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Il ricordo di Nicola Pietrangeli

Nicola Pietrangeli è stata e rimarrà un’istituzione dello sport con la racchetta, il primo tennista italiano a vincere il Roland Garros, nel 1959, a rivincerlo l’anno seguente, nel 1960, ed il primo Capitano non giocatore di Coppa Davis a portare l’Italia al successo, nel 1976, a Santiago del Cile.
Pietrangeli detiene diversi record nel palmarès, ad oggi ancora imbattuti:
– di tornei conquistati, in totale 48, che finora nessun altro tennista italiano è riuscito ad eguagliare numericamente;
– di partite giocate in Coppa Davis, 164, di cui vinte 120;
– di versatilità tanto nel singolare, quanto nel doppio, insieme a Orlando Sirola, con cui ha vinto il Roland Garros sempre nel 1959.

La mia foto con Nicola Pietrangeli ad un convegno sul tennis nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, nel 2014

Aldilà dei trofei che lo descrivono come uno dei più grandi campioni che il tennis italiano abbia mai avuto nella storia, Nicola Pietrangeli lascia una eredità all’intero movimento dello sport con la racchetta. A lui stesso è stato, infatti, intitolato uno dei campi più affascinanti del mondo, che si trova al Foro Italico, lo stadio Nicola Pietrangeli, proprio per il notevole apporto che egli stesso ha dato al tennis, e non solo italiano.
Mancheranno la sua ironia, le sue battute scherzose agli altri tennisti, la sua presenza fissa agli Internazionali BNL d’Italia nei vari campi con gli altri personaggi dello spettacolo.
Ricordo, personalmente, quando frequentavo l’Università degli Studi Roma Tre, il giorno in cui tenne un convegno sul tennis insieme a Adriano Panatta nel dipartimento di Giurisprudenza: era un continuo sfottò tra i due su chi fosse stato il tennista più influente in Italia. All’epoca il tennis, infatti, era molto più chiacchierato, quasi da “salotto”, e le battute tra Pietrangeli e Panatta ne erano l’esempio più calzante.

L’autografo di Nicola Pietrangeli sulla copertina del libro “500 Anni di Tennis”, opera di Gianni Clerici

Grazie Nicola, per il grande contributo che hai dato al nostro sport e per i valori che hai trasmesso alle generazioni successive. Sei stato l’inizio di un lungo percorso di successi che il tennis italiano vanta oggi in tutto il mondo, nonché un nome indelebile nei libri di storia dello sport.

Federico Bazan © produzione riservata

Fabio Fognini si ritira dal circuito professionistico: il mio ricordo del tennista e dell’uomo

Wimbledon 2025 è stata l’ultima apparizione nella carriera di Fabio Fognini, che è uscito di scena a testa alta contro il numero 2 del mondo Carlos Alcaraz, impegnandolo fino al quinto set, nel primo turno dello Slam londinese. In conferenza stampa, Fabio Fognini ha dichiarato: “È stata una bella corsa. In vent’anni dentro al circuito ho avuto la fortuna di giocare contro i più forti della storia, contro i due giocatori più forti della seconda storia. E poi giocare una partita così con Alcaraz, anch’io non me l’aspettavo. È stato tutto bello. Mi mancherà un po’ la competizione, un po’ meno la routine. Sono entrato in punta di piedi ed esco a testa alta con una sconfitta/vittoria sul Centrale di Wimbledon che per il Fabio Fognini ragazzino, ad Arma di Taggia, è una cosa bellissima”.

Fabio Fognini annuncia il ritiro dal circuito ATP in conferenza stampa


Fognini tennista nei numeri:

Tra le partite più significative vinte dal tennista ligure, in vent’anni di carriera, ci sono, come egli stesso ha ricordato: “I miei tre match migliori? Con Alcaraz qui a Wimbledon, con Murray in Coppa Davis e con Nadal a Monte-Carlo”. A questi, personalmente aggiungerei la vittoria nel secondo turno a Roma contro l’allora numero 1 al mondo Andy Murray e gli altri successi contro Rafael Nadal in semifinale a Rio de Janeiro, a Barcellona agli ottavi di finale e agli US Open, nei sedicesimi di finale.

I tornei più importanti conquistati? In singolare, il Masters 1000 di Monte-Carlo. In doppio, gli Australian Open con Simone Bolelli. A dimostrazione della versatilità ed adattabilità di Fognini sia in singolare, sia in doppio a prescindere dalla superficie di gioco. Il record di essere entrato nella top ten sia in singolo sia in doppio, record unico per un tennista italiano, rende Fognini uno dei giocatori più completi di sempre in entrambe le specialità.

La statistica più interessante? Oltre ad essere stato numero 9 al mondo e ad aver battuto diversi numero 1 del ranking ATP tra cui Rafael Nadal e Andy Murray – nell’arco ventennale della sua carriera all’interno del circuito maggiore, Fognini è stato ed è rimasto nei primi 20 giocatori al mondo, per un totale di 220 settimane complessive. Questo periodo di tempo equivale, circa, a 5 anni e 3 mesi della sua carriera, uno degli elementi che ha permesso a Fognini di essere molto competitivo contro i top players, in più occasioni e in diverse annate.


Fognini tennista nella tecnica:

Il braccio educato, la classe e la facilità di esecuzione di Fognini sono caratteristiche mai passate inosservate per chi lo ha visto giocare. Il gioco del tennista ligure si è sempre distinto per la capacità improvvisa sia di dritto che di rovescio di accelerare i colpi, mascherandone la direzione, e piazzarli agli angoli del campo, grazie alla velocità di braccio e alla precisione nell’indirizzare la palla. Giocatore di grande estro e di grande tocco, Fognini è stato uno di quei tennisti con varie soluzioni tecnico-tattiche da poter adottare: dal vincente da fondo campo a seguito di uno scambio prolungato, alla discesa a rete con la volée di chiusura, piuttosto che la smorzata fintata anche da lontano dalla rete. Contrariamente a quel che si pensi per l’assenza di un vero e proprio split step, il gioco di gambe e gli scatti brevi in avanti e laterali, sono state altre doti del suo tennis che gli hanno consentito di vincere dei punti recuperando delle palle impensabili.


