Archivi categoria: Tutti gli articoli

Recensione del film “Il Maestro”

Uscito al cinema nel novembre del 2025, con protagonista Pierfrancesco Favino nel ruolo del coach Raul Gatti, Il Maestro è un film che propone un tema ricorrente nello sport: il genitore che investe tempo e soldi con l’obiettivo che il proprio figlio diventi un campione.

Trama:
Felice Mirella è un ragazzo di tredici anni che proviene da una famiglia benestante: il padre Pietro Mirella, un ingegnere delle telecomunicazioni, concentra nel figlio la speranza e l’aspettativa per un futuro di successo nel mondo del tennis.
La figura del “genitore coach” emerge dalle prime battute del film: Felice viene seguito in varie sessioni di allenamento dal padre Pietro, il quale gli ordina quello che deve fare in campo e quale stile di gioco adottare. Il tennis, per Pietro, viene inteso in modo univoco: Felice deve giocare a non sbagliare e a rimettere la palla dall’altra parte della rete per costringere l’avversario all’errore. Gli prepara anche un quaderno con i colpi da dover giocare in relazione a determinati gesti comunicati dal padre al figlio durante le partite. Il tennis non è inteso come un gioco dove esistono varie strategie possibili per spiazzare l’avversario, in base alle proprie caratteristiche tecniche, ma diventa per Felice Mirella, su volere del padre, un mero calcolo matematico che deve portare sempre allo stesso risultato: l’errore dell’avversario.
Pietro Mirella decide di investire sul futuro del figlio mandandolo in giro nei tornei provinciali e regionali, sotto la guida dell’ex tennista professionista, nonché suo futuro coach, Raul Gatti, un maestro noto nel mondo del tennis nazionale.
Raul Gatti non comprende la visione sul tennis dell’ingegner Mirella, al punto da constatare che, nei primi tornei dove lo accompagna, il ragazzo non riesce a vincere, pur attenendosi agli schemi di gioco del padre. Raul, a causa della frustrazione di Felice nel perdere le partite, prova a fargli cambiare approccio: da ribattitore, in gergo “pallettaro”, a giocatore propositivo, che vada a rete a prendersi il punto.

Considerazioni tecniche:
La storia è ambientata nel 1989 in vari circoli di tennis italiani e località di mare sparse per la penisola, tra il Lazio e le Marche. Lo studio dei costumi assegnati ai personaggi è perfettamente in linea con quelli dell’epoca: i marchi Fila e Sergio Tacchini sono tra quelli più in voga in quel periodo storico del tennis italiano e non è un caso che il regista Andrea di Stefano, con la collaborazione dei costumisti, abbia vestito il maestro con tute della Fila e il suo allievo con abbigliamento Sergio Tacchini. Bene anche l’attenzione al materiale tecnico, come i borsoni e le racchette, profilate in grafite e piuttosto rigide, come si usavano negli anni ’80 e ’90 e che danno la sensazione allo spettatore di immergersi nel contesto di quell’epoca. Lo stile di gioco di Felice Mirella sembra quello di un ragazzo che realmente gioca a tennis, con riprese e angolature che ne enfatizzano le caratteristiche tecniche, senza troppe forzature: si percepisce come il regista Andrea Di Stefano, verosimilmente intenditore di tennis, sia abile nel coinvolgere il pubblico di appassionati.
Anche il ruolo attribuito a Pierfrancesco Favino è perfettamente centrato: Raul Gatti è un maestro, all’interno della storia, capace di intervenire quando necessario per correggere e per motivare il suo allievo, ma anche capace di distaccarsi, quasi estraniandosi, quando Felice Mirella comunica una totale mancanza di ascolto nei suoi confronti per seguire testardamente i consigli del padre.


Considerazioni personali:
Contrariamente al classico film che vede il giocatore protagonista crescere progressivamente ed avere successo nelle tappe più importanti della propria carriera, Il Maestro è una storia che si sviluppa esattamente al contrario di come la si prospetta. E in questa sua contrarietà è brutalmente genuina: la figura del “genitore coach” è una realtà vera, nella vita di tutti i giorni, che può portare il figlio a vivere lo sport, non come un divertimento, ma come un obbligo di vita. Di Stefano è astuto nel trasformare questo rapporto padre-figlio, rappresentato da Pietro e Felice Mirella, in un incontro tra coach-allievo, rappresentato da Raul Gatti e Felice Mirella: questa collaborazione tra i due lascia fantasticare allo spettatore un futuro cambiamento in Felice, che si separa finalmente dalle aspettative di un padre pressante per farne emergere una parte valida mai espressa, proprio grazie al nuovo rapporto con il coach Raul Gatti. Ma si scoprirà, nella visione del film, che non è così.
Durante la storia emergono, da un lato, la costante incapacità dell’allievo di trovare una chiave risolutiva alle proprie sconfitte e la frustrazione come risposta a questa incapacità, mentre, dall’altro, il vissuto personale del maestro che si riflette nelle scelte presenti con il proprio allievo. Favino interpreta alla grande il ruolo del maestro, esattamente come un maestro di tennis non dovrebbe mai essere, ovvero dedito ai vizi, al divertimento, alla mancanza di disciplina e di devozione al lavoro. Il passato che Raul Gatti vive, infatti, è all’apparenza una vita di successi come tennista, ben presto accompagnati da sregolatezze, trasgressioni, relazioni sbagliate e mancate corrispondenze.
Le difficoltà che il coach e l’allievo vivono nel loro percorso dentro e fuori dal campo, li avvicina sempre di più in un rapporto dove entrambi cercano di sostenersi l’un l’altro nel superarle, anche se gli errori e le impossibilità del passato non si possono più cancellare. Ed è proprio qui che si cela la bellezza del film: Andrea Di Stefano si serve di due validi attori, Pierfrancesco Favino e Tiziano Menichelli, per far vivere allo spettatore il trionfo dell’insuccesso, dove Raul Gatti e Felice Mirella falliscono entrambi nel proprio ruolo, pur perseguendo alla fine un obiettivo comune, in contrapposizione agli insegnamenti del padre.

