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Binomio Raonic/McEnroe: una collaborazione efficace

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                                                   John McEnroe: la nuova spalla destra di Milos Raonic

Pur non condividendo la stessa epoca tennistica e non avendo una storia con, alla base, caratteristiche di gioco simili, il coaching tra John McEnroe e Milos Raonic sembra dare i suoi frutti.
Se fino a poco tempo fa il tennis di Raonic era essenzialmente composto da servizio e dritto, adesso, grazie ai consigli di McEnroe, il canadese sta aggiungendo nuovi tasselli al suo gioco. Notevolmente migliorato a rete, da un po’ di tempo a questa parte, il tennista di Podgorica sta mostrando discrete doti di manualità in quella zona del campo. L’ex campione americano lo sta indirizzando verso un tennis basato sulla proiezione offensiva. Non a caso, Raonic, specie sulle superfici a lui più consone, non rinuncia quasi mai al serve & volley e a rendersi propositivo verso la rete. Lo si è visto a Wimbledon, dove il canadese, dopo prime di servizio potenti e precise, si lanciava in avanti cercando di sbilanciare i propri avversari con un gioco di volo che ricorda da vicino quello di McEnroe. Anche sugli spostamenti ha fatto progressi. Se prima lo si vedeva servire e ottenere il punto, su due o tre colpi, adesso comincia a tenere con più sicurezza il palleggio da fondo campo.

Caratterialmente Raonic è un giocatore posato, riservato e che cerca di evitare reazioni spropositate. Inoltre, una sua grande qualità è l’attitudine al lavoro e alla costanza, pregi che lo vedono lottare su ogni palla e far emergere tutta la propria prestanza anche contro i top five, con cui se la gioca ad armi pari.
Spesso criticato per il suo stile di gioco, Raonic non bada alla forma ma alla sostanza. Ed è questo che lo rende un tennista unico nel suo genere.
L’impronta che ha dato e che, forse, continuerà a dare McEnroe al gioco di Raonic, ha contribuito ad arricchire il tennis del canadese, il quale, prima ancora di conoscerlo, ha chiarito con lui gli obiettivi da raggiungere: “La prima volta ci siamo parlati al telefono, per organizzarci; è stata una discussione molto onesta su cosa lui credeva che io dovessi fare e cosa io avrei voluto dal nostro rapporto. Ovviamente essere più efficace nell’avanzamento era una parte fondamentale per me. Una fondamentale per lui era il mio atteggiamento in campo, la mia presenza. Qualcosa che io probabilmente non avrei messo tra le priorità”.

Raonic è un esempio di come il tennis possa anche non essere classe ed estetica del colpo bensì potenza, efficacia e tattica del punto.

Federico Bazan © produzione riservata

Vinci, Errani e Schiavone fanno il tris

Difficile che capitino insieme ma, a volte, le prodezze sportive arrivano una dietro l’altra. Ebbene, l’Italia del tennis femminile porta a casa tre successi consecutivi firmati Roberta Vinci, Sara Errani e Francesca Schiavone, la triade vincente del tennis italiano che continua a far sognare ad occhi aperti gli appassionati. Prima il trionfo della Vinci a San Pietroburgo, torneo Premier, il decimo nella carriera della tarantina; poi la vittoria di Sara Errani a Dubai, altro Premier, nono sigillo per la romagnola. Infine il ritorno della leonessa d’Italia, Francesca Schiavone, che sorprende tutti a Rio De Janeiro conquistando il suo settimo titolo in carriera a distanza di tre anni dalla sua ultima apparizione in una finale di un torneo WTA.

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                Roberta Vinci con la coppa del torneo di San Pietroburgo

Alla vigilia, nessuno si sarebbe aspettato prestazioni così convincenti da parte delle tenniste azzurre: Roberta Vinci, dopo l’impresa gloriosa in quel di New York, ha recentemente annunciato che questa sarebbe stata la sua ultima annata da tennista professionista nel tour. La tarantina aveva infatti rilasciato, in alcune interviste, come il tennis stesse diventando per lei monotono, non più un divertimento. Sembrava che Roberta, dopo quel traguardo inedito conseguito sui campi di Flushing Meadows, avesse perso la voglia di continuare a competere ad alti livelli.
Vinci che, dopo l’affermazione nel torneo di San Pietroburgo, durante il giorno del suo 33esimo compleanno, ha visto due volte scalfito il numero 10 al computer: diventa per la prima volta top ten, piazzandosi proprio al decimo posto della race e, con la vittoria su Belinda Bencic nella finale del torneo russo, arriva a quota dieci titoli WTA.
La campionessa pugliese si è imposta su Belinda Bencic, giocatrice svizzera, giovane promessa per l’avvenire del tennis mondiale che, all’età di 18 anni, è già tra le prime dieci del mondo; in questo caso, tra la freschezza e l’esperienza, ha prevalso l’esperienza di Roberta Vinci che ha ostacolato efficacemente il gioco della Bencic con le sue variazioni e con una grande resa al servizio. Gioco della Vinci che risulta comunque fastidioso per le giocatrici cui piace giocare di ritmo e in modo monotematico. La Bencic ha dimostrato un talento da vendere anche se è ancora troppo acerba per competere con tenniste esperte del calibro della Vinci che sanno variare il ritmo degli scambi e conoscono soluzioni tattiche diverse dalle tante giocatrici odierne, impostate su potenza, spinta e fisicità.

