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Il riscatto del tennis italiano

Il 2018 è iniziato con il botto per il movimento del tennis italiano, soprattutto nel maschile, con:

  • Fabio Fognini, che ha raggiunto le semifinali a Sydney, gli ottavi agli AustralianFabio Fognini Open e soprattutto ha portato tre punti preziosi all’Italia di Davis nella trasferta contro il Giappone, regalando, praticamente da solo, l’accesso ai quarti di finale alla formazione capitanata da Corrado Barazzutti. Giocando tre partite da titolare, di cui i due singolari contro Daniel e Sugita, vinti al quinto set, e il doppio in coppia con Bolelli, il tennista ligure ha speso un totale di dodici ore consecutive in campo. Un Fognini eroico, che si è caricato sulle spalle l’impresa di vincere tre partite, peraltro in una trasferta, all’apparenza semplice per l’assenza di Kei Nishikori, ma nei fatti molto complessa per il tennis insidioso che i giapponesi hanno messo in mostra e anche per delle condizioni di gioco non propriamente favorevoli agli azzurri. Merito che va anche a Simone Bolelli, dove nel doppio risulta ormai, per Barazzutti, una garanzia, in coppia con il tennista di Arma di Taggia. Fognini che, a seguito delle prestazioni di livello giocate nella tournée australiana, risale in cattedra alla posizione 22 della classifica, con buone possibilità, da qui ai prossimi mesi, di tornare nei primi 20 del mondo.
  • Andreas Seppi, che, malgrado la sconfitta in Coppa Davis contro Sugita, ha avuto un cammino simile a quello di Fognini agli Australian Open, dove si è fermato agli ottavi di finale contro la sorpresa dello Slam australiano, Kyle Edmund, semifinalista del torneo. L’altoatesino, che si trova particolarmente a suo agio con il primo Slam dell’anno, ha sempre raggiunto ottimi piazzamenti agli Open di Australia dove, come miglior risultato, vanta i sedicesimi di finale in quattro occasioni (2013, 2015, 2017 e 2018) e dove, tra l’altro, detiene l’unica vittoria contro Roger Federer (su un totale di 14 scontri diretti con lo svizzero).
  • Il giovane tennista azzurro Lorenzo Sonego, che compie l’exploit: il torinese, 22 anni, ha esordito per la prima volta nel circuito maggiore, superando le qualificazioni degli Australian Open (battendo, tra gli altri, Bernard Tomic, ex top 20) ed entrando nel tabellone principale dove ha liquidato Robin Haase (numero 36 del ranking ATP) prima di arrendersi al secondo turno a Richard Gasquet. Prestazione maiuscola e sorprendente di Sonego, che ha buoni margini davanti a sè.
    Con le vittorie di Sonego – e anche con quelle recenti di Matteo Berrettini nel tabellone di qualificazioni a Melbourne e di Stefano Travaglia nei tornei 250 su terra – il tennis italiano, nel maschile, esce rinvigorito in termini di ricambio generazionale, a seguito di annate tutt’altro che brillanti. Sonego (173 ATP), Berrettini (130 ATP) e Travaglia (133 ATP), con le recenti comparse nei tabelloni dei tornei più importanti, possono ambire, da qui ai prossimi mesi del 2018, a fare il loro ingresso nei primi 100 del mondo. Dovranno però mantenere l’intensità e il livello di gioco espressi a inizio stagione.

    Quanto al circuito femminile, è Camila Giorgi l’attuale trascinatrice del movimento del tennis italiano. La tennista italo argentina ha dato prova che, se serena ed in fiducia, può battere agevolmente anche le grandi giocatrici. Pensiamo alla cavalcata straordinaria nel torneo di Sydney dove ha liquidato nettamente la vincitrice degli US Open 2017, Sloane Stephens, concedendole le briciole, per 6-3, 6-0; ha sconfitto la due volte campionessa di Wimbledon, Petra  Kvitová, per 7-6, 6-2; ha dominato per 6-1, 6-2 Agnieszka Radwańska (ex numero 2 del mondo); per poi perdere in semifinale contro la vincitrice del torneo, Angelique Kerber, probabilmente più per stanchezza di partite accumulate nelle gambe, che per demeriti (Camila, infatti, provenendo dal girone di qualificazione del torneo di Sydney, ha giocato sette incontri consecutivi).

