebbe ricominciare ad apprezzare le piccole cose perché, molte volte, siamo accecati dal “non risultato”, dalla “non performance“. E, invece, le cose invisibili intorno a noi possono offrirci un punto di vista differente. Il famoso bicchiere mezzo pieno: si riparte da quella parte piena. È poca? Non è proprio mezza? Va bene, si riparte da lì.

E, per concludere, uno sguardo al futuro. Quali sono i tuoi obiettivi da qui ai prossimi anni?

– Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo alla famiglia e al lavoro di cui mi occupo attualmente, che è quello di Direttore Tecnico della scuola tennis de L’Antico Tiro a Volo, in quanto il circuito mi ha portato ad essere lontano da casa. E sono contento perché le mie figlie crescono con papà vicino.
Sicuramente il circuito mi manca, ma in questo periodo della mia vita era giusto dedicare tempo alla famiglia. Quando si presenterà l’occasione e, qualora si ripresenti, uno dei miei obiettivi sarà quello di rientrare nel circuito. Non posso cancellare gli anni passati, anche perché mi hanno formato e hanno fatto in modo che diventassi un coach con più esperienza. Pertanto, se in un futuro si dovesse ripresentare un progetto nuovo e interessante, ci penserò.

Foto di: Adriano Albanesi

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Giorgio Galimberti, figura a 360 gradi nel mondo del tennis

Ex tennista professionista (best ranking 115 del mondo), commentatore televisivo su Sky Sport e SuperTennis, Titolare della Galimberti Tennis Academy, Testimonial di ASICS e sicuramente dimentico qualcosa. Sei una risorsa a tutto tondo nel mondo del tennis… ma partiamo dalle fondamenta.

– Com’è nata la tua passione per il tennis? A che età hai impugnato la prima racchetta?

– La passione per il tennis nasce da una tradizione di famiglia. Non a caso a Lissone, mio Paese di origine in provincia di Monza e Brianza, mio padre costruì un campo da tennis più di 50 anni fa, proprio per la passione legata a questo sport. Vien da sé che la racchetta la presi in mano da appena nato. Questo non vuol dire niente, perché ho due fratelli che, nonostante anche loro avessero il campo in casa, non sono diventati giocatori professionisti; però il contesto nel quale mi sono trovato mi ha sicuramente aiutato e indotto a giocare a tennis con regolarità.


– Il tennis è uno sport con classifiche specifiche in base al livello di gioco dei tennisti e prevede un calendario annuale di eventi come i tornei e i campionati a squadre. Man mano che si cresce nella seconda categoria e ci si avvicina alla prima, si prendono dei punti per poter accedere ai tornei Futures e Challenger. A tal proposito, vorrei chiederti quali step hai seguito per diventare un tennista professionista e che cosa comporta il passaggio dal circuito Challenger al circuito ATP.

Ho seguito tutti i passaggi sin dall’attività giovanile: under 12 e under 14. Negli under 14 sono entrato nei primi 8, ho fatto i quarti di finale ai Campionati Italiani ma non ero parte della squadra di Coppa del Sol che erano i Mondiali under 14.
Ho iniziato a farmi vedere negli under 16 quando, in una trasferta americana in Florida, vinsi due tornei: Permbroke Pines e Porto Rico. Da lì tornai, sicuramente consapevole di un buon livello, e la Federazione mi prese nella Nazionale; quindi partecipai alla Winter Cup dove vincemmo in Germania, a Saarbrücken, e da quel momento iniziai a giocare molto bene a tennis. Negli under 16 io e Daniele Ceraudo eravamo i primi due d’Italia.
Poi ci fu l’anno dei 17, quando passai under 18. In quel periodo vivevo già a Cesenatico con la Nazionale dove c’era il Centro Tecnico Nazionale. Divenni numero uno d’Italia con un anno di anticipo, che fu il preludio poi all’annata del ’94, quando finii numero due del mondo giovanile facendo finale al Roland Garros, semifinale a Wimbledon e finale al Bonfiglio di Milano.
Il passaggio a Pro non è così semplice, in quanto presenta spesso delle insidie: l’esperienza e il doversi rialzare dalle sconfitte, quindi una grande resilienza, cosa che io penso di aver avuto molto, in quanto ho sofferto per due anni prima di iniziare ad avere dei buoni risultati anche a livello internazionale; nel ’98 feci le qualificazioni al Foro Italico, superandole e trovando poi al primo turno l’allora numero 7 del ranking, Alberto Berasategui, dal quale persi lottando. Superai anche le qualificazioni agli US Open, vinsi il primo turno e uscii al secondo per mano di Marcelo Rios in quattro set, il quale, a suo tempo, era numero 2 del mondo.


– Hai vestito la maglia di Coppa Davis dell’Italia per diversi anni. Quali sono i ricordi più belli legati all’aver giocato per il tuo Paese?

– La Coppa Davis per me rimane nel cuore: è un qualcosa che ti segna. Nel mio caso ha dei ricordi belli e meno belli. Tra i ricordi belli, la vittoria su Nadal e Lopez in doppio, molto sentita a livello emozionale da parte mia e da parte del pubblico. E poi ci sono anche le amare delusioni, come la sconfitta in Zimbabwe. Rimane il fatto che io mi sento molto patriottico e la Coppa Davis mi ha dato tante emozioni.
Fino a quest’anno ho fatto l’Assistant Coach di Corrado Barazzutti. Speravo di diventare Capitano di Coppa Davis, però è arrivato prima di me Filippo Volandri, un altro grande campione che potrà fare molto bene in panchina e al quale auguro il meglio.
Attenderò comunque una proposta da parte della Federazione per rimanere nella cerchia dei tecnici federali, o per dare il mio supporto alla stessa Nazionale di Coppa Davis con Volandri. In ogni caso, resto un uomo di Federazione, che ha riconoscenza nei confronti della FIT per quanto di buono ha fatto in questi anni e per quanto di buono continuerà a fare.

La squadra di Coppa Davis dell’Italia con Fognini, Bolelli, Sonego, Travaglia, Mager e lo staff tecnico composto da Corrado Barazzutti, Giorgio Galimberti e gli altri componenti del team


– E i successi più significativi della tua carriera?