Fognini uomo nel carattere in campo:

Giocatore dalla personalità ribelle ed impulsiva, nel corso della carriera Fognini si è lasciato andare a dichiarazioni ed imprecazioni, nei momenti più delicati. Ma ha sempre riconosciuto di aver sbagliato, chiedendo scusa nelle sedi opportune e dimostrando una maturità progressiva con il passare degli anni. “Dicevo sempre le cose come stavano. Ho sbagliato, ma fa parte di un percorso molto lungo. Ci sono state più salite che discese. Ci sono degli obiettivi: a volte puoi raggiungerli, altre devi voltare pagina. Oggi sono qui per andare punto e a capo. Inizia una nuova vita fuori dal campo. Sono disposto a dare consigli a chi vorrà, ascoltando anche le cose brutte. Dire le cose come stanno porta a volte allo scontro, ma si esce più forti. Questo lo devo a mio padre, molto diretto e senza peli sulla lingua”.

La mia foto con Fabio Fognini agli Internazionali BNL d’Italia 2025, al termine di un allenamento sui campi ground

Fognini uomo nel ricordo personale:

Insieme a Andreas Seppi, Paolo Lorenzi e Simone Bolelli, credo che Fognini sia stato il giocatore protagonista, in grado di trascinare con grande dedizione il movimento del tennis italiano, in un periodo nel quale la Federazione Italiana Tennis faceva fatica a trovare dei talenti emergenti nel vivaio maschile (mi riferisco al periodo che va più o meno dal 2007 al 2017, prima dell’affermazione di Matteo Berrettini). Quando Fognini è stato convocato in Coppa Davis, ha sempre risposto “presente”, non rinunciando mai a giocare per la maglia azzurra e portando a casa partite tutt’altro che semplici.
Aldilà delle vittorie e degli ostacoli, degli alti e dei bassi, che fanno parte inevitabilmente della carriera di un tennista, il ricordo che conservo di Fabio Fognini, sotto l’aspetto umano, è sorprendente: nel lontano 2013 – l’anno dell’exploit del tennista ligure con l’ingresso in top 20 e le vittorie dei tornei di Stoccarda, Amburgo e la finale ad Umago – lo vidi giocare nella gara di Coppa a Squadre di Serie A tra il Circolo Canottieri Aniene, formazione di casa, e il Park Tennis Genova, formazione in trasferta, per la quale giocava Fognini. Il clima sulle panchine del circolo era piuttosto di parte per la squadra di casa, capitanata da Vincenzo Santopadre, con Flavio Cipolla ed un giovanissimo Matteo Berrettini, appena diciassettenne.
In quella domenica mattina, i due Capitani schierarono, nel match di singolare, Flavio Cipolla, da un lato, e Fabio Fognini, dall’altro. La partita fu molto lottata e nervosa: sugli spalti si sentivano dei fischi e delle parole offensive nei confronti di Fabio, il quale rispose con molta eleganza agli insulti: “Non mi offendete, però”. Ricordo le sue parole come se fosse ieri. La partita fu vinta da Flavio Cipolla, l’allora numero 190 del mondo, mentre Fognini era appena entrato nei primi 20 del ranking ATP.
Mi resi conto, alla fine dell’incontro perso da Fognini e le parole che dovette incassare ingiustamente da qualche tifoso, che chiedergli una foto e un autografo sulla copertina del libro “500 Anni di Tennis” – con il quale andavo in giro per strappare le firme dei grandi giocatori – sarebbe stato un rischio per una eventuale reazione non gradita da parte sua, considerando gli insulti beceri che qualcuno gli aveva riservato sugli spalti e la sconfitta contro un giocatore nettamente più basso di lui in classifica.
Fuori dal campo, al termine del match, seguendo “Fogna” e dirigendomi verso lo spogliatoio, gli domandai con voce timida: “Fabio possiamo farci una foto e posso avere un tuo autografo?”. Fabio capì il mio interesse e il mio sostegno nei suoi confronti e mi disse: “Vado a farmi una doccia e torno”.
A volte, è meglio aspettare molto tempo ma ricevere un dono inaspettato, che avere fretta e andarsene senza sapere quel che di bello riserverà il futuro.
Venti minuti dopo, forse mezz’ora, Fabio ritornò vicino al campo dove intanto mi guardavo intorno cercando di avere altri autografi dai vari giocatori presenti. Si fece scattare una foto e incise il suo nome e cognome con il pennarello sulla copertina “500 Anni di Tennis”.
Se Fognini è sempre stato criticato per il suo comportamento in campo, a volte bisogna essere capaci di vedere l’altra persona e le difficoltà che sta vivendo. Perché non è scontato che un tennista in pieno exploit di risultati dedichi del tempo ad un appassionato (in quel caso ero io), dopo esser stato insultato da qualcuno che di tennis non capisce nulla e ripreso dai compagni di squadra per aver perso una partita.
Penso che, dopo il tempo dedicatomi in quella occasione, debba personalmente ringraziare Fabio e riconoscerne una disponibilità e una apertura non così banali.

Con il ritiro dal tennis professionistico, si chiude un capitolo importante nelle pagine scritte da Fognini, ma la gratitudine per questo sport rimane e, per l’ormai ex tennista di Arma di Taggia, inizierà una nuova vita.

Fonti dichiarazioni: Sky Sport Wimbledon

Federico Bazan © produzione riservata

Roger Federer annuncia il ritiro dal tennis: lo fa con una lettera commovente

Leggendo la lettera di addio di Federer al tennis, la prima cosa che mi ha positivamente colpito, è stata la gratitudine di riconoscere, nelle altre persone, il motivo del suo successo. Inizia a scrivere dicendo: “Di tutti i regali che il tennis mi ha dato negli anni, il più grande, senza dubbio, sono state le persone che ho incontrato lungo il cammino: i miei amici, i miei rivali, e più di tutti i sostenitori che danno vita a questo sport”. E subito piovono i ringraziamenti verso la moglie, i figli, i genitori, gli allenatori, gli sponsor, gli organizzatori, i tennisti rivali in campo e i sostenitori. Il sotto testo di Roger per loro è, in sintesi: “Senza di voi, non sarei qui a scrivere queste parole adesso”.

Il secondo elemento all’interno della lettera che non riesco ad ignorare, è l’umiltà nel valutare se stesso, malgrado quanto di grande e, probabilmente, irripetibile abbia conseguito in uno sport come il tennis, nell’era Open, in termini di record e vittorie. Oltre ai numerosi ringraziamenti e riconoscimenti, Federer aggiunge:
“Il tennis mi ha trattato più generosamente di quanto non avrei mai pensato”.
“Mi considero una delle persone più fortunate sulla Terra. Mi è stato dato un talento speciale nel giocare a tennis e l’ho portato ad un livello che non avrei mai immaginato per un tempo che non avrei pensato possibile”.