Federico Bazan © produzione riservata


Il ricordo di Nicola Pietrangeli

Nicola Pietrangeli è stata e rimarrà un’istituzione dello sport con la racchetta, il primo tennista italiano a vincere il Roland Garros, nel 1959, a rivincerlo l’anno seguente, nel 1960, ed il primo Capitano non giocatore di Coppa Davis a portare l’Italia al successo, nel 1976, a Santiago del Cile.
Pietrangeli detiene diversi record nel palmarès, ad oggi ancora imbattuti:
– di tornei conquistati, in totale 48, che finora nessun altro tennista italiano è riuscito ad eguagliare numericamente;
– di partite giocate in Coppa Davis, 164, di cui vinte 120;
– di versatilità tanto nel singolare, quanto nel doppio, insieme a Orlando Sirola, con cui ha vinto il Roland Garros sempre nel 1959.

La mia foto con Nicola Pietrangeli ad un convegno sul tennis nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, nel 2014

Aldilà dei trofei che lo descrivono come uno dei più grandi campioni che il tennis italiano abbia mai avuto nella storia, Nicola Pietrangeli lascia una eredità all’intero movimento dello sport con la racchetta. A lui stesso è stato, infatti, intitolato uno dei campi più affascinanti del mondo, che si trova al Foro Italico, lo stadio Nicola Pietrangeli, proprio per il notevole apporto che egli stesso ha dato al tennis, e non solo italiano.
Mancheranno la sua ironia, le sue battute scherzose agli altri tennisti, la sua presenza fissa agli Internazionali BNL d’Italia nei vari campi con gli altri personaggi dello spettacolo.
Ricordo, personalmente, quando frequentavo l’Università degli Studi Roma Tre, il giorno in cui tenne un convegno sul tennis insieme a Adriano Panatta nel dipartimento di Giurisprudenza: era un continuo sfottò tra i due su chi fosse stato il tennista più influente in Italia. All’epoca il tennis, infatti, era molto più chiacchierato, quasi da “salotto”, e le battute tra Pietrangeli e Panatta ne erano l’esempio più calzante.

L’autografo di Nicola Pietrangeli sulla copertina del libro “500 Anni di Tennis”, opera di Gianni Clerici

Grazie Nicola, per il grande contributo che hai dato al nostro sport e per i valori che hai trasmesso alle generazioni successive. Sei stato l’inizio di un lungo percorso di successi che il tennis italiano vanta oggi in tutto il mondo, nonché un nome indelebile nei libri di storia dello sport.

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Fabio Fognini

La mia foto con Fabio Fognini al Foro Italico, dopo un suo allenamento in uno dei campi ground

– L’avvicinamento al tennis di Fabio Fognini ha inizio nel piccolo comune ligure di Arma di Taggia, in provincia di Imperia. Perché hai scelto il tennis e quali sono state le prime figure di riferimento che ti hanno avviato al nostro sport?

– Da piccolo giocavo a tennis, a calcio e sciavo molto bene, fin quando, a forza di andare al circolo con mio papà Fulvio che ne era il presidente, mi sono buttato a 12 anni definitivamente sul tennis, pensando di aver scelto il meglio.


– È necessario intraprendere un percorso fatto di tanti sacrifici e dedizione prima di accedere al professionismo. Avresti mai immaginato di diventare, un giorno, uno dei tennisti italiani più famosi?

– Ho perso tutta la mia adolescenza e ti devo dire che mi manca. Ho fatto i sacrifici che tutti i ragazzi compiono, sia che diventino numero 1 o numero 1000 del mondo.

L’esultanza di Fabio Fognini agli US Open

– Tutti ricordano le grandi partite che hai giocato, come le vittorie indimenticabili contro Rafael Nadal agli US Open, dove perdevi 2 set a 0, a Rio De Janeiro, a Barcellona e, soprattutto, in semifinale a Monte-Carlo, torneo Master 1000 che poi hai vinto, battendo in finale Dusan Lajovic. Anche le varie imprese in Coppa Davis: tra le tante, quella contro l’allora numero 1 del mondo Andy Murray, che hai sconfitto nettamente anche a Roma, oltre a Napoli con la maglia azzurra. Per conseguire questi risultati, è necessario un lavoro di qualità e di quantità che ti ha portato nel 2013, sotto la guida di José Perlas, fra i primi 20 giocatori del mondo. Quali sono state le vittorie più significative che ricordi con maggiore soddisfazione?

– La partita più bella l’ho giocata in Coppa Davis contro Andy (ndr. Andy Murray), ma non male anche quella a New York contro Rafa (ndr. Rafael Nadal).

Fabio Fognini con Roger Federer al torneo di Madrid

– Hai giocato nel circuito professionistico in un periodo storico di grandi campioni quali Federer, Nadal, Djokovic, Murray, Del Potro, Wawrinka e molti altri ostici top ten – eppure hai conseguito risultati di prestigio. Malgrado questo, hai sempre ricevuto critiche, spesso gratuite da parte dei soliti “scienziati”. Come hai arginato in tutti questi anni il peso delle aspettative, derivante dai giudizi?

– Dei commenti demenziali non mi è mai interessato nulla perché arrivano da quei scommettitori frustrati che non meritano risposta; a loro ci pensava mio padre.

– Nel libro “Warning – La mia vita tra le righe”, dove si racconta la tua biografia, emergono due facce di Fabio Fognini: il genio, da un lato, e la sregolatezza dall’altro. Reputi questa tua ambivalenza caratteriale, così come viene descritta nel libro, un punto di forza che ha forgiato il Fabio Fognini in campo o, al contrario, un qualcosa che lo ha limitato nel raggiungere traguardi ancor più importanti di quelli già grandi che ha ottenuto nella sua carriera professionistica?

– Se avessi avuto un servizio buono, sarei rimasto per dieci anni nella top ten, ma purtroppo io servivo dalla cantina, mentre molti altri dal decimo piano di un palazzo!

L’esultanza di Fabio Fognini in una delle tante partite disputate con la maglia azzurra in Coppa Davis

– L’ultima partita della tua carriera, nel 2025, sul centrale di Wimbledon contro Carlos Alcaraz, ti ha visto vincere due set al numero 2 del mondo, tra l’altro più giovane di te di ben sedici anni, è la testimonianza di quanto fosse alto il livello del tuo tennis. Cosa ti mancherà di più di questi irripetibili 20 anni vissuti nel circuito professionistico al fianco di grandi campioni?