I successi più significativi della mia carriera sono sicuramente la vittoria a Roma agli Internazionali BNL d’Italia contro Alex Corretja che, a suo tempo, era numero 9 del mondo e fu una bella impresa sul Pietrangeli, sentita tantissimo da me e dal pubblico. Ricordo che iniziai la partita con l’impianto che non aveva nemmeno la metà degli spettatori. Ma, dopo i primi 3 games, era gremito di persone e, in più, stavo anche vincendo. Vinsi in tre set una partita lottatissima e quello fu un grande risultato.
Un’altra partita molto bella fu a Amersfoort, ad Amsterdam, contro Martin Verkerk che nel 2003 fece finale al Roland Garros. Quando lo incontrai in torneo, lui era il tennista numero uno in Olanda, giocava in casa e aveva naturalmente tutto il pubblico dalla sua parte. Non avevo particolari aspettative in quella partita: giocai molto libero e vinsi contro il numero 14 del mondo in quella che, per me, fu una grandissima impresa ed emozione.


– Dopo il ritiro dal professionismo, ti sei cimentato nelle telecronache dei match su Sky Sport, occupandoti del commento tecnico durante gli incontri. Com’è avvenuto il passaggio dall’essere protagonista in campo al parlare di tennis in diretta? È stato immediato e naturale rivolgerti ad un pubblico di ascoltatori le prime volte che ti sei trovato in cabina di commento?

Nel 2007, Stefano Meloccaro di Sky mi propose di fare un test nella vecchia sede di Sky Sport. Andai durante il periodo dei tornei estivi di Cincinnati e Montreal, in notturna. Devo dire che, già dalla prima volta, mi divertii molto a fare le telecronache e mi sentii a mio agio, anche grazie alla capacità di Stefano Meloccaro che, a suo tempo, faceva ancora telecronaca. Adesso, invece, come sapete, lavora nello studio televisivo e si occupa di tutt’altro. Anche lui ha avuto una grande crescita professionale.
Cominciai con Sky dal 2007, fino al 2015. Poi, nel 2015, mi allontanai dalla televisione perché dovetti andare a Wimbledon, in quanto ero allenatore nello staff di Simone Bolelli e, quindi, sia lì che agli US Open ero impegnato con il giocatore.

Da quel momento presi una decisione, ovvero di rimanere soltanto con SuperTennis, canale 64 del digitale terrestre, per il quale cominciai a lavorare nel 2009, data del suo esordio. Ad oggi, sono ancora legato a SuperTennis tramite una collaborazione che va avanti da tanti anni e della quale sono molto fiero, perché è una emittente che mi ha dato tanto spazio, mi ha affidato la conduzione di Circolando e dello studio di continuità degli Internazionali BNL d’Italia, probabilmente il più grande palcoscenico tennistico del nostro Paese. La televisione mi piace molto e lì mi sento a mio agio.

Giorgio Galimberti, che è stato coach di Simone Bolelli nel 2015 a Wimbledon e agli US Open, segue il giocatore durante un allenamento


– In seguito all’esperienza a Sky, sei entrato a far parte del Cast di SuperTennis come commentatore tecnico ed opinionista. Tra le altre attività, hai condotto il programma “Circolando”, un itinerario che ti ha visto impegnato nei circoli sportivi di diverse regioni italiane. Cosa si scopre da una esperienza come la tua, fatta di viaggi e incontri con vari personaggi nel mondo del tennis?

L’esperienza di Circolando è stata basilare sotto tanti punti di vista, in particolare nell’offrirmi la possibilità di valutare i pro e i contro di qualsiasi aspetto a livello “Club”. Quanto appena detto, si spiega attraverso la mia attività: sto costruendo un centro a Cattolica abbastanza articolato che include campi da tennis, padel, palestra e un centro fisioterapico. E questo mio grandissimo investimento e impegno che ho preso, devo dire che trova anche molto conforto e supporto dalle esperienze fatte visitando tutti gli altri circoli, avendoli analizzati, avendo ascoltato i presidenti e gli addetti ai lavori. Di conseguenza, anche io, nella mia realtà imprenditoriale, ho fatto delle scelte che sono state influenzate da tutte queste conoscenze che ho avuto negli anni grazie a Circolando: avrò ormai visitato almeno 60-70 circoli tra i più belli d’Italia tra cui il Parioli, a Roma, il Bonacossa di Milano e La Stampa, a Torino. E da questi circoli ho cercato di trarre gli aspetti positivi, provando a riproporli nel mio Club. L’ho fatto sia con Circolando, sia girando per l’Europa e per il mondo, visitando i circoli negli eventi sportivi ai quali partecipo con i miei giocatori.


– Sei il Titolare della Galimberti Tennis Academy. Quali sono gli elementi fondamentali per far funzionare al meglio una Accademia di tennis?

– La mia struttura, che inizialmente si trovava a San Marino, si è spostata in Italia a Cattolica, città in provincia di Rimini. E sicuramente è stata una grande esperienza, un grande orgoglio perché da zero, in un centro che faceva poca attività agonistica, sono riuscito – grazie a una buona struttura, alle mie capacità e alle capacità dei miei collaboratori che sono aumentati anno dopo anno – a creare un grande appeal a livello nazionale ed internazionale. Abbiamo avuto giocatori dall’Ungheria, Ucraina, Francia e Australia, da molte parti del mondo; e questa è sicuramente una grande soddisfazione: l’Accademia è sempre in crescita ed è legata alla mia figura, alla mia persona. Non a caso, ora che ci siamo spostati a Cattolica, l’Accademia è esplosa ancor di più per la facilità del raggiungimento della location, per la bellezza di Cattolica, città turistica sul mare. E anche per la vicinanza e la fruibilità del centro da parte mia e dei miei collaboratori, elementi che ci consentono di avere una buona qualità della vita.
Credo che, di base, una Accademia di tennis sia fatta dalle persone, aldilà della struttura che può essere più o meno bella ma, in assenza di queste, anche il centro più bello al mondo si ridurrebbe al nulla, in quanto il contenitore viene dopo le persone. Credo che in questo momento io abbia preparatori atletici e allenatori dei quali mi posso fidare, preparati, appassionati, dei lavoratori instancabili che amano quello che fanno. Questo è il grandissimo segreto che, purtroppo, viene spesso lasciato da parte, vendendo fumo, vendendo soltanto quella che può essere considerata “la facciata” o, magari, il fatto che ci sia un grande giocatore che si allena in quel centro. Penso semplicemente che non si diventi forti guardando un giocatore che si allena, ma allenandosi.

Giorgio Galimberti con i suoi collaboratori e allievi alla Galimberti Tennis Academy di Cattolica


Parlando di abbigliamento tecnico sportivo, ASICS è un marchio di eccellenza per tanti sport, compreso il tennis. So che hai un rapporto speciale con questo brand. In cosa si distingue una scarpa ASICS da altre marche?