    camila giorgi

    La Giorgi ha quindi cambiato qualcosa in meglio del proprio tennis e anche della gestione delle partite. Non è un caso che i progressi svolti siano emersi grazie al lavoro fatto con Andrei Kozlov, nuova figura nell’angolo della giocatrice azzurra che, dal 2018, affianca il padre Sergio Giorgi nei tornei WTA per seguire Camila.
    I progressi della Giorgi, in termini di maturità delle scelte tecnico-tattiche e di gestione della gara, potrebbero derivare proprio dal contributo apportato dallo stesso Kozlov, allenatore che gestisce un’accademia di tennis con sede in Florida e che cura da vicino il gioco della marchigiana. Durante il torneo di Sydney, Camila, da fondo campo, pur giocando numerose accelerazioni, sbagliava meno del solito, tirava i suoi colpi abituali ma senza il bisogno di forzarli tutti; ha difatti messo in mostra delle trame di gioco più logiche e meno istintive, che l’hanno premiata. Vedremo se continuerà su questa scia inedita del suo gioco e del suo rendimento. In molti, tra gli appassionati, se lo augurano, anche perché la Giorgi ha ancora il tempo per bissare traguardi più grandi di quelli raggiunti fino adesso. Per farlo, sarà però necessario il sostegno di una figura di riferimento come può essere Kozlov, che la aiuti a darle fiducia e serenità.

    Facendo un’analisi più generica del tennis italiano al femminile, a parte la Giorgi, non vi sono all’orizzonte grandi promesse, o quantomeno giocatrici che, ad oggi, possano entrare nella top 100, considerando anche il fatto che l’attuale numero due del tennis femminile, in Italia, è Francesca Schiavone (che si trova più o meno stabilmente tra le 90 e le 100 del mondo e che ha comunque una certa età rispetto alle giovanissime) e, a seguire, lontano dalle prime 100, una Errani, vittima di un crollo netto nel rendimento dopo la vicenda doping, e una Vinci ormai sul viale del tramonto.
    La vera crisi a cui è andato incontro il movimento del tennis femminile in Italia si è aperta con il ritiro di Flavia Pennetta. Non è un caso se, da quel momento, la Errani e la Vinci siano sprofondate stagione dopo stagione, torneo dopo torneo. E il fatto curioso è che, sebbene la Schiavone, la Errani e la Vinci non riescano più ad agguantare i successi ottenuti all’epoca, rientrano comunque tra le prime quattro giocatrici del tennis italiano, dietro alla Giorgi, stando alla classifica FIT; questo è sintomatico del fatto di come le giovani tenniste azzurre, nate negli anni ’90, facciano davvero fatica ad emergere e di come, contrariamente al maschile, non si possa oggi parlare di un avvenuto ricambio generazionale del tennis femminile. Ne consegue, quindi, una squadra di Fed Cup non irresistibile, trascinata al momento dalla sola Giorgi e da una Errani che non può più contare sui doppi giocati in coppia con la Vinci, ormai ritiratasi dalla squadra di Fed Cup.
    Si sono dunque invertite le parti: se un tempo erano Pennetta, Schiavone, Errani e Vinci a tenere alto l’orgoglio della Federazione Italiana Tennis, ad oggi lo stanno difendendo Fognini, Seppi e i nuovi emergenti, insieme ad una Giorgi che fa vedere sprazzi di tennis da top player.

Federico Bazan © produzione riservata

Fabio Fognini e quei colpi da primi 10 del mondo

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Si parla spesso di come l’attuale numero 1 del tennis italiano, Fabio Fognini, possa valere una classifica tra i primi 10 giocatori del mondo, per l’immenso talento e i progressi raggiunti nel corso degli anni. Sono supposizioni fondate se consideriamo che Fognini è il primo tennista italiano, solo dopo Adriano Panatta, a vantare un bilancio di almeno 3 vittorie a livello ATP contro due top ten: contro Rafael Nadal, battuto al terzo turno agli Us Open, nella semifinale del torneo di Rio e agli ottavi del torneo di Barcellona (2015); contro Andy Murray, liquidato nettamente dal ligure, con un doppio 6-2 all’allora Masters Series del Canada (2007, quando entrambi avevano 20 anni), nei quarti di finale di Coppa Davis a Napoli (2014) e al secondo turno degli Internazionali di Roma (2017). Curioso notare come Fognini, le tre volte che ha battuto Murray, non gli abbia mai concesso nemmeno un set.

