L’esperienza in campo di Enrico Sellan, classe ’71, si divide in più fasi: carriera di tennista professionista (classifica ATP di 700 in singolo e di 500 in doppio), tesserato al Circolo Canottieri Roma; la famosa parentesi di sparring partner con Monica Seles; Direttore Tecnico delle scuole tennis di vari circoli romani.
– Hai giocato tanti anni in serie B e, per un anno, in serie A2, tesserato per il Circolo Canottieri Roma. Le modalità di allenamento che si adottavano negli anni ’90, quando eri nella rosa dei tennisti del CC Roma, erano molto diverse da quelle odierne? In cosa consistevano?
– Era un altro tennis ed erano, di conseguenza, diverse le tipologie di allenamento. Io faccio parte di quella generazione a cavallo tra “la vecchia scuola” e quella moderna. Anche le conoscenze, a parte in alcuni casi, erano limitate. Non si parlava ancora di mental coach, di nutrizione e fisioterapia al seguito dei giocatori. Piuttosto, si lavorava quasi esclusivamente sui cardini del gioco, come il correre e mandare la palla aldilà della rete. Ovviamente, poi, ognuno di noi sviluppava un tipo di gioco seguendo le proprie attitudini. E le ossa te le facevi nei tornei, che erano strutturati in maniera diversa da quella odierna. Un giocatore con un ranking più basso, si misurava subito contro avversari di classifica più alta, quindi, qualora non fossi stato abbastanza allenato, rischiavi di collezionare un bel numero di primi e/o secondi turni. I tornei, tra l’altro, erano anche molti di meno rispetto ad oggi, quindi nei tabelloni trovavi svariati B1 e B2. Era sicuramente più difficile emergere. Oltretutto, non era in voga essere seguiti dal proprio maestro, quindi spesso te la dovevi cavare da solo.
– Credi che l’evoluzione del tennis sia dovuta solo al miglioramento dei materiali o anche ad un cambiamento della tecnica di gioco?
– Credo che l’evoluzione dei materiali abbia determinato un’evoluzione tecnica, ma anche tattica. Con le racchette di legno, la palla andava più piano e gli scambi duravano molto di più. Con le racchette di ultima generazione, invece, si tende a fare punto il prima possibile, ovviamente semplificando il concetto.

– Quali sono i ricordi più belli e le vittorie più significative che hai collezionato nelle coppe a squadre e nei tornei?
– Sicuramente le vittorie dei campionati italiani di B di doppio nel 1993, le vittorie sempre di doppio nei campionati assoluti regionali nel 92-93-97, la partecipazione agli Internazionali d’Italia nel 1992, e per ultimo, cronologicamente parlando, il titolo italiano nel 2021 nel campionato a squadre over 40 con il Canottieri Aniene.
– Vorrei chiederti, in base alla tua esperienza di giocatore, cosa ritieni sia indispensabile avere nel proprio bagaglio tecnico, tattico e mentale per poter essere competitivo in modo continuativo nelle partite di torneo e di campionati a squadre.
– Sai, ognuno ha le proprie caratteristiche di giocatore e caratteriali, e non ce n’è una meglio di un’altra in senso assoluto. La bellezza di questo sport risiede anche in questo, e cioè che si possono perdere partite con giocatori tecnicamente meno validi, ma che, magari, eccellono nella lettura della partita oppure hanno una buona tenuta mentale. Detto questo, nel tennis odierno, il servizio ed il diritto la fanno da padroni. Il saper uscire da situazioni difficili variando, per esempio, la propria tipologia di gioco, è sicuramente vantaggioso. Essere determinati nei punti importanti e non abbattersi di fronte alle difficoltà, è necessario nel tennis di oggi, così come avere una grande preparazione atletica che ti permetta di giocare tutti i giorni match lunghi e combattuti.
– In quale occasione hai conosciuto Monica Seles? Come ha avuto inizio la vostra collaborazione?