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                   Sara Errani bacia il trofeo del torneo Premier di Dubai

Analogamente, Sara Errani, storica compagna di doppio della Vinci, che ha vissuto un inizio di 2016 non particolarmente brillante, ha dichiarato come facesse fatica a gestire la tensione; fatto piuttosto paradossale se pensiamo con quanta autorevolezza abbia liquidato le sue avversarie nel corso del torneo di Dubai (tra l’altro il primo torneo Premier vinto dalla Errani su cemento indoor). Errani che continua comunque ad impreziosire il pubblico con le sue giocate, malgrado le difficoltà patite nell’ultimo periodo.

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La gioia di Francesca Schiavone dopo tre anni dalla sua ultima vittoria in una finale WTA

Stavolta è però Francesca Schiavone la sorpresa più grande: la leonessa d’Italia è tornata a ruggire sulla terra battuta dopo tre anni dalla sua ultima finale disputata. Quasi non se ne sentiva più parlare di una giocatrice che comunque, ricordiamo, ha vinto il Roland Garros nel 2010 e l’anno dopo è arrivata in finale. Ebbene, la leonessa d’Italia ha tirato fuori la grinta da situazioni di svantaggio, come successo nella finale contro la giovane americana Shelby Rogers, giocatrice insidiosa, provvista di accelerazioni notevoli da fondo campo. La Schiavone era sotto nel punteggio ma ha poi trovato la chiave dell’incontro mettendo la Rogers nelle condizioni di subire l’impeto della milanese. Schiavone che, con grinta ed esperienza, ha prevalso su un’altra giocatrice promettente ma ancora piuttosto acerba. A fine incontro, la gioia incontenibile e la commozione di Francesca durante i ringraziamenti al pubblico. Una Schiavone che non si vedeva così entusiasta dai tempi del Roland Garros, forse anche più emozionata dell’ultimo successo sulla terra parigina del Philippe Chatrier.

Il tennis italiano, dunque, almeno in campo femminile, si riscatta dopo un esordio amaro in Fed Cup a Marsiglia e dimostra di poter ancora dominare gli scenari del panorama tennistico attuale. Mentre, nel frattempo, sono in attesa di conferme le nuove generazioni che vedono una Camila Giorgi in fase di stallo e una Martina Caregaro in lenta ascesa.

Federico Bazan © produzione riservata

 

Tributo a Lleyton Glynn Hewitt

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Con il ritiro di Lleyton Hewitt dal circuito ATP, lascia il rettangolo di gioco una delle colonne portanti del tennis dei primi anni 2000; si chiude dunque un altro capitolo dell’era Open dopo l’addio dei grandi talenti come Coria, Safin, Ferrero, Gonzalez, Nalbandian e Roddick.

Hewitt, tennista australiano classe ’81, ha dominato parte dello scenario del tennis contemporaneo divenendo il più giovane numero 1 del ranking ATP a soli 20 anni e rimanendo in vetta per circa un anno e mezzo, prima della decisiva consacrazione di Federer e Nadal.

Non è mai stato uno di quei talenti naturali; un tennis costruito, a volte macchinoso nella riproduzione del gesto tecnico ma alle cui radici c’era un lavoro di base incredibile.
Hewitt nasce come ribattitore e contro attaccante, se così si può definire. Grande risposta al servizio, rapidità pazzesca nello scatto in avanti, negli spostamenti laterali e servizio con un taglio slice particolarmente insidioso, erano i suoi baluardi. L’eleganza non era certamente il suo forte ma nelle corde disponeva di soluzioni che moltissimi suoi colleghi del circuito non erano e non sono in grado di giocare con la stessa facilità dell’australiano: il passante e il pallonetto, colpi decisivi nei punti combattuti.