È dal 1994 che uso scarpe ASICS e penso, in tutti gli anni da professionista e post carriera, di non aver mai messo altro ai piedi se non ASICS. Io sono un fanatico di questa marca e non smetterò mai di dire che è la scelta migliore che un tennista possa fare, così come un runner. Lo stesso discorso vale per l’abbigliamento, per il quale ora ASICS ha scelto di produrre solo la prima linea, quindi materiale di qualità con prodotti tecnici di altissimo livello.


– E, per concludere, una domanda di attualità. Da un po’ di anni a questa parte il tennis italiano, soprattutto nel maschile, è riaffiorato con tanti nuovi talenti all’orizzonte. Abbiamo non pochi giocatori nei primi 100 del mondo: Berrettini, Fognini, Sinner, Sonego, Travaglia, Caruso, Mager, Cecchinato, Seppi. A cosa è dovuta questa crescita prorompente del movimento?

Il discorso è ciclico. L’Italia è una Nazione che tennisticamente è sempre stata all’avanguardia; ci sono stati anche dei periodi bui, come nei primi anni 2000, quando io, oltretutto, ne ho giovato per poter far parte della squadra di Coppa Davis. In una Nazione come l’Italia di oggi, il Galimberti dell’epoca non avrebbe posto in Coppa Davis, ma in quegli anni invece sì.
Negli ultimi tempi abbiamo un movimento in forte crescita. E credo che questo dipenda da un insieme di cose: un ottimo lavoro federale del settore tecnico; un ottimo lavoro delle accademie private che hanno tirato fuori tanti giocatori; la presenza di maestri competenti a livello nazionale. Io credo che l’Italia di oggi possa essere vista un po’ come la Spagna di qualche anno fa; un ambiente preparato di professionisti con competenze di altissimo livello. I maestri italiani, vent’anni fa, erano bistrattati. Tutti parlavano della Spagna: “Scappiamo in Spagna se vogliamo diventare forti”. Questo ora non avviene più perché abbiamo coach di livello nazionale e internazionale che seguono da vicino i giocatori. È ovvio che, con un bacino importante come le scuole tennis italiane, prima o poi qualcosa venga fuori.
In questo momento siamo forse la Nazione con più giocatori nei primi 100 del mondo o tra le migliori al mondo. Manca, forse, il top player nei primi 5. Nel momento in cui arriverà anche quello, credo che l’Italia non sarà seconda a nessuno o, se non altro, sarà tra le Nazioni leader di questo sport nei prossimi anni, tenendo conto anche dell’età giovane dei nostri giocatori.

Foto di: Giorgio Galimberti

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Mauro Caruso, Maestro Nazionale e Fiduciario della FIT

– Giocatore, Maestro Nazionale e Fiduciario della FIT. Partiamo dalle origini: come ti sei avvicinato al tennis per la prima volta?

– Ormai parliamo di oltre 40 anni fa. All’età di 10 anni ricordo di aver sostituito un mio amico che giocava con il papà. In quella occasione impugnai la racchetta per la prima volta e riuscii a prendere sempre la palla. Da lì è nata una passione che coltivo ancora oggi e che cresce giorno dopo giorno.


– Giocando a tennis per tanti anni e classificandoti, hai deciso poi di diventare Istruttore. Quale percorso hai intrapreso per arrivare ad essere Maestro Nazionale?

– Avevo circa 16 anni quando Enrico Biancotto, uno dei miei Maestri che ricordo con tanto affetto e che purtroppo non c’è più, mi chiese di fare delle sostituzioni con i bimbi più piccoli. Cominciai così: mi sentivo a mio agio a fare il Maestro e, da lì a poco tempo, capii che sarebbe diventato il mio lavoro. Ormai è dal 1989 che svolgo quest’attività a tempo pieno e ogni giorno non è mai uguale all’altro.
Ho seguito tutto il percorso da Istruttore di primo e secondo grado, per poi diventare, nel 2001, Maestro Nazionale per la Federazione Italiana Tennis. Sono inoltre Professional PTR (acronimo di Professional Tennis Registry) da oltre 20 anni, una Associazione di insegnanti di tennis internazionale molto interessante e produttiva per noi Maestri. Dal 2015, sono Fiduciario per la Federazione Italiana Tennis.

La mia foto con il Maestro e Fiduciario della FIT, Mauro Caruso, al Forum Sport Center di Roma


– Che tipo di programmazione è necessaria per organizzare nel modo migliore le attività di una scuola tennis?

– La programmazione è molto importante per far crescere una scuola tennis; è un aspetto che meriterebbe un lungo discorso. Il nostro programma viene diviso in: annuale, con obiettivi generali che vengono condivisi anche con i genitori; mensile e settimanale, con obiettivi sempre più specifici. Gli allievi vengono suddivisi per fascia di età e capacità, in categorie denominate secondo il Sistema Italia: delfino, cerbiatto, coccodrillo e canguro.
Inoltre, la programmazione giornaliera di una scuola tennis si basa sul Game Based Approach, un metodo che prevede una situazione iniziale aperta, più tattica, seguita da una situazione chiusa più tecnica, dove si cerca di individualizzare l’allenamento per ogni allievo. L’ultima fase del Game Based Approach consiste in una nuova situazione aperta, dove vengono analizzate e migliorate eventuali problematiche sorte nell’allenamento. Infine, parte integrante della programmazione sono le amichevoli tra i circoli e tutte quelle attività promozionali che aiutano gli allievi a sviluppare un senso di appartenenza alla scuola tennis.

– Ci sono Maestri che investono sul proprio tennis senza però affacciarsi in altre realtà e venire a contatto con persone nuove. Rimangono nel proprio “orto”, consapevoli del fatto che conoscere altri Istruttori non sia indispensabile per la propria crescita professionale. Invece tu sei l’esempio di come un insegnante di tennis possa arricchirsi ed arricchire gli altri attraverso le pubbliche relazioni. Quanto ritieni sia importante rimanere in contatto con i Maestri e ampliare la rete di conoscenze?

– Direi che è fondamentale arricchirsi e aggiornarsi sempre, anche attraverso il continuo confronto con gli altri Maestri, qualora sia possibile. Ma anche gli stessi allievi possono insegnarci molto.
Il lavoro di squadra è importante: integra le capacità di ognuno, in modo da raggiungere obiettivi condivisi e permettere la crescita tennistica degli allievi. La sinergia tra i Maestri aiuta inoltre a risolvere problematiche e superare ostacoli che possono emergere nella quotidianità di una scuola tennis.