– Personalmente mi mancherà la routine quotidiana fatta di sudore, tensione, soddisfazione e delusione. Per quanto riguarda il tennis, è cambiato molto negli ultimi anni: non ci sono più i giocatori, o comunque ce ne sono pochissimi, con il talento dei campioni di 15 anni fa. Ora tirano, chi più chi meno, a 300 km/h e gli spettatori cominciano a essere stufi perché vorrebbero vedere qualcosa di diverso.

– Fabio Fognini dopo il tennis giocato. Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai mai pensato di occuparti di coaching, seguendo da vicino giovani talenti emergenti e giocatori professionisti? O anche di cimentarti come commentatore in un studio televisivo?

– In questo periodo mi godo la famiglia, divertendomi a partecipare in qualche trasmissione simpatica come “Ballando con le Stelle”, per il resto chi vivrà vedrà. Ciao a tutti.

Foto archivio: Fulvio Fognini

Federico Bazan © produzione riservata

Fabio Fognini si ritira dal circuito professionistico: il mio ricordo del tennista e dell’uomo

Wimbledon 2025 è stata l’ultima apparizione nella carriera di Fabio Fognini, che è uscito di scena a testa alta contro il numero 2 del mondo Carlos Alcaraz, impegnandolo fino al quinto set, nel primo turno dello Slam londinese. In conferenza stampa, Fabio Fognini ha dichiarato: “È stata una bella corsa. In vent’anni dentro al circuito ho avuto la fortuna di giocare contro i più forti della storia, contro i due giocatori più forti della seconda storia. E poi giocare una partita così con Alcaraz, anch’io non me l’aspettavo. È stato tutto bello. Mi mancherà un po’ la competizione, un po’ meno la routine. Sono entrato in punta di piedi ed esco a testa alta con una sconfitta/vittoria sul Centrale di Wimbledon che per il Fabio Fognini ragazzino, ad Arma di Taggia, è una cosa bellissima”.

Fabio Fognini annuncia il ritiro dal circuito ATP in conferenza stampa


Fognini tennista nei numeri:

Tra le partite più significative vinte dal tennista ligure, in vent’anni di carriera, ci sono, come egli stesso ha ricordato: “I miei tre match migliori? Con Alcaraz qui a Wimbledon, con Murray in Coppa Davis e con Nadal a Monte-Carlo”. A questi, personalmente aggiungerei la vittoria nel secondo turno a Roma contro l’allora numero 1 al mondo Andy Murray e gli altri successi contro Rafael Nadal in semifinale a Rio de Janeiro, a Barcellona agli ottavi di finale e agli US Open, nei sedicesimi di finale.

I tornei più importanti conquistati? In singolare, il Masters 1000 di Monte-Carlo. In doppio, gli Australian Open con Simone Bolelli. A dimostrazione della versatilità ed adattabilità di Fognini sia in singolare, sia in doppio a prescindere dalla superficie di gioco. Il record di essere entrato nella top ten sia in singolo sia in doppio, record unico per un tennista italiano, rende Fognini uno dei giocatori più completi di sempre in entrambe le specialità.

La statistica più interessante? Oltre ad essere stato numero 9 al mondo e ad aver battuto diversi numero 1 del ranking ATP tra cui Rafael Nadal e Andy Murray – nell’arco ventennale della sua carriera all’interno del circuito maggiore, Fognini è stato ed è rimasto nei primi 20 giocatori al mondo, per un totale di 220 settimane complessive. Questo periodo di tempo equivale, circa, a 5 anni e 3 mesi della sua carriera, uno degli elementi che ha permesso a Fognini di essere molto competitivo contro i top players, in più occasioni e in diverse annate.


Fognini tennista nella tecnica:

Il braccio educato, la classe e la facilità di esecuzione di Fognini sono caratteristiche mai passate inosservate per chi lo ha visto giocare. Il gioco del tennista ligure si è sempre distinto per la capacità improvvisa sia di dritto che di rovescio di accelerare i colpi, mascherandone la direzione, e piazzarli agli angoli del campo, grazie alla velocità di braccio e alla precisione nell’indirizzare la palla. Giocatore di grande estro e di grande tocco, Fognini è stato uno di quei tennisti con varie soluzioni tecnico-tattiche da poter adottare: dal vincente da fondo campo a seguito di uno scambio prolungato, alla discesa a rete con la volée di chiusura, piuttosto che la smorzata fintata anche da lontano dalla rete. Contrariamente a quel che si pensi per l’assenza di un vero e proprio split step, il gioco di gambe e gli scatti brevi in avanti e laterali, sono state altre doti del suo tennis che gli hanno consentito di vincere dei punti recuperando delle palle impensabili.


Fognini uomo nel carattere in campo:

Giocatore dalla personalità ribelle ed impulsiva, nel corso della carriera Fognini si è lasciato andare a dichiarazioni ed imprecazioni, nei momenti più delicati. Ma ha sempre riconosciuto di aver sbagliato, chiedendo scusa nelle sedi opportune e dimostrando una maturità progressiva con il passare degli anni. “Dicevo sempre le cose come stavano. Ho sbagliato, ma fa parte di un percorso molto lungo. Ci sono state più salite che discese. Ci sono degli obiettivi: a volte puoi raggiungerli, altre devi voltare pagina. Oggi sono qui per andare punto e a capo. Inizia una nuova vita fuori dal campo. Sono disposto a dare consigli a chi vorrà, ascoltando anche le cose brutte. Dire le cose come stanno porta a volte allo scontro, ma si esce più forti. Questo lo devo a mio padre, molto diretto e senza peli sulla lingua”.