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Il tennista di Adelaide vinse gli Us Open battendo Sampras in finale a soli 20 anni

Non possedeva una grande esplosività nei colpi ma comunque era quel tipo di giocatore che resisteva sugli scambi prolungati da fondo campo e che, spesso, metteva il suo avversario nelle condizioni di trovare soluzioni tattiche davvero complicate.

Lleyton Hewitt ha fatto della forza mentale una risorsa incredibile; ha vinto incontri che in pochi pensavano potesse vincere. Uno di questi, la finale degli Us Open contro l’ex numero 1 del mondo indiscusso, Pete Sampras, sonoramente sconfitto in tre set, a casa sua.
Tra gli altri ricordi in cassaforte, Hewitt vanta il successo di Wimbledon nel 2002 (quindi due tornei del Grande Slam conquistati), due Masters 1000 (Sydney e Shanghai) e due Coppe Davis.

Per quanto riguarda la personalità in campo, l’australiano spiccava per una grinta fuori dal comune che veniva, tuttavia, mal sopportata da alcuni suoi colleghi del circuito. Guillermo Coria, tennista argentino, con il quale Hewitt si azzuffò verbalmente in una partita di Coppa Davis tra Australia e Argentina anni fa, lo ricorda così: “Esulta per gli errori altrui, è sempre troppo aggressivo… Lo ucciderei. Puoi essere il più forte del mondo e vincere tutti i tornei, ma se ti comporti così sei l’ultimo degli esseri umani”.  Anche Roy Emerson, leggenda del tennis australiano, ne parla ironicamente come di una personalità bellicosa: “Gioca ogni punto come se fosse la Seconda Guerra Mondiale”.

Aldilà dei probabili difetti caratteriali, Hewitt era comunque un giocatore che aveva la stima di molte persone all’interno del circuito maggiore, per il fatto che fosse un grande sportivo in campo. Federer lo descrive con parole di elogio: “Lo so che molta gente apprezza il mio gioco perché lo trova fluido, variato, un alternarsi di rotazioni, lift e slice, un tennis a tutto campo, rete inclusa. Ma una varietà simile può essere anche uno svantaggio. Se prendete Hewitt, troverete qualcosa che vi sembrerà l’opposto, un’incredibile presenza atletica, una mentale impossibile da scalfire. Anche quello è un talento, quasi una fede”. Le parole del campione elvetico sono il riassunto di ciò che Hewitt, in 17 anni di carriera, ha rappresentato per il tennis mondiale, un esempio di determinazione e di perseveranza.

Federico Bazan © produzione riservata

Elogio a Andy Roddick

Ci sono giocatori che hanno bisogno di prendersi tutto il tempo a propria disposizione prima di servire. Pensiamo, ad esempio, a Nadal, Djokovic e Berdych che, solo dopo aver compiuto delle azioni di routine, cominciano il gioco.

Roddick, da questo punto di vista, si differenzia per velocità d’esecuzione.
Anche lui, quando giocava nel circuito, riproduceva delle azioni abituali in campo ma, a differenza di molti suoi colleghi, era mediamente più rapido nella fase di preparazione del servizio.
Si posizionava subito con i piedi dietro la riga, faceva al massimo due palleggi, lanciava la palla e dava una frustata con il braccio, il tutto nel giro di pochi secondi.
Era veloce tanto nell’esecuzione tecnica, quanto nell’esito della battuta, sua arma letale che, non di rado, raggiungeva e superava i 220 km/h.

Tutte le volte che l’americano sfoggiava il suo talento, lo spettacolo era assicurato.
Roddick era un giocatore impulsivo; prendeva le cose così come venivano. Si presentava a rete subito dopo aver eseguito approcci in back; giocava prime palle di servizio, sfruttando la potenza e la velocità ma senza avere spesso uno schema mentale ragionato.
Una delle caratteristiche più interessanti della personalità di Roddick era quella di fare affidamento sulle proprie capacità, a prescindere dall’esito della scelta. Giocando contro Federer a Wimbledon, andava a rete frequentemente e, malgrado venisse passato dal giocatore elvetico, si ripresentava con l’obiettivo di fare meglio la volta successiva.

                    Uno dei servizi più efficaci nella storia del tennis

Per quanto riguarda il profilo tecnico, Roddick prediligeva le superfici veloci, essendo cresciuto sul cemento americano.
In carriera ha vinto 32 titoli ATP di cui 21 negli States, un torneo del Grande Slam (Us Open 2003) e 5 Masters 1000.
È stato anche numero 1 del mondo, sebbene, giocatori più forti come Federer e Nadal gli abbiano precluso maggiore fortuna, specialmente Federer in quel di Londra che negò al tennista americano il sogno di vincere Wimbledon, almeno una volta in carriera (la più eclatante fu nel 2009 quando Roddick perse al quinto set per 16-14).