Ma soprattutto, è meravigliosa la sua originalità nel trovare le parole, come del resto l’estro delle giocate e delle magie a cui ci ha abituati quando lo abbiamo visto in campo esprimersi come solo lui sa fare: “Gli ultimi 24 anni nel circuito sono stati un’avventura incredibile. Mentre a volte ho la sensazione che siano passati in 24 ore, è anche profondo e magico che sembra come se avessi già vissuto una vita intera”. Del resto, i giorni che noi viviamo sono composti proprio da 24 ore. E il suo parallelismo calza alla perfezione.

Conclude la lettera, ripartendo dalle origini degli occhi di un bambino sognante: “Quando il mio amore per il tennis è sbocciato, ero un raccattapalle nella mia città natale di Basilea. Guardavo i tennisti con un senso di stupore. Erano come dei giganti per me ed io ho iniziato a sognare. I miei sogni mi hanno portato a lavorare duramente e a cominciare a credere in me stesso. Un insieme di vittorie mi hanno dato fiducia e consentito di incamminarmi verso il viaggio più straordinario che mi ha portato a questo giorno”.

Caro Roger, tu hai sognato guardando gli altri tennisti giocare quando facevi il raccattapalle a 12 anni. Mentre io ho sognato ad occhi aperti guardando giocare te contro Rafa nella finale del 2006 a Roma, quando anche io, casualmente, avevo 12 anni. Ed è da quella partita sul Centrale del Foro Italico, la mia prima in assoluto vista dal vivo, che la mia passione per il tennis è sbocciata in modo preponderante.

Ho avuto la fortuna di crescere guardando le tue partite, i tuoi colpi e le tue invenzioni. E, naturalmente, i tuoi più grandi avversari in campo.

Grazie.

Foto di: Pagina Facebook di Roger Federer

Federico Bazan © produzione riservata

Laura Golarsa lancia un appello a nome dei Maestri: “Riapriamo la didattica del tennis”

In questo periodo storico, molti Maestri di tennis non percepiscono uno stipendio perché impossibilitati ad esercitare la propria attività. Trattandosi di liberi professionisti, ovvero di persone che guadagnano in base alla domanda di lavoro (tramite lezioni, scuole tennis e centri estivi), lo Stato non può assicurare loro un sostentamento economico: per i più fortunati, che hanno dei soldi da parte, in qualche modo si tira avanti; ma per tutti coloro che non hanno altro di che vivere se non di tennis, si fa fatica ad arrivare alla fine del mese.
Laura GolarsaIn un quadro economico complicato, dove si estende prepotentemente una disoccupazione forzata a causa della pandemia, a metterci la faccia per chiedere la riapertura del mondo didattico del tennis, è Laura Golarsa, ex numero 39 della classifica mondiale WTA, nonché attuale Direttrice dell’Accademia che porta il suo nome: la Golarsa Tennis Academy, con sede a Milano.
In un video, postato sulla propria pagina Facebook, l’attuale commentatrice di Sky Sport scende in campo per denunciare una situazione di precarietà che incide negativamente sulla vita economica dei Maestri di tennis, oltre a penalizzare intere figure professionali legate al mondo dello sport: i fisioterapisti dei giocatori, gli staff tecnici e le stesse Società Sportive che, da marzo a questa parte, non ricevono più introiti per mancanza di iscrizioni o “congelamento” degli abbonamenti dei soci. Intere macchine economiche ferme e abbandonate a se stesse.
Laura Golarsa afferma: “Abbiamo 700 metri di campo per far giocare quattro bambini della scuola. Il Maestro fa lezione a due sul campo, allora io non vedo perché il tennis non debba riaprire, soprattutto con delle regole, con delle responsabilità che ci dobbiamo assumere noi gestori, insegnanti e i clienti che vogliono venire a giocare”.
Il suo appello non è solo una questione di diritto, ma nasce dall’esigenza di avere delle risposte da parte del Governo, circa la riapertura delle attività sportive. In un primo momento, il 18 maggio era la data preannunciata per la ripresa del tennis nei circoli sportivi di tutta Italia, o almeno così sembrava. Ma, stando alle fonti della Federazione Italiana Tennis, il Ministro per le politiche giovanili e lo sport, Vincenzo Spadafora, avrebbe posticipato l’apertura dei centri sportivi al 25 maggio o, nella migliore delle ipotesi, entro quella data. Non è tuttavia ancora chiaro in quali Regioni si possa riprendere, in quali no. E, intanto, i Maestri di tennis sono ancora senza lavoro.

L’ex tennista italiana continua il suo appello, dicendo: “Ci dovete dare la possibilità di riaprire perché il mondo dello sport è il mondo del lavoro. Noi dovevamo aprire 15 giorni fa, non abbiamo aperto e adesso sembra che non apriamo neanche lunedì. Io chiedo: questi Maestri cosa fanno? Non mangiano? Le strutture cosa fanno? Falliscono perché i corsi sono finiti? Tutto questo sarebbe evitabile con una gestione organizzata per settori”.

Le considerazioni di Laura Golarsa sono, in realtà, le parole di molti istruttori in difficoltà economica. E la Direttrice dell’Accademia se ne fa portavoce, dando l’idea di credere fortemente in una giusta causa, a tutela del mondo del tennis. Bisognerebbe, quanto meno, riconoscerne l’impegno durante il momento storico che stiamo vivendo.
Come sostiene la nostra ex giocatrice azzurra, il Coronavirus segna un immobilismo dell’economia indiscutibile, ma non si può rimanere immobili per sempre.

Fonti di foto e video: pagina Facebook di Laura Golarsa.