La mia foto con Fabio Fognini agli Internazionali BNL d’Italia 2025, al termine di un allenamento sui campi ground

Fognini uomo nel ricordo personale:

Insieme a Andreas Seppi, Paolo Lorenzi e Simone Bolelli, credo che Fognini sia stato il giocatore protagonista, in grado di trascinare con grande dedizione il movimento del tennis italiano, in un periodo nel quale la Federazione Italiana Tennis faceva fatica a trovare dei talenti emergenti nel vivaio maschile (mi riferisco al periodo che va più o meno dal 2007 al 2017, prima dell’affermazione di Matteo Berrettini). Quando Fognini è stato convocato in Coppa Davis, ha sempre risposto “presente”, non rinunciando mai a giocare per la maglia azzurra e portando a casa partite tutt’altro che semplici.
Aldilà delle vittorie e degli ostacoli, degli alti e dei bassi, che fanno parte inevitabilmente della carriera di un tennista, il ricordo che conservo di Fabio Fognini, sotto l’aspetto umano, è sorprendente: nel lontano 2013 – l’anno dell’exploit del tennista ligure con l’ingresso in top 20 e le vittorie dei tornei di Stoccarda, Amburgo e la finale ad Umago – lo vidi giocare nella gara di Coppa a Squadre di Serie A tra il Circolo Canottieri Aniene, formazione di casa, e il Park Tennis Genova, formazione in trasferta, per la quale giocava Fognini. Il clima sulle panchine del circolo era piuttosto di parte per la squadra di casa, capitanata da Vincenzo Santopadre, con Flavio Cipolla ed un giovanissimo Matteo Berrettini, appena diciassettenne.
In quella domenica mattina, i due Capitani schierarono, nel match di singolare, Flavio Cipolla, da un lato, e Fabio Fognini, dall’altro. La partita fu molto lottata e nervosa: sugli spalti si sentivano dei fischi e delle parole offensive nei confronti di Fabio, il quale rispose con molta eleganza agli insulti: “Non mi offendete, però”. Ricordo le sue parole come se fosse ieri. La partita fu vinta da Flavio Cipolla, l’allora numero 190 del mondo, mentre Fognini era appena entrato nei primi 20 del ranking ATP.
Mi resi conto, alla fine dell’incontro perso da Fognini e le parole che dovette incassare ingiustamente da qualche tifoso, che chiedergli una foto e un autografo sulla copertina del libro “500 Anni di Tennis” – con il quale andavo in giro per strappare le firme dei grandi giocatori – sarebbe stato un rischio per una eventuale reazione non gradita da parte sua, considerando gli insulti beceri che qualcuno gli aveva riservato sugli spalti e la sconfitta contro un giocatore nettamente più basso di lui in classifica.
Fuori dal campo, al termine del match, seguendo “Fogna” e dirigendomi verso lo spogliatoio, gli domandai con voce timida: “Fabio possiamo farci una foto e posso avere un tuo autografo?”. Fabio capì il mio interesse e il mio sostegno nei suoi confronti e mi disse: “Vado a farmi una doccia e torno”.
A volte, è meglio aspettare molto tempo ma ricevere un dono inaspettato, che avere fretta e andarsene senza sapere quel che di bello riserverà il futuro.
Venti minuti dopo, forse mezz’ora, Fabio ritornò vicino al campo dove intanto mi guardavo intorno cercando di avere altri autografi dai vari giocatori presenti. Si fece scattare una foto e incise il suo nome e cognome con il pennarello sulla copertina “500 Anni di Tennis”.
Se Fognini è sempre stato criticato per il suo comportamento in campo, a volte bisogna essere capaci di vedere l’altra persona e le difficoltà che sta vivendo. Perché non è scontato che un tennista in pieno exploit di risultati dedichi del tempo ad un appassionato (in quel caso ero io), dopo esser stato insultato da qualcuno che di tennis non capisce nulla e ripreso dai compagni di squadra per aver perso una partita.
Penso che, dopo il tempo dedicatomi in quella occasione, debba personalmente ringraziare Fabio e riconoscerne una disponibilità e una apertura non così banali.

Con il ritiro dal tennis professionistico, si chiude un capitolo importante nelle pagine scritte da Fognini, ma la gratitudine per questo sport rimane e, per l’ormai ex tennista di Arma di Taggia, inizierà una nuova vita.

Fonti dichiarazioni: Sky Sport Wimbledon

Federico Bazan © produzione riservata

Recensione del film “Julie ha un Segreto”

Trama:
La protagonista del film, ambientato in Belgio, è Julie, una adolescente che trascorre le proprie giornate tra vita scolastica e allenamenti di tennis. Il regista Leonardo Van Dijl decide di elevarla rispetto agli altri coetanei della scuola per le capacità riscontrate da tutto il contesto accademico di cui fa parte. Infatti, alle selezioni della Federazione Belga, i talent scout la scelgono tra le giocatrici più promettenti dei vari club locali.
Se da un lato, quindi – emerge la voglia di Julie di mettersi in gioco, di crescere per diventare, in futuro, una tennista professionista attraverso allenamenti serrati e una dedizione smisurata per il tennis – dall’altro lato, Van Dijl evidenzia tutti i lati oscuri nella vita quotidiana della ragazza e dei suoi agenti socializzanti, dove non passano inosservati dei profondi silenzi, paradossalmente eloquenti. Ma cosa si cela dietro ai silenzi come risposta? Molto probabilmente una verità mai venuta a galla.
Questo dilemma, che accompagnerà lo stato d’animo dei personaggi per l’intera storia, vede in Jeremy, il coach più accreditato della scuola tennis di cui Julie stessa fa parte, l’attribuzione della colpa di fronte al suicidio di Aline, un’altra giovane giocatrice apparentemente promettente come la protagonista. L’accusa si trasforma facilmente in sospensione ed allontanamento di Jeremy dall’accademia. Motivo per cui, nasce nella scuola tennis, il desiderio profondo di rinnovare il rapporto allievi-coach, promuovendo il dialogo, l’esposizione dei problemi e delle difficoltà alle figure di riferimento, con l’obiettivo di favorire un clima disteso per la crescita umana dei ragazzi.
A Julie, che conosce meglio Jeremy, viene chiesto dai compagni dell’accademia di esprimersi sulla vicenda. Lo stesso quesito lo pongono Backie, il maestro sostituto di Jeremy, e Sofie, la direttrice responsabile della scuola. Ma Julie preferisce non esporsi.
L’unica cosa che fa, all’insaputa di tutti, compresi i genitori, è continuare a parlare telefonicamente con Jeremy per seguire dei consigli su come superare le selezioni della Federazione Belga. Salvo poi scoprire, in un secondo momento, che il suo ex coach verrà assunto in un’altra scuola tennis.

