Uscito al cinema nel novembre del 2025, con protagonista Pierfrancesco Favino nel ruolo del coach Raul Gatti, Il Maestro è un film che propone un tema ricorrente nello sport: il genitore che investe tempo e soldi con l’obiettivo che il proprio figlio diventi un campione.
Trama:
Felice Mirella è un ragazzo di tredici anni che proviene da una famiglia benestante: il padre Pietro Mirella, un ingegnere delle telecomunicazioni, concentra nel figlio la speranza e l’aspettativa per un futuro di successo nel mondo del tennis.
La figura del “genitore coach” emerge dalle prime battute del film: Felice viene seguito in varie sessioni di allenamento dal padre Pietro, il quale gli ordina quello che deve fare in campo e quale stile di gioco adottare. Il tennis, per Pietro, viene inteso in modo univoco: Felice deve giocare a non sbagliare e a rimettere la palla dall’altra parte della rete per costringere l’avversario all’errore. Gli prepara anche un quaderno con i colpi da dover giocare in relazione a determinati gesti comunicati dal padre al figlio durante le partite. Il tennis non è inteso come un gioco dove esistono varie strategie possibili per spiazzare l’avversario, in base alle proprie caratteristiche tecniche, ma diventa per Felice Mirella, su volere del padre, un mero calcolo matematico che deve portare sempre allo stesso risultato: l’errore dell’avversario.
Pietro Mirella decide di investire sul futuro del figlio mandandolo in giro nei tornei provinciali e regionali, sotto la guida dell’ex tennista professionista, nonché suo futuro coach, Raul Gatti, un maestro noto nel mondo del tennis nazionale.
Raul Gatti non comprende la visione sul tennis dell’ingegner Mirella, al punto da constatare che, nei primi tornei dove lo accompagna, il ragazzo non riesce a vincere, pur attenendosi agli schemi di gioco del padre. Raul, a causa della frustrazione di Felice nel perdere le partite, prova a fargli cambiare approccio: da ribattitore, in gergo “pallettaro”, a giocatore propositivo, che vada a rete a prendersi il punto.
Considerazioni tecniche:
La storia è ambientata nel 1989 in vari circoli di tennis italiani e località di mare sparse per la penisola, tra il Lazio e le Marche. Lo studio dei costumi assegnati ai personaggi è perfettamente in linea con quelli dell’epoca: i marchi Fila e Sergio Tacchini sono tra quelli più in voga in quel periodo storico del tennis italiano e non è un caso che il regista Andrea di Stefano, con la collaborazione dei costumisti, abbia vestito il maestro con tute della Fila e il suo allievo con abbigliamento Sergio Tacchini. Bene anche l’attenzione al materiale tecnico, come i borsoni e le racchette, profilate in grafite e piuttosto rigide, come si usavano negli anni ’80 e ’90 e che danno la sensazione allo spettatore di immergersi nel contesto di quell’epoca. Lo stile di gioco di Felice Mirella sembra quello di un ragazzo che realmente gioca a tennis, con riprese e angolature che ne enfatizzano le caratteristiche tecniche, senza troppe forzature: si percepisce come il regista Andrea Di Stefano, verosimilmente intenditore di tennis, sia abile nel coinvolgere il pubblico di appassionati.
Anche il ruolo attribuito a Pierfrancesco Favino è perfettamente centrato: Raul Gatti è un maestro, all’interno della storia, capace di intervenire quando necessario per correggere e per motivare il suo allievo, ma anche capace di distaccarsi, quasi estraniandosi, quando Felice Mirella comunica una totale mancanza di ascolto nei suoi confronti per seguire testardamente i consigli del padre.
Considerazioni personali:
Contrariamente al classico film che vede il giocatore protagonista crescere progressivamente ed avere successo nelle tappe più importanti della propria carriera, Il Maestro è una storia che si sviluppa esattamente al contrario di come la si prospetta. E in questa sua contrarietà è brutalmente genuina: la figura del “genitore coach” è una realtà vera, nella vita di tutti i giorni, che può portare il figlio a vivere lo sport, non come un divertimento, ma come un obbligo di vita. Di Stefano è astuto nel trasformare questo rapporto padre-figlio, rappresentato da Pietro e Felice Mirella, in un incontro tra coach-allievo, rappresentato da Raul Gatti e Felice Mirella: questa collaborazione tra i due lascia fantasticare allo spettatore un futuro cambiamento in Felice, che si separa finalmente dalle aspettative di un padre pressante per farne emergere una parte valida mai espressa, proprio grazie al nuovo rapporto con il coach Raul Gatti. Ma si scoprirà, nella visione del film, che non è così.
Durante la storia emergono, da un lato, la costante incapacità dell’allievo di trovare una chiave risolutiva alle proprie sconfitte e la frustrazione come risposta a questa incapacità, mentre, dall’altro, il vissuto personale del maestro che si riflette nelle scelte presenti con il proprio allievo. Favino interpreta alla grande il ruolo del maestro, esattamente come un maestro di tennis non dovrebbe mai essere, ovvero dedito ai vizi, al divertimento, alla mancanza di disciplina e di devozione al lavoro. Il passato che Raul Gatti vive, infatti, è all’apparenza una vita di successi come tennista, ben presto accompagnati da sregolatezze, trasgressioni, relazioni sbagliate e mancate corrispondenze.
Le difficoltà che il coach e l’allievo vivono nel loro percorso dentro e fuori dal campo, li avvicina sempre di più in un rapporto dove entrambi cercano di sostenersi l’un l’altro nel superarle, anche se gli errori e le impossibilità del passato non si possono più cancellare. Ed è proprio qui che si cela la bellezza del film: Andrea Di Stefano si serve di due validi attori, Pierfrancesco Favino e Tiziano Menichelli, per far vivere allo spettatore il trionfo dell’insuccesso, dove Raul Gatti e Felice Mirella falliscono entrambi nel proprio ruolo, pur perseguendo alla fine un obiettivo comune, in contrapposizione agli insegnamenti del padre.
Federico Bazan © produzione riservata