Fuori dal contesto sportivo, Roddick è un ragazzo alla mano. Le numerose conferenze stampa sono la prova di quanto fosse disponibile e simpatico con i giornalisti.

Un’altra caratteristica di Roddick? L’imprevedibilità. Annunciò il ritiro dal circuito durante quello che fu il suo ultimo Us Open, all’età di 30 anni. Nessuno l’avrebbe mai immaginato, anche perchè era ancora nel pieno della forma fisica e dell’affermazione nei tornei.

Quello che rimane di un giocatore come Roddick è il grande trasporto verso uno sport nel quale ha vinto tanto e nel quale, paradossalmente, avrebbe potuto vincere molto di più, se non fosse stato per un grande Federer ad impedirgli la conquista di tre edizioni di Wimbledon e di un altro Us Open.

Federico Bazan © produzione riservata

Tanti auguri Roger!

Non è facile descrivere a parole la grandezza e l’unicità di un atleta che ha lasciato e lascerà per sempre il segno nella storia del tennis e dello sport. Non è facile perchè quando si parla di Federer, non sai mai da dove iniziare.

Si può elogiare Roger per diversi aspetti: lo stile di gioco; la decade di avversari sconfitti (dal ’98 ad oggi: per intenderci, da Sampras a Djokovic); il numero di trofei conquistati (86 di cui 17 tornei del Grande Slam); la grande generosità che lo distingue fuori dal contesto sportivo.

Federer completa il tennis con delle qualità inedite: classe nella forma, eleganza nei gesti, completezza nei colpi, compostezza in campo.

Lo svizzero è un campione dentro e fuori dal campo.
Dentro perchè è riuscito ad imporre uno stile di gioco che è poesia per gli occhi di tutti. Probabilmente la sua più grande capacità è stata quella di abbinare al tennis classico, un’eleganza sopraffine e una completezza nel repertorio di colpi di cui nessun altro dispone.
Non c’è una cosa che Federer non abbia vinto, se si escludono gli Internazionali di Roma, il torneo di Montecarlo e le Olimpiadi in singolare, gli unici tre taboo dello svizzero.

Anche fuori dal campo, l’elvetico ha dato un forte contributo. Tra le sue iniziative di maggior rilievo, ricordiamo la “Roger Federer Foundation”, un’associazione che ha l’obiettivo di aiutare le famiglie in Africa (in Botswana, Malawi, Namibia, Zambia, Zimbabwe, Sud Africa), dando ai bambini l’opportunità di avere un’istruzione.

“Tre parole mi descrivono: autentico, modesto e leale. Una citazione che mi si addice: It’s nice to be important, but it’s more important to be nice” (cit. Roger Federer).

 

  Federico Bazan © produzione riservata

Daria Gavrilova, una grande rivelazione del circuito WTA

                                                     Daria Gavrilova, una giocatrice stravagante

Il cammino di Daria Gavrilova agli Internazionali di Roma ricorda molto da vicino i risultati in progressione di Simona Halep, archiviati dalla giocatrice rumena proprio al Foro Italico, nel 2013, partendo dal girone di qualificazioni. La Halep arrivò in semifinale, perdendo con onore dalla numero 1 del mondo Serena Williams. Quell’edizione degli Internazionali sancirono la consacrazione della tennista romena; le sarebbero bastate pochissime settimane per entrare tra le prime dieci del mondo e per competere ad armi pari con le big del tennis femminile. Attualmente è la numero 2, il che lascia presagire i grandi passi da gigante compiuti nel giro di pochi anni.


Ebbene, il copione sembra lo stesso anche per Daria Gavrilova, 21 anni, russa di nascita ma australiana di cittadinanza acquisita.

Un po’ come la Halep, di lei nessuno sapeva nulla prima degli Internazionali di Roma, fin quando, la giovanissima australiana ha messo in mostra tutte le sue qualità; qualità non solo tecniche, ma anche caratteriali.

La Gavrilova ha fatto vedere in campo una personalità niente male. Esuberante e combattiva, provenendo dalle qualificazioni del torneo capitolino, la giovane australiana ha liquidato in sequenza: Silvia Soler Espinosa, Belinda Bencic, la numero 7 del mondo Ana Ivanovic in una maratona durata quasi tre ore e conclusasi al tie-break del terzo, Timea Bacsinszky (numero 24), Christina McHale fino a raggiungere il penultimo atto del torneo, sconfitta per mano di Maria Sharapova.