Non ci sono solo le statistiche a confermare il fatto che Fognini possa realmente ambire a grandi traguardi contro grandi campioni, non che lo abbia già fatto… il tennista di Arma di Taggia dispone, infatti, di diverse frecce al proprio arco dal punto di vista tecnico-tattico che potrebbero portarlo ad essere stabilmente un top ten: il talento, inteso come l’insieme delle qualità innate del gioco di Fabio: di base Fognini è un artista della racchetta, il che vuol dire che ha un’inventiva e un repertorio di colpi molto vasto; la capacità di adattarsi al gioco dell’avversario: Fognini è in grado di spingere la palla quando attacca ma anche di contenere in fase difensiva le accelerazioni dell’avversario, grazie ad una grande mobilità negli spostamenti laterali e frontali (vi invito a cliccare sotto sul link “video di elogio” e guardare i punti contro Federico Delbonis, dove vedrete la velocità di gambe di Fognini); la no chalance nel portamento del colpo, il che rende Fognini un giocatore particolarmente duttile alle circostanze.
Non solo. Potremmo parlare della facilità con la quale il ligure accelera la palla, attraverso un’apertura breve, secca, veloce del diritto, quasi come se mascherasse le direzioni e di un rovescio bimane che va da solo nella sua naturalezza.
Tra le altre doti del tennista di Arma di Taggia vi è la sensibilità nel tocco: Fabio è un maestro delle palle corte e delle volèe stoppate.

In questo video di elogio al tennista ligure, abbiamo la dimostrazione di quanto appena descritto del gioco di Fognini.

Le qualità del numero 1 del tennis italiano non finiscono qui. Un’altra caratteristica importante di Fognini è l’intelligenza tattica. Guardate attentamente i punti dove Fabio comanda gli scambi. La logica di gioco nella conquista di un qualsiasi punto vinto dal ligure è corretta. Fa correre gli avversari per poi procurarsi il colpo a chiudere.

Se Fognini fosse stato un giocatore acerbo, immaturo, privo di testa, non sarebbe mai arrivato dove si trova attualmente, non sarebbe mai stato 13 del mondo, non avrebbe mai potuto battere Nadal e Murray. È altrettanto vero, però, che Fognini, per il tipo di gioco che ha, potrebbe fare molto meglio di chi invece, nel circuito ATP, ha dei limiti tecnici e mentali a causa dei quali non può emergere ai vertici. Il fattore che probabilmente fa la differenza a quei livelli sta nella testa, ovvero nella convinzione e nella capacità di sapersi gestire. Ma Fabio è così: lui è o prendere o lasciare.

Federico Bazan © produzione riservata

Bilancio del tennis italiano relativo alla stagione 2016

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Il tennis italiano, maschile e femminile, ha vissuto un 2016 in progressivo declino se si va ad analizzare nel merito quanto accaduto nei singoli tornei disputati, in termini di statistiche (vittorie / sconfitte), punti ottenuti, posizioni nel ranking e trofei vinti.
Il 2016 è stata una stagione positiva per il tennis femminile, solo in un primo momento, con le rispettive vittorie di Roberta Vinci a San Pietroburgo, Sara Errani a Dubai e Francesca Schiavone a Rio, arrivate tutte nel mese di febbraio. Da quel periodo di auge in poi, fino a fine stagione, se si esclude l’ottima cavalcata della Vinci agli Us Open (dove la tarantina ha raggiunto i quarti di finale perdendo dalla attuale numero 1 del mondo Angelique Kerber), le tenniste italiane non sono mai riuscite a trovare quella continuità nelle vittorie che hanno consentito loro, in passato, di superare sfide importanti.

Entrando nello specifico, Sara Errani che vanta come best ranking la sesta posizione, aveva cominciato l’anno da numero 20 del mondo e, in seguito al successo ottenuto nel torneo di Dubai, aveva raggiunto la posizione numero 16. Ha chiuso però la stagione da numero 49, perdendo così 33 posizioni e 1345 punti. Errani che nel 2016, a parte il torneo di Dubai, non ha mai superato il terzo turno in nessun’altra competizione, comprese le prove del Grande Slam.