Federico Bazan © produzione riservata

Petizione per la ripresa del tennis nei circoli ai tempi del Covid-19: firma anche tu

Petizione

Un appassionato di tennis lancia una nuova petizione online per la riapertura dei campi da tennis e la ripresa dell’attività dei circoli, nel periodo del Coronavirus, indirizzandola al Presidente del Coni, Giovanni Malagò. E da questa petizione nasce un passaparola tra i tennisti amatoriali per il raggiungimento delle firme necessarie.
L’idea della votazione collettiva è frutto di un pensiero logico che non può impedire ai praticanti, agonisti e non, di appendere la racchetta al chiodo per tutto il 2020. Il tennis è uno sport che si gioca all’aria aperta, in spazi ampi: non trattandosi di uno sport di contatto o di una disciplina praticata in luoghi chiusi e affollati (come avviene per almeno il 90% dei circoli in Italia che sono all’aperto), è importante, per chi ami questo sport, ricominciare a giocare, a divertirsi e ad allenarsi. Naturalmente un ritorno sui campi nel rispetto delle norme, da parte di tutti.
Nella petizione, che non è solo una questione di diritto, si stabiliscono delle condizioni necessarie per evitare ogni eventualità di contagio: si gioca solo in singolo, non si fa uso degli spogliatoi, non ci si dà la mano a fine match, al cambio campo ci si alterna alle panchine ecc.
L’obiettivo della petizione è dare la possibilità, basata su considerazioni logiche, a tutti i praticanti e gli amanti di questo sport, di tornare a calcare i campi da tennis, consapevoli di dover attenersi a delle regole indispensabili.
Rimandare il tennis al 2021, facendo passare un anno, senza più toccare racchetta, sarebbe un delitto laddove ci siano le condizioni per tornare tutti insieme a giocare. E le condizioni ci sono, perché i campi hanno dimensioni di 23,77 m di lunghezza con una barriera fisica tra i due singolaristi, rappresentata dalla rete.

Se pensi che questa petizione sia una giusta causa, clicca su questo sito e firma anche tu.

Federico Bazan © produzione riservata

I top five del ranking ATP, tra presente e futuro

Gli appassionati di tennis sperano che i Fab Four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray) – in particolare Federer e Nadal – continuino a giocare a livelli entusiasmanti per altri anni, in quanto, molti di loro, oltre ad una mera questione di tifo e di amore verso il tennis, non vedono all’orizzonte qualcuno, tra le giovani promesse, che abbia un tennis sufficientemente incisivo da potersi avvicinare alle imprese compiute dallo svizzero e dallo spagnolo in passato. Il circuito ATP andrebbe certamente avanti con l’assenza dei Fab Four, ma sarebbe inevitabile, per chi ama il tennis, nutrire un senso di nostalgia verso due leggende di questo sport come Federer e Nadal, che hanno segnato intere generazioni e che continuano a segnarle, malgrado siano ormai passati più di dieci anni dalle finali storiche di Roma e di Wimbledon, dove i due, giovanissimi, si trovavano nel fior fiore della loro avvincente rivalità sportiva.
Più tardi sarebbero emersi Novak Djokovic e Andy Murray, sebbene in misura minore rispetto a Federer e Nadal in termini di vittorie, record bissati e spettacolarità di gioco (specialmente lo scozzese, ancora molto lontano dai bottini espugnati dagli altri tre); Djokovic e Murray, dal 2011 al 2016, hanno espresso però un livello di tennis tale da accantonare in più occasioni lo strapotere dell’elvetico e del maiorchino, quelli che, fino a quel momento, erano i due più grandi dominatori del circuito ATP, il numero uno e il numero due del ranking a correnti alterne.
Con l’affermazione di Djokovic nel 2011 (sfiorato il Career Grande Slam con le vittorie degli Australian Open, Wimbledon e gli US Open) e la consacrazione successiva di Murray nel 2012 (vittoria agli US Open), veniva fuori appunto “il mito dei Fab Four”, nome che nasce in riferimento alla storica band dei Beatles e che successivamente è stato attribuito dai media ai quattro tennisti più forti dei tempi odierni o, se non ai più forti, senz’altro tra i più noti al pubblico, conoscitore e anche non conoscitore di tennis.
Sebbene attualmente vi siano dei fuoriclasse o dei futuri campioni (tra le Next Generation e non solo) ed è indubbio che vi siano, ad ogni modo, i tennisti delle nuove generazioni difficilmente potrebbero eguagliare o, addirittura, superare le imprese scalfite da un Federer o da un Nadal. I Fab Four, in fin dei conti, se oltre a Federer e Nadal aggiungessimo Djokovic e Murray dei tempi migliori, sono tra i pochi che hanno sempre dato una scossa all’opinione pubblica, proprio per i record realizzati e le sfide disputate uno contro l’altro nelle finali Slam. Come tutte le cose belle, però, anche Fedal terminerà, pur nell’amarezza dei tifosi del tennis. E a prendere il loro posto nel ranking chi ci sarà?
ZverevUn’ipotesi valida vede Alexander Zverev diventare prossimamente il nuovo numero 1 del mondo, non appena Federer e Nadal cederanno la corona alle nuove leve. Le possibilità per il giovane tennista di Amburgo di raggiungere la vetta della classifica ATP, sono quasi dietro l’angolo: basti pensare che, in una sola stagione, Zverev ha vinto due Masters 1000 come Roma, battendo in finale Djokovic, e Montreal, estromettendo in due set Federer, nell’atto conclusivo del torneo canadese.
Ad appena 20 anni, il tedesco è numero 4 del mondo, e questo fattore legato all’età, lascia intendere, già da ora, come Zverev possa essere uno dei protagonisti di spicco del circuito ATP negli anni a venire, sia perché ha il carattere per stare in vetta alla classifica (non sente la pressione di giocare contro i big del tennis e, come è già avvenuto, di batterli), sia perché ha il gioco per imporsi nei tornei importanti. E, in quel gioco, magari non spettacolare ma completo, oltre ad avere tutti i colpi ad altissimo livello, può contare molto sul rovescio, probabilmente uno dei migliori in circolazione tra quelli giocati a due mani.

Dominic+Thiem+2017+Open+Tennis+Championships+dOvBR_84t8cx_0-715x477Un altro nome che potrà ambire alla conquista di palcoscenici importanti, primo fra tutti il Roland Garros, è Dominic Thiem. L’austriaco ha mostrato un tennis stellare sulla terra battuta e, sebbene non sia una Next Gen, ha la stoffa per realizzare grandi imprese. Thiem dovrà però attendere la fine del dominio sul rosso di Rafael Nadal che, per il momento, rimane il vincitore indiscusso dello Slam parigino. L’austriaco – salvo l’ostacolo rappresentato proprio da Nadal che vanta due vittorie al Roland Garros, in due scontri diretti, sul tennista di Wiener Neustadt (il primo risale al secondo turno del RG 2014 quando il maiorchino vinse 6-2, 6-2, 6-3; il secondo è la semifinale del RG 2017, nella quale Nadal si impose per 6-3, 6-4, 6-0) – ha dato prova di esprimere un livello di tennis molto alto attraverso delle accelerazioni esplosive che lo rendono un giocatore ostico per chiunque. Il suo gioco rende paradossalmente meglio sul rosso perché Thiem resta abitualmente molto dietro alla linea di fondo campo e riesce a destreggiarsi bene sia in fase difensiva che quando lascia andare le sue poderose sventagliate.