La Gavrilova non è passata inosservata per il suo tennis stravagante. Giocatrice rapidissima negli spostamenti laterali, straordinaria in fase difensiva; riprende tutto, anche palle apparentemente impossibili.
Il suo tennis tende a mandare fuori palla le avversarie in quanto predilige traiettorie con varie velocità: palle arrotate, lente, alte e profonde; è una giocatrice che ama spezzare il ritmo durante lo scambio.

Il destino di questa giocatrice sembra molto simile a quello della Halep anche se, al momento, la giovanissima australiana dovrà confermare le aspettative. Quello agli Internazionali è stato un autentico exploit per la Gavrilova. Vedremo se continuerà a dare del filo da torcere alle big del circuito WTA…

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Borna Coric, un asso promettente del circuito ATP

        Borna Coric premiato come promessa del tennis negli anni a venire

Borna Coric, classe ’96, è una stella nascente del tennis croato. A soli 18 anni, il giovanissimo giocatore nativo di Zagabria, ha mostrato delle potenzialità incredibili del suo tennis battendo l’ex numero 1 del mondo Rafael Nadal e giocatori del calibro di Ernests Gulbis, Jerzy Janowicz e Andrey Golubev.
Il croato sembra continuare imperterrito su questa scia pazzesca del suo rendimento. Ha recentemente fermato la corsa di Andy Murray nel torneo di Dubai e ha avuto l’onore di sfidare Roger Federer, pur perdendoci.

Nessun altro giocatore oltre a Coric, ad eccezione solamente di Nick Kyrgios (tennista australiano classe ’95) che ha sconfitto proprio Nadal sull’erba londinese di Wimbledon, è riuscito, a soli 18 anni, ad imporsi su almeno due top 5, come Murray e Nadal.

Vincitore di cinque tornei Futures e di un torneo Challenger, attuale numero 84 del ranking ATP sebbene con ampi margini di miglioramento, Coric ha già fatto parlare di sè e non solo all’interno del circuito ATP.
Sui social network in tanti ne hanno esaltato e ne esaltano il potenziale. Insieme ai vari Thiem, Goffin, Kyrgios e Zverev, Coric vanta molteplici requisiti che lo possono portare all’affermazione nel circuito maggiore.
Di esperienza nel tour, Coric ne ha ancora relativamente poca ma il livello di tennis espresso fino a questo momento lo rende uno dei grandi favoriti negli anni a venire.

Il tennis di Borna Coric è un mix di esplosività e carattere, un gioco stilisticamente moderno basato su scambi da fondo campo e con pochissime variazioni.
Sotto il profilo tecnico, i punti di forza del croato sono il servizio e il rovescio. Il rovescio, in particolare, giocato con una presa bimane, permette a Coric di spingere la palla a velocità impressionanti, tanto sulla diagonale, quanto sul lungo linea. E’ un colpo rapido, preciso e penetrante che il croato sente molto nelle corde.
La prima di servizio è una sassata e anche con la seconda non scherza.

Uno dei punti deboli del croato è il dritto, colpo piuttosto vulnerabile. Il dritto viene giocato da Coric con un’impugnatura abbastanza aperta che lo costringe a ruotare molto il busto e a sfruttare maggiormente l’avambraccio per imprimere top spin alla palla. Il suo dritto ha più rotazione e meno spinta rispetto al rovescio. Tra i due fondamentali da fondo campo è probabilmente il meno incisivo.

Coric ha un talento innato e un carattere che contribuisce non poco a renderlo un giocatore ostico. Se a queste doti, il tennista croato acquisisse una maggiore esperienza sul campo e una conoscenza più approfondita degli avversari, aggiungerebbe dei vantaggi non indifferenti al suo tennis. E’ un giocatore in fase di lavorazione, in parte già predestinato.

Federico Bazan © produzione riservata

Tommy Haas e Juan Martin Del Potro, due grandi campioni perseguitati dagli infortuni

                  Tommy Haas: grinta, forza di volontà, dedizione

Appartenenti a due generazioni diverse, Haas del ’78 mentre Del Potro classe ’88, il tedesco e l’argentino sono due giocatori dallo stile di gioco divergente, provenienti da una scuola tennis differente ma entrambi accomunati da un destino profondamente avverso per via dei numerosissimi infortuni.

Facendo un confronto professionale e tecnico, si può annoverare Haas tra i vecchietti considerata l’età di 35 anni e l’onnipresenza nel circuito maggiore, dal 1996 ad oggi. Si direbbe di Haas un tennista di altri tempi, un giocatore che ha affrontato Michael Chang e Andre Agassi, passando per Roger Federer fino ad arrivare a Grigor Dimitrov. Il tedesco gioca il tennis classico, poche rotazioni, rovescio ad una mano, movimenti brevi.