– Era il 1992, l’anno in cui ho giocato le qualificazioni agli Internazionali d’Italia, e lei alloggiava (come quasi tutti i giocatori) all’Hotel Hilton, che ha 2 campi da tennis. Spesso i giocatori preferivano allenarsi lì, lontano dai riflettori e dai fans. Io conoscevo bene i maestri che insegnavano su quei campi e Monica chiese loro degli sparring partner con cui allenarsi. Uno fra quelli chiamati ero io e, durante l’allenamento, mi si avvicinò il padre per chiedermi se avessi potuto andare con loro al Roland Garros. Il giorno della finale vinta contro Steffi Graf a Parigi, entrai in contatto con il manager della Seles che mi prolungò il contratto per i giorni che intercorrevano fra Parigi e Wimbledon e, successivamente, per tutto il torneo londinese. Il giorno della finale sull’erba persa con la Graf, mi prolungarono il contratto fino al 31 Dicembre dello stesso anno.
– Come organizzavi una sessione di allenamento con la Seles? Il lavoro di sparring partner ti permetteva anche di parlarci per darle dei consigli tecnico tattici sul suo gioco?
– Le sessioni di allenamento erano sempre concertate fra il padre, suo coach, e me. Quasi sempre, visto che si svolgevano all’interno di vari tornei, si andava a vedere l’avversaria successiva di Monica e poi si cercava di replicarne il gioco nell’allenamento. In ogni caso, sia lei che il padre, volevano assolutamente che io partecipassi attivamente agli allenamenti suggerendo soluzioni a determinate situazioni o, semplicemente, esprimendo pareri sul gioco. In partita poi ci pensava da sola, noi ci limitavamo ad incitarla e ad incoraggiarla nei momenti difficili.
– Quando hai realizzato che il lavoro di Maestro sarebbe stata l’attività principale della tua vita? Quali sono, dal tuo punto di vista, le gioie, da un lato, e gli insegnamenti più grandi, dall’altro, che questa professione può dare a chi la esercita?
– Da piccolo sognavo di diventare fra i giocatori più forti del mondo, come tutti del resto. Poi, una volta raggiunta l’età in cui si devono fare delle scelte, anche per motivi economici, mi è sembrato naturale scegliere la professione del maestro. Ma non pensavo mi desse tante soddisfazioni, invece più passa il tempo e più le soddisfazioni crescono. Dal bambino principiante che impara a palleggiare e a partecipare alle prime competizioni, al giocatore già adulto che, magari, si sta affacciando al mondo semi-professionistico, agli atleti professionisti. Ogni categoria sa darti emozioni, se fai questo lavoro con passione. Il tennis è uno sport individuale, ed anche se hai intorno a te maestri, preparatori e altre figure professionali, alla fine in campo ci vai da solo e devi sbrigartela da solo. Quindi, per me, è uno sport che forma il carattere come poche altre discipline sportive.
– E, per concludere, i tuoi progetti per il futuro nell’ambito della tua professione. Ti sei posto degli obiettivi tennistici da qui a medio-lungo termine?
– Negli ultimi anni mi sono dedicato a ragazzi che facevano attività agonistica o semi-professionistica; da settembre del 2022 sono rientrato nella scuola tennis del Circolo Canottieri Aniene, dove seguo prevalentemente il settore agonistico e pre-agonistico. Il mio impegno è portare a questi ragazzi, che sono ancora molto giovani, le mie competenze e le mie esperienze, in modo che possano crescere nel minor tempo possibile. Ho trovato uno staff ottimo dal punto di vista tecnico con il quale ho gran piacere a confrontarmi e lavorare insieme tutti i giorni, con l’obiettivo di migliorare sempre di più il livello del gruppo, senza avere fretta perché sappiamo molto bene che ci vuole tempo per raggiungere quanto ci siamo prefissati.
Foto di: Enrico Sellan
Federico Bazan © produzione riservata