Messaggio:
Leonardo Van Dijl non fornisce una risposta esatta allo spettatore su quella che è la verità dei fatti all’interno del film. La storia lascia, a chi la guarda, libera interpretazione sul confine tra l’accusare e colpevolizzare qualcuno che non ha alcuna responsabilità sull’accaduto e l’accusare e colpevolizzare qualcuno che ha la piena responsabilità sull’accaduto. Si crea quindi un confronto a due, come se si trattasse proprio di una partita di tennis, dove – da un lato della rete – si trova l’irrefrenabile ricerca di un capro espiatorio da condannare a tutti i costi, mentre – dall’altro lato della rete – l’abuso di potere del proprio ruolo, sulle fragilità altrui, che spinge l’altra persona a prendere una decisione fatale, come il suicidio.
Van Dijl pone dunque allo spettatore un quesito essenziale: “dove si trova la verità?”.
Ma, soprattutto, mette al centro della scena due tematiche riscontrabili nella vita di tutti i giorni:
il pregiudizio, dove per pregiudizio si intende l’incapacità di vedere l’altra persona più in profondità. Questo elemento lo si riscontra chiaramente nella vicenda, quando l’accademia e la famiglia di Aline considerano Jeremy un assassino, reo di non aver sostenuto l’allieva a superare determinate difficoltà ma, anzi, di averle aggravate creando aspettative insostenibili dentro di lei;
l’errore umano, tradotto nei comportamenti dove si abusa del proprio potere per procurare un danno agli altri. Anche questo aspetto, come il pregiudizio, si evince in alcune scene del film ed, in particolare, nelle conversazioni telefoniche tra Jeremy e Julie, dove il coach viene a sapere di Backie, il nuovo sostituto all’interno dell’accademia che Jeremy scredita completamente davanti a Julie, salvo poi rivelarsi la figura, a livello umano, che guiderà la ragazza al successo.

Considerazioni tecniche:
La regia e la sceneggiatura si focalizzano molto sulla storia, sui rapporti interpersonali tra gli agenti socializzanti che interagiscono e provocano tra di loro delle reazioni, tanto nel contesto scolastico, quanto nel contesto sportivo. Il tema ricorrente al centro del film è il silenzio, in risposta all’accaduto, più che il tennis come sport nella sua complessità.
Ci sono, infatti, degli errori tecnici piuttosto evidenti che hanno luogo nell’arco del campionato inter club, facilmente riscontrabili da chi conosce il gioco del tennis anche in un modo non così approfondito: Julie e l’avversaria, al termine di un match di singolare, non si stringono la mano vicino alla rete, non si salutano e nemmeno si avvicinano l’una all’altra per interagire. Mai visto in nessuna partita di tennis;
un altro errore, ancor più eclatante, è nel match di doppio tra le due squadre avversarie: Julie serve da sinistra e scende a rete giocando una volèe vincente; al punto successivo si vede Julie servire nuovamente da sinistra, senza cambiare lato. Per un film sul tennis, pur trattando maggiormente alcune tematiche sociali, è un dettaglio che non può sfuggire allo spettatore, amante di questo sport;
anche Backie, il coach sostituto di Jeremy, riproduce in campo delle situazioni non molto veritiere, in quanto, negli esercizi dal cesto, non fornisce mai un feedback correttivo a Julie. Van Dijl, addirittura, con estrema fantasia, ordina a Backie di mostrare il servizio in kick di Julie a tutti gli altri allievi presenti durante l’allenamento, senza correggerli minimamente sulle esecuzioni successive alla dimostrazione.

Considerazioni finali:
L’alone di mistero lasciato dal regista, riguardo alla storia, è intrigante ed affascinante; questo perché lo spettatore è libero di interpretare le decisioni, le azioni e i comportamenti dei personaggi a suo modo di vedere. Van Dijl ci interroga su due quesiti: “Qual è la verità?” In altri termini: “Perché Aline si è suicidata?”. “Chi è che sbaglia? L’accademia ad accusare l’allenatore ingiustamente o il coach ad abusare dell’allieva?”.
Se dal punto di vista narrativo, il film propone delle tematiche efficaci agli occhi dello spettatore nella loro complessità, come l’accusa, l’abuso e il silenzio, dal punto di vista tecnico, sono evidenti delle lacune, che lasciano intendere allo spettatore come la regia e la sceneggiatura abbiano unito le proprie forze per servirsi del tennis come mezzo e non come fine.

Fonti foto e video: I Wonder Pictures
Su gentile concessione di: Ufficio Stampa Echo Group, Milano

Federico Bazan © produzione riservata



Anteprima di “Julie ha un Segreto”, in uscita al cinema dal 24 aprile 2025

In uscita nelle sale cinematografiche italiane, dopo “Challengers” di Luca Guadagnino, un nuovo film sul tennis, intitolato “Julie ha un Segreto”, sotto la direzione artistica dello scrittore e regista belga Leonardo Van Dijl.

Presentato per la prima volta, nel 2024, al Festival del Cinema di Cannes, “Julie ha un Segreto” è il racconto di una adolescente, tra le più promettenti dell’accademia di cui fa parte, che vive la propria crescita nel tennis tra luci e ombre, ma soprattutto silenzi. Il suo coach la segue in campo, allenandola quotidianamente. Così come Julie, anche gli altri ragazzi dell’accademia, ricevono la stessa supervisione tecnica da parte del maestro. Ma qualcosa di impensabile esce allo scoperto: il coach viene accusato e, successivamente, sospeso dall’accademia, per comportamenti inappropriati nei confronti di un’allieva.
I conoscenti e le persone più vicine alla protagonista, vogliono arrivare alla verità dei fatti e capire cosa ci sia dietro a questa sospensione. Julie, avendo probabilmente instaurato un legame più stretto con il coach rispetto alle altre giovani tenniste, viene interpellata sulla vicenda… ma la ragazza deciderà di non esporsi. Si scopre, durante la visione del film, se Julie sceglierà la via del silenzio per timore delle conseguenze o per altre motivazioni.