– Arriviamo al presente. Oltre a fare lezioni, gestire i corsi e la scuola tennis del Forum Sport Center, sei Fiduciario presso l’Istituto di Formazione Roberto Lombardi. In cosa consiste questa figura professionale?

– In Italia siamo 155 Fiduciari; ci chiamano “talent scout” perché cerchiamo i nuovi talenti tra gli under 8-9-10 che poi ogni anno partecipano alla Coppa delle Province, di cui Roma è campione nazionale in carica. Dobbiamo organizzare i raduni degli stessi under, chiamati Junior Club Italia, per i campioni di domani. Ci occupiamo del riconoscimento di tutte le scuole tennis e di promuovere i progetti federali, quali il FIT Junior Program e i Campionati Promo, sistemi volti a stimolare l’attività degli allievi non agonisti all’interno delle scuole tennis. Inoltre la FIT ha introdotto, in collaborazione con la FITeT e la FIPT, il progetto “Racchette in Classe” attraverso il quale promuoviamo la pratica del tennis nelle scuole elementari. Noi Fiduciari, in sostanza, siamo l’anello di congiunzione tra i Maestri, le Scuole Tennis e la Federazione Italiana Tennis.

– E, infine, i progetti da qui ai prossimi anni nel mondo del tennis. Sei alla ricerca di nuovi obiettivi?

– In questo momento così particolare l’attenzione è rivolta principalmente al benessere psicofisico. Dal punto di vista professionale mi auguro di prolungare la mia esperienza al Forum Sport Center, in modo da contribuire, insieme alla mia équipe, alla crescita tennistica dei sempre più numerosi allievi. Il mondo del tennis cresce ogni anno sempre di più e, per un Maestro come me, è importante far divertire e far avvicinare sempre più persone a questo bellissimo sport.

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Stefano Palmieri, Maestro del Circolo delle Muse

La mia foto con il Maestro Stefano Palmieri al Circolo delle Muse di Roma


– La famiglia Palmieri ha dato tanto al tennis italiano. Una tradizione che ha inizio dagli anni ’30 con i trionfi di Giovanni Palmieri, uno dei primi tennisti italiani ad
aver vinto gli Internazionali d’Italia, il torneo di Monte Carlo e i Campionati Italiani Assoluti.  
Nel tunnel che porta allo stadio Pietrangeli, compaiono il suo nome e la sua foto nell’albo dei vincitori del torneo capitolino. Che ricordi hai di tuo nonno uomo e di tuo nonno tennista?

– Giovannino è entrato con prepotenza nella mia modesta carriera tennistica. Lo vedevo come un mito e per me era un vanto averlo come nonno. Era così elegante da sembrare un nobile, pur essendo di umili origini. Elegante dentro al campo, con il suo gioco, e fuori, con la sua personalità. Un campione d’altri tempi, fonte di ispirazione per figli, nipoti e generazioni a venire.
Se la mia vita fin da piccolo è stata costellata da racchette e palle, lo devo anche alla grande dedizione che mio nonno aveva per il tennis e che mi ha trasmesso con le sue partite indimenticabili.


– Dopo le imprese di Giovannino, la storia dei Palmieri è andata avanti con il contributo importante che tuo zio, Sergio Palmieri, ha dato e continua a dare oggi al tennis italiano. Ex tennista, da anni Direttore Tecnico degli Internazionali BNL d’Italia, ricopre un ruolo ai vertici della FIT e nell’organizzazione degli appuntamenti principali: torneo di Roma, Coppa Davis e Fed Cup.
La tua passione per il tennis è nata anche grazie a tuo zio? Quali valori ti ha insegnato? 

– La passione per il tennis è sbocciata grazie alla mia famiglia. Ogni parente ha giocato un ruolo fondamentale in questo sport: il nonno è stato il primo Palmieri di successo con la racchetta. Dopo Giovannino, è arrivato mio padre che, pur non essendo stato un tennista, era comunque un grande appassionato di tennis, volenteroso di continuare la nostra tradizione di famiglia: ricordo ancora quando mi accompagnava tutti i pomeriggi al circolo, dopo la scuola. Ma, tra tutti, chi ha contribuito maggiormente alla mia crescita tecnica è stato lo zio Lillo, un Maestro eccezionale, ormai da anni impegnato nel coordinamento del settore agonistico al Tennis Club Cagliari.
Mio zio Sergio, invece, ancor prima di entrare a far parte della Federazione, ha avuto una carriera tennistica di tutto rispetto. Ha giocato, in singolare e in doppio, con alcune leggende del passato tra cui Stan Smith, Roy Emerson e Rod Laver. Ha raggiunto piazzamenti come il secondo turno al Roland Garros e il terzo turno a Wimbledon nel doppio misto. Tra le sue vittorie più importanti, c’è quella contro Jaroslav Drobný, vincitore di tre tornei dello Slam.
Per arrivare alla tua domanda, lo zio Sergio è sempre stato un esempio per me, soprattutto per la grande professionalità che ha sempre avuto e che tutt’ora ha nel suo lavoro. 

– Giovanni era del 1906, Sergio è del 1945 mentre Stefano nasce nel 1958. Arriviamo quindi al protagonista dell’intervista, il terzo in ordine cronologico.
Prima di diventare Maestro, giocavi in serie C1. Hai girato diversi circoli di Roma: il Parioli, il Pisana, il Tennis Formello e, attualmente, le Muse. Quali sono state le esperienze che ti hanno formato, prima come giocatore e poi come Maestro?

– Ho giocato per molto tempo in C1 al Parioli e al Pisana, prima di diventare Maestro alle Muse. Come giocatore, le esperienze sono state tante: senza dubbio tutti i tornei fatti, i campionati a squadre e i vari circoli di Roma che ho girato e ai quali mi sono affezionato. Come Maestro, l’aver avuto tante persone diverse alle quali insegnare il tennis: dai bambini, passando per i ragazzi, fino agli adulti. Con ognuno di loro ho sempre cercato di esprimere le mie conoscenze stringendo, allo stesso tempo, un rapporto amichevole basato sul piacere di giocare a tennis.

– Dal 1992 lavori al Circolo delle Muse. Tra le ragazze e i ragazzi che hai seguito negli anni, ce n’è qualcuno che ha intrapreso la strada del professionismo? 

In tanti anni di insegnamento non ho avuto giocatori professionisti ma molti che ho fatto innamorare al tennis. Penso che la massima aspirazione per un Maestro sia quella di seguire una bambina o un ragazzo promettenti e condurli verso la strada del professionismo. Ma, spesso, è molto bello e gratificante anche solamente far divertire i propri allievi e farli appassionare al tennis. Con l’auspicio che non smettano mai di giocare.