Del Potro, più giovane di dieci anni rispetto al collega tedesco, ha esordito nel 2005. L’argentino gioca un tennis moderno, molto fisico e potente. Il giocatore di Tandil ha tra le sue specialità un’apertura “alare” sul dritto che gli consente, dall’alto dei suoi 198 cm, di far viaggiare la palla in una maniera impressionante. E il servizio non è da meno, specialmente la prima palla.

Haas e Del Potro sono due professionisti dal talento stellare, giocatori che avrebbero potuto vincere molto di più, se solo il tennis si fosse comportato in maniera più generosa con entrambi. Haas, durante la propria carriera, è stato alle prese con avvenimenti molto delicati: dapprima un tragico incidente in moto, nel quale Peter Haas, padre del tennista di Amburgo, rimase coinvolto in vacanza con la moglie e che lo vide su un letto, in coma, a lottare tra la vita e la morte, avvenimento che costrinse il figlio a ritirarsi dal torneo di Wimbledon per andare negli Usa a trovare la sua famiglia; poi i continui problemi alla spalla che il tennista tedesco dovette affrontare con svariati interventi chirurgici, le distorsioni alla caviglia, la displasia all’anca e il gomito usurato.

                                Juan Martin Del Potro: un talento frastornato

Nel 2003 Haas sprofondò addirittura alla posizione numero 1086 della classifica ATP; appena un anno prima, raggiunse il suo best ranking alla posizione numero 2, dopo aver perso la finale degli Internazionali di Roma contro Andre Agassi per 6-3, 6-3, 6-0. Ma le annate travagliate per il giocatore bavarese non finirono lì. Nel 2010, ancora una volta, fu la spalla ad estromettere dal circuito il povero Haas e nel 2011, come se non bastasse, il giocatore di Amburgo vide sfumare tutti gli sforzi prodotti negli anni, uscendo sistematicamente dalla classifica ATP. Queste disgrazie, avveratesi una dopo l’altra, lasciarono intendere un ritiro definitivo dal tennis da parte del giocatore bavarese ma Tommy Haas, sempre assistito per tutta la carriera da una forza di volontà ferrea, smentì le previsioni comuni riprendendo l’attività.

Il tedesco ha visto se stesso come in un ritratto, sprofondare, perdere lo smalto del campione e poi ritornare a galla da gran lottatore quale è. Malgrado i dolori infiniti procurati da una carriera tutt’altro che rassicurante, Haas si è sempre distinto per aver avuto il coraggio di tornare a giocare, desideroso di riaffermarsi, affamato più che mai di vittorie. E il tedesco è riuscito incredibilmente a raggiungere i suoi obiettivi. In seguito alle annate difficili, Haas, tornato all’opera, si impose nel torneo di Halle (battendo in finale Roger Federer), Monaco di Baviera e Vienna, a dimostrazione di quanto non abbia mai smesso di credere nelle proprie potenzialità.

Un destino simile a quello del tedesco ce l’ha avuto anche Juan Martin Del Potro. Il gigante di Tandil, per gli amici “Delpo”, ha combattuto a più riprese con diversi infortuni, prima al ginocchio e poi al polso. L’argentino è uscito spesso di scena dal campo in lacrime ma non ha mai perso la speranza di tornare a competere. Un giocatore sfortunato perchè vinse il suo primo e, fin’ora, unico torneo del Grande Slam nel 2009, gli Us. Open, e l’anno dopo non potè continuare su quella scia inedita del suo gioco per problemi di natura fisica, sprofondando, a suo malgrado, alla posizione numero 485 del ranking ATP.

Del Potro non si è mai dato per vinto e ha ripreso l’attività rientrando tra i primi dieci del mondo. Diciotto i titoli vinti dal tennista di Tandil, seppur tra immensi psicodrammi. Tante le attese e tante le conferme ma altrettanti gli imprevisti. Tra questi e tra gli ultimi, l’infortunio gravissimo al polso che l’ha costretto a ritirarsi dal circuito per un anno intero. Ancora oggi, malgrado l’anno peggiore della carriera di Del Potro sia passato, le condizioni fisiche dell’argentino risultano piuttosto incerte. Il 2014 sembrava partito alla grande per Del Potro. Il gigante di Tandil si impose nel primo torneo della stagione, a Sydney, su Bernard Tomic per 6-3, 6-1; poi accusò un dolore al polso sinistro nel torneo di Dubai. Si ritirò e di lui non si sentì più parlare per mesi.