Il regista decide dunque, servendosi in questo film del binomio allievo-coach, di trattare alcuni temi ricorrenti nella società di oggi, tra i quali la sopraffazione, da un lato, rappresentata dal comportamento dell’allenatore; le accuse dei genitori dell’allieva, rivolte al coach, con la conseguente sospensione dal circolo dello stesso; mentre il silenzio, dall’altro lato, come risposta della protagonista di fronte alla verità.

Fonti foto e video: I Wonder Pictures
Su gentile concessione di: Ufficio Stampa Echo Group, Milano

Federico Bazan © produzione riservata

La WADA allontana Jannik Sinner dal circuito: 3 mesi di sospensione per il numero 1 del mondo

La WADA, a seguito della vicenda Clostebol, ha squalificato Jannik Sinner per tre mesi dal circuito maggiore. L’attuale numero 1 al mondo sarà costretto a saltare 4 tornei Master 1000, nell’ordine: Indian Wells, Miami, Montecarlo e Madrid. Potrà rientrare a competere direttamente agli Internazionali d’Italia, con la conseguenza che perderà punti e montepremi nei vari appuntamenti che precedono il Master 1000 di Roma.
Pur riconoscendo che Jannik Sinner non avesse avuto alcuna intenzione ad assumere volontariamente il Clostebol, che la sua esposizione alla sostanza fosse minima e, pertanto, non gli avesse fornito alcun beneficio in termini di prestazioni, la WADA ha ritenuto opportuno sospendere il tennista altoatesino a causa della negligenza del proprio team, riguardo alla vicenda.

Le opinioni si dividono in modo netto tra chi sostiene l’innocenza di Sinner e chi rimane con il sospetto che il tennista azzurro sia stato coperto dal suo staff per tutelare la propria posizione. Dure le critiche di alcuni colleghi del circuito, tra cui Stan Wawrinka, che scrive sul suo profilo Twitter: “Non credo più in uno sport pulito”; e Nick Kyrgios, che afferma: “Ridicolo – che sia stato accidentale o pianificato. Se vieni testato due volte con una sostanza vietata (steroidea)… dovresti essere sospeso per due anni. Le tue prestazioni sono state migliorate. Crema da massaggio… Sì, bello.

A seguito della sentenza emessa dalla WADA e, senza sottovalutare la totale mancanza di solidarietà di alcuni tennisti per l’accaduto, Il Mondo del Tennis sostiene Jannik Sinner e il suo staff per quello che può rappresentare un momento delicato nella carriera del tennista altoatesino. Il modo per fermare la cavalcata di successi dell’attuale numero 1 del mondo è stato trovato: si attenderà di capire quali saranno la reazione di Sinner e del suo team al rientro nel torneo di Roma, dove verranno verosimilmente accolti da un bagno di folla.

Fonti dichiarazioni e foto: profili Twitter di Stanislas Wawrinka e Nick Kyrgios

Federico Bazan © produzione riservata

Numeri da urlo per Jannik Sinner

Jannik Sinner detiene diversi primati:
– è il primo tennista italiano nella storia ad aver vinto tre tornei del Grande Slam in singolare;
– è il primo tennista italiano nella storia ad aver raggiunto la prima posizione del ranking ATP;
– è il sesto tennista nella storia, a livello mondiale (dietro a McEnroe, Connors, Federer, Borg e Djokovic), ad aver registrato la percentuale più alta di vittorie in un solo anno nel circuito professionistico (81 incontri disputati nel 2024 di cui 74 vittorie e 7 sconfitte);
– è il tennista di maggior successo sul cemento indoor nel 2024, con 13 vittorie su 13 incontri giocati;
– è stato il tennista decisivo in Coppa Davis ad aver vinto tutti i match di singolare e di doppio nel 2023 e nel 2024 e ad aver portato l’Italia a conquistare, per due edizioni consecutive, l’insalatiera dopo 47 anni dall’ultimo successo azzurro a Santiago del Cile, nel 1976.

Senza considerare che Sinner è il tennista italiano con il più alto numero di sponsor (circa 10), nonché tra i primi di sempre in tutti gli sport, e che vanta un patrimonio complessivo stimato, tra montepremi e contratti, che si aggira intorno agli 80 milioni di euro

Sinner è, attualmente e in prospettiva futura, un atleta da record che non smette di stupire il mondo del tennis e che avrà ancora molto da dire.

Fonti statistiche:
https://www.tennislive.it/atp/jannik-sinner/?su=3&y=2024
https://www.sisal.it/scommesse-matchpoint/blog/racchette/jannik-sinner-patrimonio-stipendio

Federico Bazan © produzione riservata

L’Italia del tennis sul tetto del mondo: doppio successo storico per gli Azzurri

Il tennis italiano ha sempre vissuto fasi alterne, tra il 1976 e il 2023. Il movimento femminile e quello maschile hanno vinto, rispettivamente, la Billie Jean King Cup e la Davis Cup, in periodi diversi e molto lontani l’uno dall’altro: quando Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli trionfarono a Santiago del Cile nel 1976 e arrivarono in finale in altre tre edizioni (1977, 1979 e 1980) – mancava all’epoca un movimento del tennis femminile, allo stesso livello, che potesse affermarsi nell’allora Federation Cup.
Lo stesso discorso vale anche a parti invertite: quando Pennetta, Schiavone, Vinci ed Errani bissarono i quattro storici sigilli nel 2006 a Charleroi, nel 2009 a Reggio Calabria, nel 2010 a San Diego e nel 2013 a Cagliari – il movimento del tennis maschile faceva fatica ad arrivare in una finale di Coppa Davis.
Per la prima volta, nel 2024, si è verificata un’inversione di tendenza che ha sfatato il discorso ciclico dei due movimenti e che ha rappresentato un traguardo unico nel tennis italiano: dopo l’impresa doppia sfiorata nel 2023, l’Italia è salita sul tetto del mondo, sia con le ragazze di Tathiana Garbin, sia con i ragazzi di Filippo Volandri, nella stessa stagione, nello stesso mese, nella stessa località.