David GoffinUn terzo nome, non meno importante, è quello di David Goffin, che nel finale del 2017, ha tirato fuori un tennis da top five. Non è riuscito a vincere le Finals di Londra (perse nell’ultimo atto contro Grigor Dimitrov) e la finale di Coppa Davis in Francia, ma i trionfi su Nadal e Federer alla O2 Arena e i due punti portati al Belgio in Coppa Davis, a Lille, hanno evidenziato il salto di qualità del belga, classe ’90; salto di qualità esploso in una seconda fase della sua carriera, che potremmo definire della maturità.
Se il tennista di Rocourt continuerà ad esprimere quel livello di tennis propositivo che lo ha portato a liquidare Nadal, Federer e Tsonga nel giro di due settimane e ad arrivare in finale a Londra, potrà puntare a traguardi ancora più soddisfacenti, primo fra tutti la conquista di uno Slam che ancora manca nella sua bacheca. Volendo azzardare un accostamento pugilistico sul belga, potremmo definirlo un peso leggero con dei colpi da pesi massimi. È infatti un giocatore dal fisico mingherlino che fa leva sulla rapidità dei piedi negli spostamenti, che arriva bene sulla palla ed ha al contempo, dalla sua, un tennis offensivo, fatto di vincenti e discese a rete. Anche Goffin, come Zverev, ha nel rovescio il suo marchio di fabbrica.

Grigor DimitrovLa vera sorpresa che potrebbe, tra gli altri, raggiungere la vetta della classifica ATP, si chiama Grigor Dimitrov. Il bulgaro, attuale numero 3 del mondo (fin’ora suo best ranking), ha chiuso il 2017 vincendo il Master 1000 di Cincinnati e le Finals di Londra, tra lo stupore generale del pubblico, a seguito di annate tutt’altro che esaltanti (si pensi al 2015 e al 2016 dove il bulgaro non ha collezionato alcun trofeo, nemmeno tra gli ATP 250). Il tennista di Haskovo ha il talento per stare nei primi cinque del mondo; bisogna però capire se riuscirà a dare continuità al suo gioco, oppure se vivrà altre stagioni sotto tono, come quelle degli anni passati (2015 e 2016).

Per finire, tra le Next Generation, spicca il nome di Andrej Rublëv, più indietro degli appena citati in termini di punti e classifica, ma con il gioco adatto a sfondare. Se il russo trovasse sempre, con le sue accelerazioni devastanti, l’incrocio delle righe, diventerebbe semplicemente ingiocabile per tutti. Il problema più grande di Rublëv, però, è che ha unRublev-fh tennis rischioso e con pochissime variazioni. Questo vuol dire che, forzando tutte le palle, ha più possibilità di errore rispetto agli altri giocatori. In questo aspetto, assomiglia molto al connazionale Karen Chačanov per il tipo di soluzioni tecniche. Se aggiungesse qualche variazione al suo gioco, il russo potrebbe ridurre i rischi nelle scelte tattiche e, di conseguenza, trovare più regolarità nel gioco.

Ci sarebbero poi altri candidati alla top five, naturalmente. Non è da escludere un ritorno scoppiettante di Juan Martin Del Potro che, seppur attualmente non si trovi ai suoi massimi storici, può però tornare a competere ad armi pari con i top players del circuito. Magari non da numero uno del mondo per un tempo ininterrotto, però tra i primi cinque della classifica è probabile. Dipenderà tutto dalla sua condizione fisica, lontano da ulteriori infortuni, che in passato lo hanno destabilizzato in modo determinante; a scanso di inconvenienti, infatti, Del Potro ha il gioco e lo spirito di sacrificio per valere tra i primi al mondo.

Juan-Martin-Del-Potro-VS-Marcel-Granollers

Quanto agli infortunati del 2017, come Djokovic, Murray, Wawrinka, Nishikori e Raonic, per loro si apre una nuova fase. E in questi casi, o è una fase esaltante, tale per cui ognuno di loro ritroverà il suo miglior tennis, oppure, al contrario, risulterà al di sotto delle aspettative. Specialmente per i primi tre che ormai hanno superato i 30 anni, il 2018 sarà l’anno delle conferme, forse quello decisivo nell’economia della loro carriera per capire se potranno stare ancora dietro a Federer e a Nadal in classifica o, al contrario, se allenteranno definitivamente la presa.

Federico Bazan © produzione riservata

Recensione di “Match”, un fumetto di Grégory Panaccione

matchInizia con un sorteggio, prosegue con un servizio e finisce con un vincitore ed uno sconfitto. Le matite del disegnatore francese, Grégory Panaccione, danno vita ad un incontro di tennis mettendo in evidenza, tramite una chiave di lettura grottesca, tutte le emozioni, i sentimenti e i ragionamenti che pervadono la mente di un tennista durante una partita di tennis.
Panaccione – con una storia che vuole andare fuori dagli schemi, che rifiuta di seguire la logica delle parole nelle vignette come, di norma, si ritrova nella maggior parte dei fumetti – prova a comunicare al lettore, attraverso il solo utilizzo delle immagini e dei pensieri dei personaggi, tutti i momenti tipici di un match di tennis che vede affrontarsi due giocatori, tecnicamente, fisicamente e caratterialmente uno l’opposto dell’altro: da un lato della rete, Rod Jones, campione britannico, atleta dal fisico slanciato e dalla tecnica impeccabile, giocatore di punta del tennis mondiale; dall’altro lato, un appassionato ed appassionante Marcel Coste, tennista francese dalla corporatura grassa, espressione goffa e sciagurata del giocatore dilettante, costantemente alle prese con le nevrastenie, le fantasie e tutte le disavventure che Panaccione, in modo originale ed efficace, è in grado di trasmettere al lettore.
Ad accompagnare Coste in panchina, ci sono un pesce rosso nella vaschetta che il francese porta dietro con sé e a cui dà da mangiare e il cane Toby, che probabilmente funge da motivatore personale del personaggio: in alcune scene lo si vede abbaiare e tendere il muso verso il padrone in segno di incoraggiamento e di empatia, mentre in altre lo si vede addormentarsi, forse nel segno di una rassegnazione legata allo squilibrio netto tra i due giocatori. Squilibrio evidente dato dal talento di un Jones insuperabile e dai frequenti tentativi di sotterfugio malriusciti da parte di un Coste inerme.