– E, per concludere, i ricordi più belli che hai vissuto con tuo zio.

– Ce ne sono diversi. Se dovessi sceglierne uno, direi il Masters negli Stati Uniti nel 1985. Ricordo che andai insieme a mio zio e alcuni suoi amici tennisti. Vidi tanto bel tennis in un’epoca di grandi campioni: Connors, McEnroe, Edberg, Becker, Lendl, Wilander, Leconte e molti altri. Ebbi l’opportunità di conoscere più da vicino uno di questi, ovvero il mitico John McEnroe, in quanto Sergio era stato manager per un periodo della carriera dell’americano. Contrariamente a come veniva comunemente descritto per le sue arrabbiature e i suoi sfoghi, McEnroe era una persona molto simpatica e socievole al di fuori del campo. Indicativo del fatto che il tennis non sempre riveli interamente il carattere di una persona.
L’esperienza del Masters mi ha fatto scoprire un lato del tennis differente, ancora più avvincente, più entusiasmante. E da lì ho capito il perché mio zio sia partito da zero e arrivato dove è oggi. Perché ha coltivato una grandissima passione per questo sport e l’ha custodita nel tempo. Ancora oggi, superati i 70 anni di età, è una persona a cui piace viaggiare, conoscere nuovi stadi, guardare i tornei dal vivo ed entrare in contatto con i tennisti. 

Federico Bazan © produzione riservata

 

ASICS Solution Speed FF 2: la scarpa testata da David Goffin e Alex De Minaur

Descrizione:
La Solution Speed FF 2 è la novità progettata da ASICS per il 2021, una vera svolta che i produttori del brand hanno ideato con l’obiettivo di favorire il tennista su tutte le superfici di gioco. La nota azienda nipponica ha lanciato questa nuova linea di scarpe da tennis, caratterizzata da una tecnologia estremamente innovativa; testata a lungo presso l’ASICS Institute of Sport Science di Kobe, in Giappone, garantisce ai giocatori una spinta più veloce da fondo campo, privilegiando, al tempo stesso, la leggerezza e la flessibilità negli spostamenti.
Alcune novità, che distinguono la Solution Speed FF 2 da altre calzature, riguardano un miglioramento dell’intersuola, con il FLYTEFOAM e FLYTEFOAM PROPEL inseriti insieme per offrire un’ammortizzazione più delicata e leggera. La nuova tecnologia ASICS GRIP riduce gli scivolamenti in partenza, dando ai giocatori la sicurezza in qualsiasi situazione di gioco: a prescindere dal tipo di superficie, i tennisti non perderanno mai l’aderenza con il terreno.
Inoltre, ASICS ha esteso la sua tecnologia TWISTRUSS nella parte anteriore del piede, in modo da permettere ai giocatori di avere una maggiore spinta negli scatti brevi. Infatti, durante i test effettuati presso l’Institute of Sport Science di Kobe, le nuove Solution Speed FF si sono dimostrate più performanti di altre scarpe, sia sulle ripartenze da posizioni di attesa che sui repentini campi di direzione.
“Una delle cose più difficili per un tennista è quella di colpire frontalmente la palla riuscendo a coprire, al tempo stesso, più spazio possibile del campo,” ha dichiarato David Goffin, uno dei testimonial di ASICS, top player del ranking ATP. “Con le nuove Solution Speed FF 2, mi sento più leggero e veloce, cosa che non credevo sarebbe stata possibile dopo aver giocato con il modello precedente per così tanto tempo. Riesco anche a sentire un grip migliore sul terreno di gioco: non importa quanto io cambi direzione, so che le mie scarpe mi supporteranno”.

David Goffin: uno dei tennisti di punta del ranking ATP, è anche testimonial di ASICS, tra i primi ad aver testato le Solution Speed FF 2


Tra le altre dichiarazioni sulla qualità del prodotto, oltre alle parole dei tennisti professionisti che lo hanno già provato (in particolare David Goffin, Alex De Minaur e Jennifer Brady), non potevano mancare quelle del Senior Manager di ASICS Footwear, Rene Zandbergen, e del Lead Researcher di ASICS Footwear Function Development, Tatsuya Ishikawa.
Zandbergen ha dichiarato: “Per migliorare la Solution Speed, abbiamo parlato con diversi tennisti che giocano a tutto campo, e tutti ci hanno raccontato una cosa: la velocità dalla linea di fondo campo è la cosa più importante per il loro gioco, l’essere più rapidi dell’avversario e riuscire, al tempo stesso, a coprire tutto il campo. Per questo abbiamo deciso di rendere la nuova Solution Speed FF più leggera, veloce e flessibile.”
Ishikawa ha aggiunto: “La Solution Speed FF 2 è un prodotto che nasce da un’intensa attività di ricerca di ASICS all’interno della meccanica del tennis. Al contrario della corsa, che è principalmente fatta di movimenti lineari, il tennis è fatto di molti più movimenti dinamici: questo è il motivo per cui è così importante scegliere una scarpa da tennis appositamente creata per questo sport e per il proprio stile di gioco. Focalizzarci sulle meccaniche è il nostro lavoro e, con ogni nuovo prodotto, cerchiamo di raggiungere un livello ancora più alto.
Vendiamo scarpe da tennis dal 1952 e seguiamo da sempre l’evoluzione degli stili di gioco, diventati con gli anni sempre più fisici. Dai tennisti top fino ai giovani, ci siamo sempre impegnati a creare la migliore calzatura da tennis per aiutare i giocatori di tutti i livelli ad esprimersi al meglio, non farsi male e godersi lo sport che amano.”

Prezzo consigliato al pubblico: 150,00 €.

Caratteristiche tecniche:
Colore: ambra/bianco
Misure: dal 39 al 50
Peso: 350 gr.
Materiale: tomaia in poliuretano + tecnologie flytefoam, flytefoam propel, ASICS grip e twistruss
Suola: sistema AHAR (High Abrasion Resistant = Alta Resistenza all’Abrasione)

Vantaggi:
– Calzata confortevole:
Leggerezza, flessibilità e stabilità sono i tre elementi cardine della Solution Speed, grazie alla complessità dei nuovi inserti.

– Versatilità:
Scarpa All Court, adatta a tutte le superfici di gioco (terra, erba sintetica e ottima anche per il greenset).

Miglioramento della reattività in campo:
Le tecnologie ASICS GRIP e TWISTRUSS aiutano il tennista a beneficiare di una falcata più performante in campo, negli scatti laterali e in avanti.