Ogni tanto Delpo ha tenuto aggiornati sui social network i suoi fan con messaggi di rassicurazione circa le proprie condizioni fisiche. L’argentino ha dichiarato: “Non sono al 100% delle mie capacità. Preferisco affrontare questo tempo di recupero con più pazienza e prepararmi interamente per il 2015. Mi allenerò questi mesi mettendoci tutta la grinta per tornare ad essere protagonista del circuito nel 2015. Ci tengo a dirvi che l’appoggio, i messaggi di incoraggiamento e la costante preoccupazione di tutti voi sono e saranno fondamentali durante tutto il cammino di recupero. Vi ringrazio profondamente e sono sicuro che l’anno che verrà potrò ricambiare”.

Haas e Del Potro sono due vincitori che non hanno mai smesso di sognare, due giocatori che non hanno mai mollato malgrado gli ostacoli della vita… due campioni ammirevoli.

Federico Bazan © produzione riservata

Andrada Surdeanu, ragazza di 16 anni picchiata in campo dal padre per una partita di tennis

                       Andrada Surdeanu, 16 anni, stella nascente del tennis rumeno

Di fronte a certi avvenimenti, come quello che vede un padre picchiare una figlia per una banalissima partita di tennis, è impossibile rimanere imparziali e far finta che non sia successo niente.

Il tennis è uno sport che può regalare tanto e chi lo pratica sa quante emozioni, positive o negative, comunica; quanti traguardi ci pone nella vita; quanta voglia di divertirsi può trasmettere alle persone, come del resto qualsiasi altro sport per il quale si è innamorati.
Fondamentalmente ci sono sue modi di approcciarsi allo sport: divertendosi senza voler raggiungere chissà quale risultato oppure giocando a livello agonistico. La competizione, a sua volta, può essere sana e costruttiva oppure patologica e distruttiva a seconda di come siamo fatti caratterialmente, qual’è il livello di importanza che diamo alle cose e alle persone, quali sono i nostri obiettivi in termini di rendimento.
Se sana e costruttiva, porterà a dei benefici come il fair play, la stima reciproca, l’apprezzamento per la partita e per il livello di gioco;
se patologica e distruttiva, la competizione può alimentare stati di tensione, dare adito a discussioni, insulti e addirittura risse, com’è successo a giocatori del circuito ATP come Daniel Koellerer, noto per essere uno dei più grandi provocatori che la storia del tennis abbia mai avuto.
Koellerer, in passato, è stato autore di vere e proprie risse che l’hanno visto stuzzicare ripetutamente gli avversari e poi, non di rado, vincere la partita dopo esser stato picchiato e quindi aver subito in proprio favore una squalifica inflitta all’avversario, per la pazienza venuta a mancare da parte di quei giocatori che non ce la facevano più a sentirlo parlare.
Di avvenimenti eclatanti ce ne sono stati svariati; tra questi, la rivalità tra Lleyton Hewitt e Guillermo Coria, sfociata in una partita di Coppa Davis e colorita di “fuck off” e pallate dirette a colpire l’avversario.

  Una ragazza indifesa di fronte alle mani di un padre, difeso dalla stessa

Considerati anche questi eventi spiacevoli che certamente ledono l’immagine di uno sport originariamente “signorile” come il tennis, sarebbe bello approcciarsi allo sport con la racchetta in maniera più educata e riservata senza eccedere nelle reazioni e senza alimentare la rabbia dell’avversario. L’educazione e il rispetto verso l’avversario è senz’altro al primo posto ma anche il divertimento, l’allegria di giocare e lo stare insieme.

Il solo pensare: “Io sto vivendo il tennis e non è il tennis che vive di me ed è dentro di me” è la filosofia migliore per intendere uno sport, una passione, un gioco soprattutto.
Dall’altro lato, vivere solo di tennis e il fatto che tutto debba dipendere dal rendimento personale, è la visione eccessiva, errata.
Il tennis, specie se ad alti livelli, può essere uno sport molto generoso perchè quando si è al vertice, si ha una reputazione di un certo tipo e si è ben pagati (e non solo per i tornei, ma anche per i vari sponsor, spot e contratti) ed ecco qua che la vita diventa uno spasso. Nonostante questo, il tennis non è tutto. La famiglia, gli amori e le amicizie prima di tutto, poi viene il resto.

Il problema in questione sorge quando si da tanta, troppa importanza all’agonismo ignorando tutto ciò che è fuori dal rettangolo di gioco.
Perdere completamente il lume della ragione, per una banalissima sconfitta in una banalissima partita, non è un problema qualunque ma una questione sulla quale riflettere seriamente.
Questa è la storia che, purtroppo, ha coinvolto Andrada Surdeanu, 16 anni, futura promessa del tennis rumeno, la quale è stata schiaffeggiata brutalmente e senza pietà dal padre al termine di un incontro di un torneo in Israele. Lei si è piegata in ginocchio, perdeva sangue dal naso per la botta subita; queste le sue parole in seguito all’accaduto: “Mi sono messa in ginocchio ed ho messo le mani sulla faccia, in modo che non sarebbe stato più in grado di colpirmi. Mi è uscito sangue dal naso, ero spaventata e tremante”.