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Il primo set è a senso unico e il punteggio recita 6-0 in favore di Jones. Coste non riesce a trovare alcuna strategia tecnico-tattica che possa quantomeno impensierire il campione britannico. Ironicamente, il tennista d’Oltralpe pensa a più riprese, consapevole di non essere tecnicamente alla pari dell’avversario, di eliminarlo fisicamente, pensando che nella sua bottiglia d’acqua ci sia del veleno o, addirittura, di sparargli. È chiaro come Panaccione voglia esasperare il senso di frustrazione del tennista in crisi che, probabilmente, sta giocando la finale della sua vita ma che non è nelle condizioni di poter tenere testa all’altro giocatore.

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Uno degli obiettivi principali del disegnatore francese è però quello di stupire il lettore. Infatti, se il punteggio finale della partita, al termine del primo set, sembra già scritto nella sua severità, nel secondo parziale, l’incontro prende totalmente un’altra direzione. E poi, come andrà a finire?

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Singolari sono inoltre l’ambientazione, gli psicodrammi vissuti sul campo da Coste, che Panaccione fa emergere attraverso pensieri paradossali ma, al tempo stesso reali, di un qualsiasi giocatore che vive una partita di tennis: esempi più comuni ripresi dal disegnatore francese, sono le tre palle che il tennista, per scaramanzia, prende in mano e seleziona prima di servire; la luce del sole che abbaglia la vista a chi è al servizio e impedisce a questi di vincere il punto; la costruzione magistrale dello scambio da parte di chi si fa aggressivo con il suo gioco ma che, al momento di conquistare il punto, sbaglia il colpo decisivo e si dispera.
L’originalità di Panaccione sta anche nella selezione di alcune immagini bizzarre che si celano nei pensieri dei protagonisti: “adesso gli tiro una bomba” è rappresentato da un missile terra aria; “quella palla è troppo lontana per arrivarci”, fa pensare al giocatore di mettersi dei pattini; dopo un colpo particolarmente aggressivo, l’avversario risponde corto e viene in mente allora, a chi attacca, di venire a rete per chiudere lo scambio al volo. Ma in che modo? Con delle scale che portano alla rete, come a dire: “adesso salgo a rete”.

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Un fumetto semplice, leggero, che scorre facilmente nell’osservazione delle immagini e che è sempre pronto a sorprendere il lettore con colpi di scena e di genio da parte dei personaggi. Insomma, il tennis come non lo avete mai visto!

Match, di Gregory Panaccione – Casa Editrice: ReNoir – Prezzo: euro 12.90 – Brossura con bandelle – pagine: 286 – b.n.

Federico Bazan © produzione riservata

L’esigua tradizione del tennis in Inghilterra

Se pensiamo che le prime reti da gioco sono state brevettate da un inglese di nome Walter Clopton Wingfield nel XIX secolo, il tennis in Inghilterra, dal 1874 ad oggi, salvo due casi isolati, non ha mai visto l’affermazione di grandi campioni.

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Fred Perry, giocatore eccentrico, nel suo gesto famoso di congratularsi con l’avversario scavalcando la rete

Ad eccezione di Fred Perry, probabilmente fino ai giorni nostri l’unica grande icona del tennis inglese (da cui prende il nome del famoso marchio di abbigliamento sportivo da egli ideato) e Tim Henman, giocatore serve & volley nativo di Oxford, eterno semifinalista nelle prove del Grande Slam, la Gran Bretagna non ha mai brillato tennisticamente e non ha avuto alle spalle una tradizione tale da poter segnare pagine importanti nella storia di questo sport. Curioso notare come il gioco del tennis sia stato concepito dagli inglesi, che peraltro ospitano i migliori giocatori al mondo sui campi in erba dell’All England Lawn Tennis Club di Wimbledon e come, al tempo stesso, non abbiano mai avuto giocatrici e giocatori in grado di vincere lo Slam londinese, se si esclude solo Fred Perry.
Caso a parte è quello che riguarda Andy Murray, tennista scozzese di Dunblane, il quale gioca in Coppa Davis per la Gran Bretagna ma perchè in Scozia, a parte lui e il fratello, non vi è nessun altro giocatore che compete ad alti livelli. Lo stesso Murray affermò, pochi giorni prima del referendum per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, che avrebbe giocato per la sua Nazione (la Scozia) alle Olimpiadi se fosse passato il “sì”. Al referendum del 18 settembre 2014, vinsero gli unionisti con circa il 55% degli aventi diritto. Da quel giorno non cambiò nulla a livello territoriale nel Regno Unito ma, malgrado i risultati negativi del referendum per gli scozzesi indipendentisti, Murray escluse comunque qualsiasi tipo di parentela tra lui e l’Inghilterra.
Possiamo affermare con certezza, dunque, che l’unico tennista inglese ad aver vinto Wimbledon, in due secoli di storia, è  Fred Perry.

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              Walter Clopton Wingfield, l’inventore del tennis

Sarebbe interessante capire come mai i conquistatori più influenti della storia (insieme agli Antichi Romani), i navigatori forse più all’avanguardia, gli inventori del gioco del calcio, del tennis e non solo, abbiano sempre brillato per ingegno e fama nelle conquiste territoriali ma, al tempo stesso, lasciato a desiderare molto nei successi sportivi per la propria Nazione a livello internazionale. Se pensiamo che la Nazionale inglese di calcio ha vinto un solo Mondiale nel ’66 (tra l’altro con un goal discutibile nella finale contro la Germania) e non si è mai più ripetuta, nè ai Campionati, nè agli Europei e nemmeno nelle Confederations Cup, nonostante le grandi individualità calcistiche come Alan Shearer, Paul Gascoigne, Jamie Redknapp, Robbie Fowler ai più recenti Paul Scholes, David Beckham, John Terry, Steven Gerrard, Frank Lampard ecc.; giocatori che valevano oro colato sul mercato. Eppure, non sono mai riusciti, come organico, a collezionare alcun trofeo per il proprio Paese.
Discorso analogo lo si può fare con il tennis. Se nel calcio, l’Inghilterra di Bobby Charlton sollevò la coppa dei campioni nel ’66, allo stesso modo, un solo tennista di nome Frederick John Perry, su un totale di 187 giocatrici e giocatori britannici entrati nel circuito internazionale, conquistò il trofeo di Wimbledon.