Assorbimento degli urti:
La tecnologia FLYTEFOAM PROPEL consente al giocatore di attutire eventuali urti sulla tomaia e sulla suola della scarpa.

– Ammortizzamento:
Ammortizzazione con tecnologia flytefoam + ammortizzazione con tecnologia GEL™ nell’avampiede e nel tallone.

– Resistenza all’abrasione e all’usura:
Suola progettata con il sistema AHAR per una maggiore robustezza e durata nel tempo.

Valutazione personale:
Una scarpa che non ha eguali. Leggera, comoda, flessibile: ha tutte le caratteristiche che servono ad un tennista. Provandola in campo, mi sono reso conto della qualità della calzata, pienamente riscontrabile negli scatti brevi, laterali e in avanti verso la rete.
Su alcune palle corte degli avversari, ho pensato spesso di non poterci arrivare o, magari, arrivarci senza però organizzare una risposta efficace. Invece, le Solution Speed FF 2 mi hanno sorpreso per la loro consistenza: scattando verso la rete, non solo sono riuscito a recuperare le palle più corte, ma anche a trovare una buona stabilità dei piedi al momento dell’impatto. Con le Solution Speed ho la sensazione di muovermi con più leggerezza in campo e di arrivare meglio sulla palla: caratteristiche essenziali per un qualsiasi giocatore di tennis, amatoriale o agonista che sia. Allo stesso modo, un Maestro di tennis che porta la firma ASICS Solution Speed, non può che essere soddisfatto della qualità del prodotto. E io lo sono pienamente.

Voto soggettivo da 1 a 10:
Comodità (morbidezza dell’inserto e elasticità della calzata): 10
Qualità (protezione del piede e durata nel tempo): 10
Estetica (modello e colore): 8,5

Voto medio da 1 a 10:
10 + 10 + 8,5 / 3 = 9,5


Fonti della descrizione e delle foto: Comunicato ufficiale ASICS Europe

Federico Bazan © produzione riservata



ASICS Court FF Novak: la scarpa del numero 1 ATP Novak Djokovic

Descrizione:
La scarpa da tennis Court FF Novak dona al piede del tennista flessibilità, sostegno e protezione, grazie alla complessità degli inserti e al rivestimento interno di cui è composto il materiale. Questa versione della scarpa di Djokovic, appositamente progettata per il Masters 1000 di Indian Wells, presenta un’edizione limitata di colori.
Calibrata per potenziare l’ammortizzazione durante gli impatti, coniuga la tecnologia FLYTEFOAM con un’ammortizzazione basata sulla tecnologia GEL™ per favorire falcate adeguate e un comfort eccezionale.
Realizzato con una tecnologia TRUSSTIC SYSTEM, questo componente contribuisce a massimizzare il sostegno per affrontare con sicurezza i colpi impegnativi.
Dotata di protezione per le dita PGUARD, questa scarpa è anche integrata da una suola in AHAR che aumenta la resistenza del suo composto di gomma.
Dalla struttura flessibile e di grande sostegno, la scarpa COURT FF Novak è progettata per garantire al tennista una migliore funzionalità.
Prezzo consigliato al pubblico: 180,00 €.


Caratteristiche tecniche:
Colore: vari
Misure: dal 39 al 50
Peso: 400 gr.
Materiale: tecnologia flytefoam + tecnologia GEL
Suola: sistema AHAR (High Abrasion Resistant = Alta Resistenza all’Abrasione)

Vantaggi:
– Calzata confortevole e protettiva:
Morbidezza del materiale conferita dalla tecnologia GEL e dai vari inserti. Protezione delle dita PGUARD.

– Ammortizzamento:
Ammortizzazione con tecnologia flytefoam + ammortizzazione con tecnologia GEL nell’avampiede e nel tallone.

– Resistenza all’abrasione e all’usura:
Suola progettata con il sistema AHAR per una maggiore robustezza e durata nel tempo.


Valutazione personale:
Per un Maestro di tennis è fondamentale usare delle scarpe comode e adatte al proprio lavoro. Questa affermazione può sembrare un’ovvietà, ma non tutte le scarpe da tennis lo sono. Considerando che gli istruttori trascorrono buona parte della giornata in campo, il primo elemento che ricercano nell’abbigliamento tecnico sportivo è il comfort.
Qualora una scarpa procuri dei fastidi o, peggio, dei dolori al piede, potrebbe risentirne, oltre al Maestro nel muoversi in campo, anche la qualità dell’insegnamento. E perché la qualità dell’insegnamento? Per il fatto che un Maestro, affinché possa impiegare al meglio le proprie energie in una lezione di tennis, ha bisogno di libertà di movimento. E quella libertà di movimento, sia durante il gioco, sia durante gli spostamenti in campo, deve partire da una scarpa adeguata.
Lo stesso discorso, naturalmente, si applica anche al giocatore di tennis e alle sue prestazioni. Quante volte si sente parlare di disturbi del piede come la tallonite e la fascite plantare?
Frequentando, personalmente, diversi circoli sportivi, mi è capitato di sentire giocatori di quarta e terza categoria lamentare proprio questi problemi, a causa di scarpe troppo strette o rigide. Non avendo ancora messo ai piedi le Court FF Novak, non potevo suggerirgli di cambiare marca. Ma, oggi, dopo averle provate, posso dirgli: “Ragazzi, ho trovato la scarpa che fa per voi. ASICS un nome, una garanzia.”
Grazie all’ottimo rivestimento interno, le FF Novak donano una sensazione di comodità e una eccezionale protezione alla pianta del piede, consentendo ogni tipo di spostamento. Provate a guardare Novak Djokovic e a soffermarvi sui suoi movimenti nella ricerca della palla: è uno dei pochissimi tennisti al mondo (insieme all’altro brand ambassador di ASICS, Gaël Monfils), in grado di giocare colpi in recupero a gambe divaricate su qualsiasi superficie.
Che le scarpe portino la firma di Djokovic non è solo un’azione di marketing in quanto tale, ma è la testimonianza di come un professionista ATP abbia bisogno della scarpa giusta in tutte le situazioni di gioco possibili. E ASICS, anche questa volta, ha centrato in pieno le aspettative del tennista serbo e non solo.

Voto soggettivo da 1 a 10:
Comodità (morbidezza dell’inserto e elasticità della calzata): 9
Qualità (protezione del piede e durata nel tempo): 10
Estetica (modello e colore): 8,5

Voto medio da 1 a 10:
9 + 10 + 8,5 / 3 = 9,2

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a David Dente, Maestro Nazionale del Centro Sportivo Villa Flaminia

Il Maestro Nazionale David Dente del CS Villa Flaminia

– Qual è stato il percorso che hai seguito per diventare Maestro Nazionale?