Meno negativa è la situazione riguardante Roberta Vinci, che ha aperto la stagione da numero 15, raggiungendo come best ranking la posizione numero 7, in seguito al trionfo conseguito nel torneo di San Pietroburgo; la tarantina ha tuttavia chiuso l’anno da numero 18 del ranking. La Vinci ha quindi perso 11 posizioni rispetto al suo risultato annuale massimo e ha vanificato la conquista di 3550 punti (picco raggiunto dopo la vittoria di San Pietroburgo) perdendone, similmente alla Errani, 1340 nel computo finale.

Francesca Schiavone ha avuto un sussulto di orgoglio con la vittoria nel torneo di Rio e, sebbene sia rientrata nella top 100, bissando la posizione numero 88 del ranking da numero 114 di inizio anno, ha chiuso la stagione da 103, uscendo nuovamente fuori dalle prime cento giocatrici del mondo. Nota di merito a parte, invece, per quel che riguarda il punteggio: a gennaio 2016 la tennista milanese vantava 541 punti. Ha concluso la stagione con 642 punti all’attivo, guadagnandone così 101.

Discesa netta per quanto riguarda il rendimento di Camila Giorgi che da numero 35, ha concluso il 2016 alla posizione numero 82. La marchigiana ha perso 47 piazze e 556 punti. Giorgi che, a parte il torneo di Katowice dove ogni anno si esprime al meglio, non ha mai superato un terzo turno in tutta la stagione.

Stando dunque alle statistiche e ai dati di fatto emersi dai calcoli, il tennis femminile sta attraversando un momento buio, considerando, non in ultima istanza, il ritiro di Flavia Pennetta.

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Quanto al tennis maschile, sono da evidenziare gli sforzi profusi da parte di Paolo Lorenzi che è l’unico giocatore azzurro, tra i nomi più noti, che ha chiuso il 2016 con un bilancio positivo, nel ranking, nel punteggio e nei risultati. Il senese, infatti, da numero 68, ha concluso la stagione in bellezza piazzandosi alla posizione numero 40 e guadagnando 365 punti complessivi.

A parte Lorenzi, Fabio Fognini ha perso 28 posizioni ed, infatti, da 21 del mondo, è sceso a 49. Ha avuto sì delle prestazioni degne di nota, se pensiamo alla vittoria nel torneo ATP 250 di Umago e alla finale raggiunta nell’ATP 250 di Mosca, ma minimamente paragonabili al Fognini sensazionale del 2013.

Momento nero anche per Andreas Seppi che ha perso 58 piazze in classifica e 695 punti. Da numero 29 del ranking, l’altoatesino ha chiuso la stagione al numero 87, smarrendo quella solidità e continuità nel rendimento che lo hanno sempre distinto.

Infine, periodo particolarmente sfortunato per Simone Bolelli che ha giocato solo metà stagione per via di un infortunio che lo ha tenuto fuori dal mese di giugno ad oggi. Non giocando più, naturalmente, da numero 58, il tennista di Budrio è sprofondato alla posizione numero 464 del mondo.

Se si fa eccezione per Paolo Lorenzi e Francesca Schiavone che sono gli unici due tennisti, tra i nomi di spicco, a vantare un bilancio stagionale positivo in termini di punti, il movimento del tennis italiano avrebbe bisogno di una reazione generale, di una scossa che fin’ora non si è vista. Le nuove generazioni composte da Matteo Berrettini, Matteo Donati, Martina Trevisan, Jasmine Paolini stanno crescendo a poco a poco ma al tempo stesso stentano nel farsi notare nelle competizioni di maggiore prestigio. Se è vero che ogni cosa arriva a suo tempo, è altrettanto vero che, rispetto agli anni passati, il tennis italiano sta vivendo un periodo di stasi evidente.