Tra i campioni del mondo, si sono confermati protagonisti assoluti del 2024 Jasmine Paolini e Jannik Sinner che, oltre ad aver vissuto a pieno l’anno della consacrazione nella propria carriera, hanno trainato le rispettive squadre al successo. Se i protagonisti sono stati Paolini e Sinner per aver conquistato i punti che contavano nelle sfide decisive, i giocatori ritrovati sono stati Sara Errani e Matteo Berrettini. Una Errani veterana, spinta a non fermarsi da una inarrestabile Paolini, ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi in doppio, più la Billie Jean King Cup, e da lì sembra stia rivivendo una seconda giovinezza tennistica, che le ricorda di quanto fosse abituata ad alzare al cielo trofei su trofei, specialmente nei doppi con la storica compagna Roberta Vinci.
Un Berrettini sull’orlo del baratro, a seguito di ripetuti infortuni e mancanza di motivazione, a seguito dell’uscita dalla top 100, ha risposto “presente” in Coppa Davis, ritrovando nel servizio e nel dritto i suoi punti di forza, proprio come quando era un top ten. I giocatori “sorpresa” sono stati, invece, Lucia Bronzetti e Andrea Vavassori per aver dato un contributo speciale alle due squadre: la Bronzetti per aver vinto il suo match di singolare contro la Slovacchia, proprio in finale, e aver garantito il primo importante punto alla formazione azzurra; Vavassori per aver rimpiazzato con onore il posto di Fabio Fognini, storico compagno di doppio di Simone Bolelli.

Il successo dell’Italia del tennis, a Malaga, è stato il coronamento e il completamento del lavoro svolto dall’intera Federazione Italiana Tennis e Padel che, dopo anni altalenanti, fatti di gioie ma anche di altrettanti periodi vuoti, ha investito tanto in attività provinciali, regionali, nazionali, strutture adeguate e corsi di formazione. Il tutto è stato finalizzato ad incrementare la pratica del tennis nei circoli sportivi, nelle scuole tennis del Sistema Italia. Da quando Jannik Sinner ha vinto gli Australian Open, gli US Open, le ATP Finals ed è diventato il numero 1 al mondo – c’è sempre più voglia di giocare a tennis a qualsiasi livello e a qualsiasi età. Il Sistema Italia è rinato con una vasta rosa di giocatori di alto livello, sia in ambito maschile che in ambito femminile, diventando una Nazione leader in tutto il mondo per quanto riguarda lo sport con la racchetta.

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Tonino Zugarelli

Antonio Zugarelli, conosciuto da tutti come “Tonino”, ha dato tanto al tennis italiano: è stato numero due d’Italia nel 1973 e ha raggiunto la ventiquattresima posizione del ranking mondiale nel 1977. Vincitore della Coppa Davis nel 1976, insieme a Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Paolo Bertolucci, e finalista degli Internazionali di Roma nel 1977 – Zugarelli vanta due tornei ATP Tour all’attivo: Bastad in singolare e Bruxelles in doppio.

La mia foto con Tonino Zugarelli al Bar del Tennis del Foro Italico


– A che età hai scoperto il tennis? È stato il tuo primo sport?

– Il tennis non è stato il mio primo sport perché all’epoca, negli anni ’50, i bambini sceglievano il calcio. Il tennis, per me, è stata quasi un’esigenza, perché nasco come un giocatore che ha fatto, prima di tutto, il raccattapalle. Provengo da una famiglia povera, perciò c’era bisogno di aiutare i miei genitori con il lavoro di raccattapalle, nei circoli sul Lungotevere, a Roma. Il tennis era uno sport d’élite, e questo era uno dei motivi per cui, dopo aver raccolto le palline per un’ora, speravo di ricevere qualche mancia. Mancia che sarebbe servita per dare una mano alla mia famiglia.

– La storia di Tonino Zugarelli sui campi da tennis è iniziata con Mario Belardinelli, all’epoca figura di spicco della Federazione Italiana Tennis e talent scout di giovani tennisti. Puoi raccontare ai nostri lettori cosa ha notato Belardinelli nel tuo gioco e quali ricordi conservi di lui ancora oggi?

– Mario Belardinelli ha rivestito una parte importantissima nella mia vita e nella mia carriera di tennista. Però si parla già di quando avevo 20 anni, periodo nel quale fui convocato al Centro di Preparazione Olimpica di Formia. Facendo un passo indietro, quando avevo circa 15 anni, ci sono stati degli eventi che mi hanno dirottato dal calcio al tennis in modo definitivo. Belardinelli non è stata, quindi, l’unica figura importante nella mia crescita di giocatore, ma ve ne sono state altre prima, risultate per me determinanti nella scelta di fare il tennista. Dopo di queste, è avvenuto il passaggio al professionismo ed ecco lì che Belardinelli ha ricoperto la parte relativa alla formazione.
Riguardo ai ricordi che ho di lui… posso dirti che era un professionista attento a predisporre mentalmente i giocatori ed aveva la capacità di entrare dentro la loro testa, a capirli e a plasmarli. Aveva tutti i requisiti per aiutarmi a raggiungere i miei obiettivi.

– Chi sono stati i tennisti italiani, della tua generazione, con i quali hai condiviso i momenti più belli della tua vita in campo? Quale rapporto umano si è instaurato con ognuno di loro?

– Ho vissuto la mia vita con diversi giocatori. Nell’ambito della Coppa Davis, ho passato tanto tempo insieme a Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Paolo Bertolucci. Però ho instaurato un’amicizia più profonda con altri tennisti, fuori dal contesto della Nazionale: per fare dei nomi, direi Vincenzo Franchitti e Ezio Di Matteo, tra tutti.
Con gli altri tre giocatori della Coppa Davis, abbiamo condiviso vittorie e sconfitte insieme. Con loro c’era sicuramente un rispetto reciproco. Ognuno aveva la capacità di stare al suo posto e di portare il suo apporto alla Nazionale, elementi che ci hanno consentito di essere coesi. Fermo restando che, per me, l’amicizia è un’altra cosa: Franchitti e Di Matteo lo sono stati nel vero senso del termine.

I protagonisti del film “Una squadra”, vincitori della Coppa Davis nel 1976 in Cile, insieme al produttore cinematografico Domenico Procacci

– Sei stato campione dell’insalatiera nel 1976 in Cile, nella squadra dei “quattro moschettieri” con Panatta, Barazzutti e Bertolucci. Il Capitano non giocatore, della formazione azzurra, era Nicola Pietrangeli, con il quale c’erano delle discrepanze. Cosa successe tra di voi negli anni ’70?