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Tim Henman, soprannominato “Timbledon” dai suoi sostenitori

Dagli anni ’40 fino addirittura gli anni ’90, la Gran Bretagna ha vissuto un medioevo tennistico. Anni in cui non uscì nemmeno un nome che fosse menzionato dalla stampa britannica, tra le tenniste e i giocatori inglesi. Si dovette aspettare l’arrivo di Timothy Henman. Ma “Timbledon”, come lo chiamavano i suoi sostenitori, esplose solo alla fine degli anni ’90 e, per quanto fosse un signor giocatore, è sempre stato battuto da avversari più forti di lui come Sampras, Ivanisevic, Federer e Hewitt che gli hanno precluso in quattro diverse occasioni la possibilità di accedere all’ultimo atto del torneo di casa.
Henman, che pure era un giocatore che si adattava benissimo alle superfici rapide essendo uno degli ultimi esponenti del serve & volley e del gioco di grazia, non è mai riuscito a realizzare il tanto agognato sogno di vincere Wimbledon; nonostante questo, il tennista di Oxford vanta ad oggi 11 titoli in singolare (di cui 1 Masters Series, 1 International Series Gold e 9 International Series) e 4 in doppio (tra gli altri risultati, due bottini espugnati a Montecarlo e una finale persa alle Olimpiadi di Atlanta), a dimostrazione di quanto uno splendido gioco di volo lo rendesse un ottimo specialista anche in doppio.
Dopo Henman, tuttavia, in Inghilterra il vuoto, sia nel tennis maschile che in quello femminile, vuoi per mancanza di talenti, vuoi per i pochi investimenti fatti in questo sport da parte della Federazione. Investimenti, al contrario, realizzati in abbondanza nel calcio dove comunque vi sono e rimangono sempre grandi campioni, aldilà dei risultati storici conseguiti dai Tre Leoni.

La Gran Bretagna è sicuramente un Paese che ha brillato per l’ingegno e la creatività ma che non è riuscito a dare un seguito nei risultati sportivi (la Nazionale di calcio e i vari tennisti) che fosse all’altezza delle grandi scoperte operate nel corso della storia.


Federico Bazan © produzione riservata

Bufera sul caso Sharapova: trovati positivi al meldonium altri atleti dell’est Europa

Chi si sarebbe mai aspettato che un’atleta così attenta e meticolosa come Maria Sharapova risultasse positiva ai controlli antidoping? Ma soprattutto, è possibile che una professionista di quel livello, contornata da uno staff di esperti e sottoposta periodicamente a controlli di ogni tipo, non fosse a conoscenza degli effetti di un farmaco come il Meldonium?

Maria Sharapova

           L’amarezza nel volto della Sharapova durante la conferenza stampa

Tutti conosciamo la grande professionalità ed abnegazione che contraddistingue Maria Sharapova, una campionessa che ha segnato pagine importanti nella storia della WTA, vincitrice di 5 prove del Grande Slam, regina indiscussa della terra battuta, superficie sulla quale, ad oggi, vanta quasi l’84% di vittorie. Ultimamente, però, la giocatrice russa ha spiazzato il mondo del tennis, già in un primo momento, quando aveva affermato che avrebbe rilasciato pubblicamente alcune importanti dichiarazioni ed anche successivamente alla conferenza stampa, nella quale ha confessato delle verità tanto inaspettate quanto amare, ovvero la positività ai controlli antidoping e la totale disinformazione circa gli effetti della sostanza assunta.
La Sharapova, non solo avrebbe preso il farmaco per la durata di dieci anni, ma ha anche espressamente dichiarato di assumere mildronato per carenze di magnesio e per una storia di soggetti diabetici in famiglia.

Meldonium

Principi del Meldonium. Formula molecolare: C(6) H(14) N(2) O(2); nomi chimici: mildronato, meldonium, quaterin; uso clinico: trattamento delle restrizioni di afflusso di sangue ai tessuti, angina, infarto del miocardio e complicazioni cardiache croniche; uso per le prestazioni: incrementa l’afflusso di sangue ai tessuti muscolari, incentiva la resistenza e le capacità fisiche.

In realtà, il meldonium è un farmaco anti-ischemico, utilizzato principalmente per la prevenzione dell’angina pectoris e dell’infarto del miocardio. A parlarne sono gli esperti che sottolineano, oltre alle indicazioni, anche gli effetti del medicinale in soggetti sani: “Poiché favorisce la circolazione del sangue, in soggetti sani, il mildronato migliora le capacità di resistenza allo sforzo fisico, perché porta più ossigeno ai tessuti muscolari”. Inoltre, escludono che possa servire contro il diabete, salvo in uno stadio avanzato della malattia, tale da compromettere una corretta funzionalità cardiaca. Quando è usato per le patologie cardiache, il meldonium è comunque prescritto per, massimo e non oltre, le sei settimane.
Ma ci sarebbe dell’altro ad aggravare ulteriormente la posizione di difesa della Sharapova: anche altri atleti dell’est sarebbero stati trovati positivi al Meldonium. Tra questi la ranista Julija Efimova, le due medaglie d’argento della lotta greco-romana Evgeny Saleev e Sergei Semenov, le due specialiste degli 800 metri Ekaterina Poistogova e Marija Savinova e anche altri atleti.
Una domanda sorge spontanea. Tutti malati di diabete e con carenze di magnesio? Oppure, tutti volutamente alla ricerca della sostanza in questione? Non si può rispondere a queste domande con certezza ma, ciò che si può facilmente dedurre, è che il Meldonium, stando alle analisi degli esperti e alle valutazioni espresse dalla Wada (Agenzia mondiale antidoping), rappresenterebbe un incentivo notevole per le prestazioni dell’atleta.

A questo punto, la Sharapova sconterà una sanzione che va dagli 1 ai 4 anni di sospensione dall’attività, sebbene, c’è da sottolineare, come il farmaco sia entrato all’interno delle sostanze dopanti da gennaio 2016, il che potrebbe comportare una riduzione della pena nei confronti della siberiana la quale, in cuor suo, sa comunque di aver deluso i suoi fan.