Federico Bazan © produzione riservata

La differenza tra chiamarsi campione e buon giocatore

 Rafa Nadal: l’esempio del campione per eccellenza

A tutti voi, amanti del tennis, sarà capitato di vedere giocare in tv o dal vivo i grandi campioni e vi sarete chiesti come facciano a tenere costantemente quel ritmo elevato, a giocare senza arrendersi mai, a lottare su ogni palla. Si dice che la forma fisica sia essenziale per essere al 100% ma in realtà, per essere al meglio, non bastano solo tanto allenamento, delle ottime leve, un braccione e un buon fiato, perchè infatti ciò che fa veramente la differenza in questo sport è la forza mentale. Per forza mentale si intende non solo la grinta, la determinazione e la concentrazione che sono componenti fondamentali per una buona riuscita ma soprattutto la capacità di gestire le emozioni. Se ci fate caso i giocatori più forti del mondo come Rafa Nadal, Roger Federer e Nole Djokovic sono in grado di trattenere o gestire al meglio le proprie emozioni, evitando di esaltarsi e continuando a “rimanere con i piedi per terra”, metodo che consente loro di vincere più agevolmente. Inoltre, scacciando via possibili ansie e tensioni che limiterebbero notevolmente il rendimento, i migliori tennisti hanno quella calma interiore che gli consente di giocare bene in situazioni sia di vantaggio che di svantaggio. L’umiltà e la serenità sono quindi i due punti di svolta dei grandi campioni insieme ad altri importanti fattori come la voglia di vincere (che si distingue dalla fretta di chiudere la partita e dalla consapevolezza di vincere, problemi che pagano molti giocatori), il sacrificio, la fatica e la perseveranza. Rafa Nadal e sua maestà Roger Federer, non a caso, detengono rispettivamente 11 e 17 titoli dei grandi slam.
Abbiamo parlato dei campioni, adesso parliamo dei buoni giocatori. Dov’è il grande limite di tennisti talentuosi come il nostro Fabio Fognini, gli spagnoli Fernando Verdasco e Nicolas Almagro ed ex giocatori come il russo Marat Safin? E’ la testa. Infatti questi tennisti, i quali hanno ottenuto risultati di tutto rispetto sebbene incomparabili a quelli dei colossi del tennis come Rafael Nadal, Roger Federer, Novak Djokovic ed Andy Murray, sono stati traditi in più circostanze dal proprio temperamento che li ha notevolmente penalizzati durante la loro carriera.

                Nicolas Almagro: un combattente emotivo

Almagro perse clamorosamente contro Nadal nel torneo di Parigi Bercy nel 2009; quando il murciano si trovò avanti 6-3 6-5 (40-0) e servizio, si fece annullare 5 match points da un Nadal peraltro non al 100% per via del ginocchio e andò a perdere al terzo set; in un’altra partita disputata quest’anno tra Almagro e Haas nel torneo di Indian Wells, lo spagnolo, servendo per il match, si è fatto breakkare cedendo così al tedesco la battuta e perdendo la partita malamente al tie-break. Marat Safin, ex tennista russo ed attuale presidente del comitato olimpico russo, era noto per essere uno dei personaggi più simpatici del circuito e per essere, nel bene o nel male, uno dei più stravaganti in circolazione insieme al buon vecchio John Mcenroe. Safin era un altro tra quelli, uno che aveva talento da vendere e che era stato anche lodato dalle parole del pluricampione americano Pete Sampras, il quale rilasciò in un’intervista riferita al russo: “Questo ragazzo ha tutte le doti per rimanere saldamente per anni numero 1” e la risposta di quel simpaticone di Marat fu: “Io sono la prova che anche i geni sbagliano”. Oltre a Nico Almagro che manca di concretezza nei momenti decisivi e Marat Safin che faceva rompere racchette su racchette e perdeva le partite a causa di un nervosismo eccessivo, anche al nostro Fabio Fognini, capace di eseguire a Napoli in coppa Davis un esemplare controsmash in corsa contro il cileno Capdeville, manca lo spunto decisivo per essere un campione vero e proprio. Prima per colpa dell’arbitro o dei tifosi, poi per un presunto infortunio… alla fine il ligure, vuoi per una cosa vuoi per un’altra, ha rinunciato spesso ad esprimere il suo miglior tennis perdendo così match anche alla sua portata. Manca all’appello il terraiolo iberico Fernando Verdasco, una testa calda anche lui, che sarà sempre ricordato da tutti per aver insultato pesantemente Richard Gasquet ed il suo pubblico in terra francese nella finale di Nizza 2010, poi di fatto vinta dal tennista transalpino.

Insomma, se vogliono davvero diventare campioni o quantomeno fare un grande salto di qualità, tutti quei giocatori “tanta bravura ma niente cervello” dovrebbero darsi una calmata e lavorare con più pazienza.

                     Marat Safin: genio e sregolatezza

Federico Bazan © produzione riservata