– Ho giocato a tennis a livello agonistico fino ai 18 anni. Mio padre era iscritto in un circolo, dove mi capitava spesso di palleggiare con alcuni soci. Mi piaceva dare, ad ognuno di loro, dei consigli tecnici sui colpi; in quei momenti passati in campo, ricordo che nutrivo il desiderio di diventare, un giorno, Maestro di tennis.
Nel ’96 ho fatto il corso di Istruttore Regionale; superato l’esame di Istruttore, chi voleva, poteva accedere al corso di Maestro Nazionale. Ho continuato quel percorso conseguendo la qualifica di Maestro Nazionale e facendo i centri estivi a Pievepelago e a Sestola. Nel ’98 ho cominciato a lavorare al Centro Sportivo Villa Flaminia, affiancando, per un anno, l’ex Direttore della scuola tennis, Enrico Sellan, che avrebbe cambiato circolo da lì a breve. Dopo la sua uscita, ho preso in mano io la direzione della scuola
tennis.

– Sei il Direttore Tecnico del settore tennis all’interno del Centro Sportivo Villa Flaminia. Quali sono, dal tuo punto di vista, gli elementi necessari affinché una scuola tennis sia efficiente?

– Gli elementi affinché una scuola tennis funzioni sono diversi: prima di tutto, i Maestri devono essere riconosciuti dalla Federazione Italiana Tennis e seguire, negli anni, i vari corsi di aggiornamento per rimanere sempre informati sulle nuove direttive dell’Istituto Superiore di Formazione Roberto Lombardi.
É importante, poi, che ci sia uno spirito di collaborazione tra i colleghi del settore. I Maestri, che insegnano nella stessa scuola tennis, devono: rendersi disponibili per favorire una crescita umana e tecnica degli allievi attraverso l’utilizzo dei materiali didattici (palle orange, mid, racchette, cinesini, tubi, ecc.); agevolarne la raccolta delle palle al termine dei cesti; cooperare tempestivamente affinché i campi siano in perfette condizioni ad ogni cambio dell’ora.
Il dialogo tra i Maestri, tra l’altro, è utile per scegliere la suddivisione dei gruppi prima dell’inizio di una lezione e per proporre le modalità di esercizi in base all’età e al livello di gioco degli allievi.
Infine, una qualsiasi scuola tennis si fonda sulla struttura che il circolo mette a disposizione nella sua totalità: oltre ai campi da tennis, le palestre e gli spazi all’aperto per incentivare l’attività motoria dei ragazzi.

Da sinistra a destra della foto: Gabriele Argentieri (preparatore atletico), David Dente (Maestro Nazionale e Direttore Tecnico della scuola tennis), Francesco Felici (Istruttore di secondo grado) e Federico Bazan (Istruttore di primo grado)


– Che obiettivi hai riguardo alla crescita dei tuoi allievi?

– L’aspirazione principale, come penso valga per la maggior parte dei Maestri, è quella di far diventare gli allievi della scuola tennis dei piccoli giocatori, fornendo loro gli strumenti tecnici adeguati e i principi sani che lo sport insegna. Bisogna aggiungere che la crescita di una ragazza o di un ragazzo dipenda anche da altri fattori: una passione ininterrotta per il tennis, un allenamento costante negli anni, una famiglia alle spalle che supporti il bambino e che sia disposta ad accompagnarlo in giro nei vari tornei. Oltre alla qualità del Maestro, bisogna avere anche una buona dose di fortuna, in quanto non tutti i ragazzi che si allenano con criterio e con impegno riescono a raggiungere gli stessi traguardi.
Per quanto riguarda gli obiettivi, il Centro Sportivo Villa Flaminia si prefigge di far giocare e far divertire i bambini attraverso la pratica sportiva; noi dello staff ci impegniamo ad insegnare a tutti gli allievi una tecnica di gioco adatta a facilitare l’apprendimento del tennis, senza, allo stesso tempo, tralasciare l’aspetto ricreativo, sotto forma di gare, giochi a squadre, tornei e tutte le attività indette dal Comitato Regione Lazio.


Nell’immaginario collettivo, il Maestro di tennis è la figura professionale che trascorre la propria vita sui campi; chi non è del settore, potrebbe considerarlo un lavoro monotono. In realtà, un Maestro di tennis sperimenta esperienze nuove e stimolanti. I tuoi oltre 20 anni di lavoro lo possono testimoniare?

– Le esperienze che ho vissuto in campo con gli allievi sono state e sono, tutt’ora, sempre diverse e mai ripetitive. Questo perché ognuno di loro, presentando delle differenze di carattere e di approccio al tennis, dovrebbe ricevere, singolarmente, indicazioni mirate in base ai difetti tecnici che lo limitano nel raggiungimento di un determinato risultato. Quello che un Maestro può fare, è cercare di migliorarsi ogni volta a favore della crescita dell’allievo, adulto o bambino che sia.


– E infine ti chiedo di raccontare ai lettori de “Il Mondo del Tennis” alcuni dei ricordi più belli che la nostra professione ti ha regalato e che, tornando indietro negli anni, rivivresti con lo stesso entusiasmo.

– I ricordi belli sono tanti: come giocatore, sicuramente le trasferte dei campionati a squadre, l’amicizia che mi ha legato ai compagni di squadra, i tornei e le partite che ho giocato. Come Maestro, i bambini che ho avviato al tennis e che oggi, a distanza di anni, rivedo diventati grandi e che continuano a giocare. Ma anche tutti i colleghi di altri circoli che, ogni tanto, mi chiamano e mi dicono: “Maestro David, grazie per aver dato una buona impostazione tecnica ai ragazzi che alleno”. Queste sono solo alcune delle gioie che il tennis mi ha regalato.

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Potito Starace, ex tennista ATP


– A che età hai iniziato a giocare a tennis? In quale circolo sportivo?

– Ho iniziato a giocare a tennis a 7 anni. La mia fortuna probabilmente è stata quella di avere un circolo sotto casa, il “Tennis Club Starace”, che mio nonno comprò negli anni ’60 e dove, inizialmente, c’erano solo due campi da tennis. Fino a quando avevo 6 anni davo i calci al pallone, ma già a 7 mi ero innamorato del tennis guardando giocare i ragazzi più grandi di me.
Con il passare del tempo, la struttura si è evoluta a tutti gli effetti; dopo la morte di mio nonno, il club è stato ribattezzato negli anni ’90 con il mio nome: “Circolo Tennis Potito Starace”. Abbiamo costruito altri campi da tennis, un campo da beach tennis, uno da padel e una piscina. Oggi, poiché sono a Roma, il circolo di Cervinara viene gestito da mio padre e da mio fratello. Quest’ultimo è Maestro Nazionale e si occupa lui dei corsi e della scuola tennis.