Fonti:
http://www.focus.it/scienza/salute/meldonium-che-cose-e-perche-e-doping
http://www.sportsintegrityinitiative.com/

Federico Bazan © produzione riservata

 

 

Fuga di campioni

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Più una città è grande e tendenzialmente maggiori saranno le risorse a disposizione (strutture, impianti ed attrezzature). Le grandi metropoli come Roma, ad esempio, offrono una vasta gamma di circoli, campi e scuole tennis. Pensiamo ai nomi più rinomati della capitale, tra i quali il Foro Italico che per storia, tradizione e locazione, si conferma l’impianto tennistico più famoso di Roma e non solo; il Tennis Club Parioli che in passato sfornò campioni straordinari: Uberto De Morpurgo, Nicola Pietrangeli, Adriano Panatta e, ancora oggi, vanta grandi giocatrici tra le quali Roberta Vinci; il Circolo Canottieri Aniene che, oltre ad essere uno dei più antichi circoli della capitale, dispone di atleti altamente professionali come Simone Bolelli e Flavio Cipolla; il Tennis Club Eur, la cui scuola tennis è gestita, tra gli altri, da Corrado Barazzutti; il Sant’Agnese che, un tempo, accoglieva alcuni maestri dell’Accademia americana di Nick Bollettieri e via dicendo…

Se all’epoca i campioni italiani emergevano, oltre al talento e all’allenamento, anche grazie al prestigio dei circoli della propria città (ricordiamo, per esempio, Adriano Panatta, figlio del custode del Tc Parioli, luogo simbolo della crescita tennistica di Panatta stesso), oggi le cose sembrano essere cambiate. Non è più come un tempo dove si giocava al circolo sportivo del vicinato e si decideva di intraprendere la strada del professionismo. Il tennis odierno richiede maggiori investimenti, molti più spostamenti, uno staff completo, composto da diverse figure professionali che seguano il giocatore da vicino in tutti i suoi aspetti: l’allenatore, il fisioterapista, lo sparring, il preparatore atletico, il personal trainer e il manager, colui che si occupa dell’immagine, della comunicazione e degli sponsor dell’atleta. L’assenza di una o più figure di questo tipo, può incidere sul rendimento del giocatore ed ecco perchè, oggi più che mai, un professionista ha bisogno di molte attenzioni, proprio per evitare di incappare in problemi di diverso genere. Nel circuito internazionale le trasferte sembrano esser diventate la regola per tutti i professionisti, non solo nei tornei e nei campionati a squadre che si disputano durante l’anno, ma anche per dei semplici allenamenti.

Se scoprissimo le diverse realtà delle tenniste italiane del circuito WTA e dei giocatori azzurri del circuito ATP, ci accorgeremmo come, la maggior parte di essi, tranne rare eccezioni, nascano in città diverse dalle grandi metropoli come Roma, Firenze, Milano, Napoli, Bari e Palermo. Pensiamo a Fognini, di Arma di Taggia, Bolelli, di Budrio, la Errani di Massa Lombarda, la Pennetta di Brindisi ecc.
Ognuno di loro è nato in contesti, sotto un certo punto di vista, “limitanti” in termini di disponibilità di circoli sportivi. Per esempio Fabio Fognini, che proviene da una realtà piuttosto piccola come Arma di Taggia, ha compiuto un grande salto di qualità andandosi ad allenare a Barcellona e scegliendo come allenatore Josè Perlas; come lui, anche Flavia Pennetta che, dopo la decennale intesa con Gabriel Urpi, ha visto in Salvador Navarro una fonte di crescita e di miglioramento; ancora, Sara Errani, con Pablo Lozano, trasferitasi dapprima a Barcellona, poi a Valencia; Simone Bolelli, grazie alla collaborazione con Giancarlo Petrazzuolo e alla preparazione presso il centro federale di Tirrenia; Camila Giorgi come Bolelli a Tirrenia ecc.

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                                Campi al coperto del Centro Federale di Tirrenia

I grandi campioni del tennis italiano hanno dovuto dunque prendere delle decisioni a livello di spostamenti e di ricerca di strutture adeguate. Per puntare al massimo, alcuni di loro hanno lasciato la proprià città per trasferirsi in un’altra o nelle grandi accademie, in Spagna e negli Stati Uniti.
Una riflessione sorge spontanea. Salvo centri federali come Tirrenia e simili, l’Italia è un Paese in grado di offrire prospettive interessanti per gli agonisti? In altre parole, è realmente indispensabile per un potenziale campione, lasciare il proprio Paese e la città natale per andare fuori e trovare il contesto di cui ha bisogno?
Il dilemma è: perchè non restare in Italia? Circoli e scuole tennis non all’altezza? Investimenti insostenibili per le famiglie? Disponibilità di campi limitata? Un insieme di questi fattori?
I casi sono tanti e i motivi molteplici. Senza dubbio, bisognerebbe interrogarsi su come mai, molti degli atleti italiani, tra cui alcuni dei tennisti professionisti, lascino l’Italia per trovare maggiore fortuna all’estero.

Molti di loro lo fanno per scelta personale, spinti dallo stimolo nel trovare strutture, squadre e allenatori che soddisfino le loro esigenze.
È il caso di Corinna Dentoni che ho personalmente avuto il piacere di intervistare. Alla domanda:
 A proposito di piccole realtà come Pietrasanta… credi sia indispensabile per un talento emergente, magari cresciuto in un comune piuttosto che in una grande città, trasferirsi in un contesto di più ampio raggio, come può essere un circolo di una metropoli o una delle note scuole tennis riconosciute a livello internazionale, affinchè trovi la chiave del successo?
Qual è stata la tua scelta a riguardo? “

La sua risposta:

” Penso che non sia importante tanto dove ti alleni, quanto con chi ti alleni.
La provincia di Lucca conta numericamente più campi da tennis rispetto al resto d’Italia; quello che manca è una struttura attrezzata e il tennis non lo si vive in maniera professionistica pensando alla crescita dell’atleta, ma più come uno sport dilettantistico. Io mi sono trasferita a Milano e lì ho trovato il contesto di cui avevo bisogno ” .

Anche il racconto di Stefano Travaglia è piuttosto indicativo di come, seppur a breve distanza dalla propria terra, il trasferimento di un professionista su altri campi sia fondamentale:

” Ad un certo punto bisogna prendere una decisione; io la mia scelta l’ho fatta a 15, quasi 16 anni, andandomi ad allenare a Jesi, città ad un’ora e mezza da casa mia, dove vi era la migliore accademia di tennis delle Marche di quei tempi, 2007/08 ” .

Due testimonianze, quella della Dentoni e di Travaglia, che lasciano intendere quanto una singola scelta di trasferimento comporti dei sacrifici che un professionista è tenuto a fare per trovare la chiave del successo.

 

Federico Bazan © produzione riservata