– In Coppa Davis, dall’inizio alla fine, ci sono sempre stati una grande armonia, un rispetto reciproco e un equilibrio tra i giocatori, elementi che ci hanno portato ad ottenere delle vittorie che, per noi, ancora oggi, rimangono intramontabili. I problemi che ho avuto sono nati con l’avvento del Capitano Nicola Pietrangeli, non perché non mi avesse fatto giocare, ma per una mancata considerazione da parte sua, nei miei confronti, come giocatore. Mi vedeva più come “un tappabuchi”, impiegabile nella squadra solo nei momenti di necessità. Avvertivo, quindi, che non avesse una grande stima di me, né come persona, né come giocatore. E questo era il motivo per cui mi ribellavo quando lui non rispettava le regole di convivenza. Ma non ci sono state mai, da parte mia, delle polemiche sull’esclusione o sul non avermi fatto giocare in certi incontri.

– Cosa ne pensi della nuova formula della Coppa Davis e dei risultati fin qui conseguiti dall’attuale movimento di tennisti italiani?

– La nostra Coppa Davis era strutturata in un modo completamente diverso rispetto a quella attuale. Diciamo che è rimasto soltanto il nome di quella che era la vecchia Coppa Davis, ma questo non ne toglie il prestigio e la risonanza. Anzi, devo dire che, nel 2023, il successo ottenuto dai ragazzi capitanati da Filippo Volandri, ha rivalutato la vecchia e la nuova formula. Anche se sono cambiate molte cose, i nostri tennisti italiani hanno dimostrato di tenerci alla Coppa Davis e ai colori della maglia azzurra. Prendiamo Sinner, che ha contribuito in modo importante alla vittoria dell’Italia. Ed è proprio grazie all’impegno di questi ragazzi, che hanno profuso tutte le energie per vincere, che è stata rivalutata anche la nostra Coppa Davis. Se loro non l’avessero vinta e il mondo non ne avesse parlato così ampiamente in televisione e sui social, a noi del ’76 in Cile chi ci avrebbe ricordati? Se la squadra attuale è riuscita in questa impresa, anche la squadra dell’epoca è degna della stessa considerazione. Quindi, in un certo senso, ne abbiamo avuto beneficio anche io, Adriano, Corrado e Paolo, oltre all’allora Capitano. Dopo 47 anni, è stata una gratificazione che abbiamo avuto, grazie a loro. E questo aspetto penso sia da mettere in risalto.

Nel 1982 è terminata la tua carriera da tennista professionista. In seguito, purtroppo, si è sentito parlare sempre meno di Tonino Zugarelli, pur rimanendo uno dei grandi protagonisti del tennis italiano. Facendo un breve riassunto in ordine cronologico, di cosa ti sei occupato da dopo il tuo ritiro ad oggi?

C’è da fare una premessa importante. Il professionismo, nel tennis, è nato intorno agli anni ’74-’75. Vuol dire che, prima, il tennis era dilettantismo. Non c’erano montepremi che potessero spingere i giocatori a disputare tornei lontani dal proprio Paese. Prendo, come esempio, noi quattro della Coppa Davis: mi risulta che Barazzutti sia andato solo una volta a giocare gli US Open. Anche in Australia non si andava, in quanto si dovevano spendere troppi soldi di tasca propria per provare a vincere solo una coppa. Quando mi sono ritirato, il circuito internazionale ha iniziato ad investire economicamente di più nei tornei, ma non erano comunque dei montepremi paragonabili a quelli di oggi.
Il tennis non è come nel calcio dove, quando smetti di giocare e superi l’esame di allenatore, ti occupi di professionismo, se non di Serie A almeno di Serie B. Quindi, quando si terminava la carriera di giocatore, le strade erano due: o si lavorava nella Federazione, o si era costretti ad entrare in un circolo per fare delle lezioni ed andare avanti.
Preciso che la mia carriera non mi ha arricchito, per cui, appena mi sono ritirato dal tennis giocato, ho dovuto cercare un lavoro non avendo avuto la possibilità di collaborare con la Federazione. A quel punto, ho iniziato a pensare di cosa occuparmi nel dopo tennis: decisi di investire i risparmi, che avevo da parte, in un circolo di tennis e dovetti prendere anche un mutuo. Purtroppo, però, per varie vicissitudini, questo progetto non andò per il verso giusto.
Successivamente, venni chiamato dalla Federazione e questa collaborazione durò 5 anni. Oggi, superati i 70 anni, ho trovato un po’ di stabilità nel lavoro e, grazie al Foro Italico, sono circa 7-8 anni che sto lavorando in modo continuativo.

– Attualmente ricopri il ruolo di Direttore Tecnico della scuola tennis del Foro Italico. In cosa consiste la tua attività in un palcoscenico così prestigioso a livello internazionale, come quello del Foro, che ogni anno ospita gli Internazionali di Roma?

– Il Foro Italico è una location di prestigio, nella quale faccio il coordinatore della scuola tennis. Abbiamo, circa, 170 bambini dai 6 ai 15 anni e, qui, i maestri e i preparatori atletici sono tutti all’altezza di lavorare in una scuola così importante. Sono orgoglioso di come stanno andando le cose e spero di poter dare ancora il mio apporto per qualche altro anno.

– E, infine, vorrei chiederti se vedi all’orizzonte, fra i tuoi allievi, qualcuno che abbia i requisiti per diventare una promessa del tennis italiano.

– Il Foro Italico è una scuola di avviamento: si tratta di allievi piccoli che iniziano a giocare a tennis e dei quali ci occupiamo della formazione fisica e tecnica. Nel momento in cui noto dei ragazzi con delle qualità, sono io a dirgli di scegliere dei circoli con un’attività agonistica strutturata. Al Foro Italico ce ne sono diversi che hanno delle caratteristiche in prospettiva interessanti, ma qui non le svilupperanno, in quanto noi li avviamo al tennis, dando loro una impostazione tecnica.

Federico Bazan © produzione riservata