– Quando ti sei accorto di poter trasformare il tennis nel tuo lavoro? Quale è stata la figura di riferimento che ti ha sostenuto nella fase di crescita del tuo gioco?

– Già a 12 anni avevo vinto il titolo nazionale Under 12, anche se a quell’età, essendo ancora piccolo, giocavo naturalmente per divertimento, e non più di tre volte a settimana. A 15 anni ho fatto la scelta di andare in Federazione a Cesenatico e, a 17, mi sono trasferito da Alberto Sbrescia, che è stato il mio Maestro. Con la sua supervisione, ho iniziato a giocare i primi tornei Futures e Challenger. Dopo quel periodo, Sbrescia non mi ha potuto più seguire e, a malincuore, le nostre strade si sono separate. Arrivato a 20 anni, ero già nei primi 200 del mondo. Dopodiché ho iniziato pian piano la scalata nel ranking ATP, partita dopo partita, torneo dopo torneo.

– Vista la tua esperienza vissuta da giocatore, ti chiederei: quali sono i maggiori ostacoli che un talento emergente incontra per accedere al professionismo?

– Gli ostacoli per diventare un professionista sono numerosi: quando si giocano i tornei Juniores cambia tanto rispetto al mondo professionistico. Si può essere talentuosi da giovanissimi, però si possono avere in seguito dei problemi a competere contro tennisti più esperti e in parte già affermati. Quindi il primo impatto da junior a giocare a livello professionistico è abbastanza complicato per tanti aspiranti, tranne per alcune eccezioni. È proprio dalle competizioni juniores a quelle dell’ITF che dovrebbe scattare la molla perché, una volta che si arriva nei Futures, si trovano già dei giocatori giovani che sono nel circuito da qualche anno e che hanno i requisiti per affermarsi nei Challenger, per poi approdare negli ATP.

– Hai vinto 6 tornei ATP in doppio e 11 tornei Challenger con altrettante finali giocate. Sei stato numero 27 del mondo e sei rimasto nel circuito maggiore per almeno 15 anni. Molti bambini sognano di poter, un giorno, raggiungere i tuoi traguardi, ma forse non sanno di tutto il lavoro, il sacrificio e gli investimenti che ci sono dietro a determinati risultati. Che consigli daresti a chi vorrebbe seguire le tue orme?

– Sì, sono stato 27 del mondo nel 2007, come best ranking. Ho battuto tra l’altro, in partite di torneo, alcuni ex numero 1 della classifica ATP come Carlos Moyá, Juan Carlos Ferrero e Marat Safin. Ho vinto 6 tornei in doppio, 11 tornei Challenger e tutte le partite in Coppa Davis, tranne una contro Roger Federer. Detta così sembra semplice, però dietro a questi risultati c’è un duro lavoro che inizia da quando avevo 7 anni, naturalmente con tanta leggerezza perché ero ancora piccolo, fino ai 15 anni. Verso i 16 anni, nel momento in cui mi sono accorto di poter giocare ad alti livelli, la salita è stata lunga: tanti sacrifici, diversi investimenti legati al fatto che, nel tennis, ci sono delle spese fisse da dover sostenere, in particolare quando non si è coperti economicamente dalla Federazione.
Il consiglio che posso dare a chi vorrebbe seguire il mio percorso di vita e di carriera è dare tutto negli allenamenti perché il tennis è uno sport individuale nel quale il rendimento dipende dal singolo giocatore in campo. Poi naturalmente è molto importante stare sempre a fianco dell’allenatore, che è la guida principale, e riporre tanta fiducia nelle persone vicine: dal coach al preparatore atletico.

Un ostacolo alla crescita di un ragazzo o di una ragazza, invece, può essere rappresentato da alcuni genitori che si mettono in mezzo, creando dei problemi in questioni di non loro competenza o per delle aspettative irrealistiche riguardo alle possibilità del proprio figlio.

– Finita la carriera nel circuito professionistico, sei diventato il direttore tecnico dell’agonistica del Due Ponti Sporting Club. Quali sono i principali obiettivi che ti sei posto all’inizio di questa nuova avventura?

– Sì, adesso sono il direttore tecnico dell’agonistica del Due Ponti, che è un circolo che frequento da tanto. Ho giocato anche gli incontri a squadre: la Serie A di tennis e la Serie A di padel delle quali ancora oggi sono titolare. Quindi sono molto contento perché è un circolo che frequento da anni e mi trovo molto bene.
Gli obiettivi sono quelli di far crescere l’agonistica, dalla scuola SAT provare a tirar fuori dei prospetti e farli arrivare pian piano in alto. Abbiamo iniziato nel settembre del 2020 con 12 ragazzi, e siamo contenti perché è cambiato tanto il circolo, sono cambiate anche le metodologie di allenamento che faccio fare ai ragazzi. Sicuramente in pochi mesi di lavoro vedo già dei miglioramenti. C’è un’atmosfera serena e quella è la cosa più importante.


– Tra le ragazze e i ragazzi che stai allenando, intravedi potenziali promesse del tennis italiano?

– Ci sono dei ragazzi che giocano bene. Sono giovani, devono ancora lavorare tanto e si devono ancora formare fisicamente, quindi non è semplice. Però nel tennis non si sa mai. Sicuramente bisogna allenarsi con determinazione ed essere sempre pronti ad affrontare qualsiasi momento, in qualsiasi torneo, sia nei periodi positivi che in quelli meno positivi. Però i ragazzi stanno lavorando bene, quindi speriamo che ne possa uscire almeno uno con tutti gli strumenti necessari volti a fare un salto di qualità importante, magari nel professionismo.

– E infine ti chiedo quali suggerimenti daresti a un giovane istruttore di tennis che vorrebbe intraprendere la carriera di Maestro Nazionale.

– Per diventare Maestro Nazionale mi sento di dire solo di studiare tanto e di tenersi in costante aggiornamento perché il tennis è cambiato tanto, già da 10 anni a questa parte. Ci sono metodologie di allenamento diverse, soprattutto sul piano fisico. E un Maestro deve essere aperto ai cambiamenti che il tennis odierno impone.

Federico Bazan © produzione riservata