Questo racconto tocca molto nel profondo il cuore di tutti, praticanti e non. Una ragazza indifesa di fronte ad un padre spietato, una figlia che meriterebbe tutto l’amore, la comprensione del mondo e invece viene maltratta senza dignità davanti a tutti, peggio di una bestia.

Ma c’è dell’assurdo in questa storia: la Surdeanu ha giustificato l’atteggiamento del padre dicendo che ha fatto bene a punirla.
E qui non ci sto. Fossi stato nei panni di quella povera ragazza, non solo avrei cambiato coach e non gli avrei fatto vedere mai più una partita, ma probabilmente l’avrei disconosciuto come padre. Anzi, senza probabilmente.
E non c’entra niente il fatto che la Nazione in questione fosse la Romania e non magari la Germania o l’Inghilterra. Immaginate quanti altri episodi del genere, di violenza gratuita verso un figlio, si sono verificati e si verificano in qualsiasi Paese, all’ordine del giorno, in campetti insignificanti tra genitori che pretendono che i figli siano sempre i primi della classe.

E vi dirò di più. Chi crede che un episodio di violenza, di aggressione fisica e psichica di questo tipo possa essere giustificato o si possa far finta che non sia successo niente, sta commettendo un grave errore perchè un padre come Lucian Surdeanu andrebbe punito in proporzione al gesto compiuto ma soprattutto tenuto a distanza per sempre dal mondo del tennis, per la salute della figlia e di chi le vuole veramente bene.

Federico Bazan © produzione riservata

Il talento cristallino di Kei Nishikori

Il massimo rappresentante del tennis nipponico è Kei Nishikori, un’autentica icona nel panorama degli sport con la racchetta per quel che riguarda il continente asiatico. Nishikori è il primo detentore della storia tra le file dei tennisti giapponesi ad essersi aggiudicato quattro tornei ATP 500 e tre ATP 250, eliminando peraltro avversari di un certo spessore come Feliciano Lopez e Ivo Karlovic.

Il 5 ottobre 2014 il giapponese ha archiviato il suo settimo titolo in carriera battendo in finale Milos Raonic nel torneo di casa, a Tokyo, vincendolo per la seconda volta dopo la conquista nel 2012 dove aveva sconfitto sempre il canadese, su quello stesso campo. Da lì, in pochi anni, il giapponese ha scalato tantissime posizioni nel ranking, diventando uno dei giovani più promettenti del circuito ATP.

Nishikori è il primo tennista asiatico della storia ad aver raggiunto una finale in un torneo del Grande Slam, agli Us Open 2014, dove fu fermato da un fenomenale Marin Cilic. E’ stato uno dei pochi, e non solo tra i tennisti asiatici, ad aver messo in serie difficoltà Rafael Nadal sulla terra battuta in una partita poi vinta dal maiorchino a causa del ritiro del giocatore di Matsue, sempre quest’anno, nel turno conclusivo di Madrid. Nishikori interpretò alla grande quella finale conducendo 6-2 nel primo parziale e dominando un Nadal indifeso di fronte alla tenacia e alla preponderanza del gioco del nipponico; Nishikori nel terzo set accusò un problema di natura muscolare e consentì di fatto a Nadal, seppur tra innumerevoli ed inaspettate difficoltà patite contro un avversario davvero ostico come il giapponese, di sollevare il trofeo del Mutua Madrid Open.

                                             Dritto di Nishikori – western grip

Dal punto di vista tecnico, Nishikori ha diverse qualità tra le quali la velocità di esecuzione e la rapidità negli spostamenti laterali. Il suo tennis è straordinariamente dinamico: il rovescio è un colpo sul quale fa affidamento dal momento che è un fondamentale con cui trova profondità e angoli stretti del campo mentre il dritto gli esce dalle corde meno teso e leggermente più carico anche per via del grip piuttosto aperto (vedi foto a sinistra). Pur non essendo un giocatore altissimo, serve molto bene e, grazie al servizio, si costruisce al meglio gli scambi da fondo campo con l’obiettivo di togliere il tempo all’avversario. Inoltre Nishikori ha nella risposta al servizio un’arma sulla quale contare visto che non è un giocatore attendista o al quale piace palleggiare aspettando un eventuale errore da parte dell’avversario ma è un giocatore piuttosto offensivo e che cerca il punto muovendo molto la palla.

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