Esclusiva: intervista a Stefano Travaglia, numero 11 d’Italia e 377 ATP

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                                                                Stefano Travaglia all’opera sul Pietrangeli


Ciao Stefano, è un piacere intervistarti. Ti ringrazio per il tempo che mi dedichi.

Cominciamo dalla scintilla che ha alimentato in te l’amore per lo sport con la racchetta.
– Quanti anni avevi quando è nata la passione per il tennis? Come si è originata quell’alchimia indissolubile che ti ha avvicinato al nostro magnifico sport?

– Avevo l’età di 7 anni quando mio padre Enzo e mia madre Simonetta mi portarono al circolo in cui lavoravano, la Mondadori di Ascoli Piceno e, a piccoli passi, mi misero la racchetta in mano facendomi fare i primi tiri con la palla di spugna.


– Sei nativo della piccola e graziosa Ascoli Piceno, comune marchigiano di poco più di 100 mila abitanti. In che circolo hai imparato i rudimenti della disciplina e chi sono state le persone e i maestri che ti hanno formato tennisticamente?

– Le persone che mi hanno insegnato i rudimenti della disciplina sono state proprio i miei genitori, entrambi maestri di tennis al circolo della Mondadori di Ascoli Piceno. Coltivando da sempre la passione per il tennis e lavorando in quel centro sportivo, non potevano fare a meno di farmi provare tanti sport tra cui anche quello con la racchetta che a suo tempo, onestamente, non mi piaceva granchè.


– Per arrivare ad essere prima categoria, devi fare tanti sacrifici e rinunciare a tante altre attività. Come sono strutturati i tuoi allenamenti?

– È tutto un gioco fino a quando, se vuoi compiere il salto di qualità, devi fare delle scelte mirate; prima di tutto, lasciare la scuola normale per frequentarne una privata che ti dia il tempo di allenarti mattina e pomeriggio. Dopodiché selezionare un centro professionale nel quale tutte le attività da svolgere si possano fare in totale armonia, serenità e fluidità. Il passo finale, e non meno importante, è dare il massimo in campo, in palestra e nelle ore di atletica, in ogni singolo minuto della pratica sportiva.
I miei allenamenti durano sei ore al giorno, quattro di tennis e due tra atletica e palestra.


– A che età hai capito che avresti intrapreso la strada del professionismo? È stato un processo graduale?

– Ad un certo punto bisogna prendere una decisione; io la mia scelta l’ho fatta a 15, quasi 16 anni, andandomi ad allenare a Jesi, città ad un’ora e mezza da casa mia, dove vi era la migliore accademia di tennis delle Marche di quei tempi, 2007/08.
È stato un processo molto graduale sia il distacco da casa che l’evoluzione del mio tennis. Ho iniziato a vincere piano piano, sia in allenamento che in qualche partita dei tornei ufficiali, punto dopo punto, incontro dopo incontro.


Facciamo un salto nel passato recente.

– Hai vinto nove tornei Futures di cui tre in Cile. Hai fatto tre finali in Argentina e due sempre in Cile. Si direbbe che hai un buon rapporto con il Sud America. Che ricordi hai di queste terre?

– Dopo Jesi, mi sono trasferito in Sud America, a Buenos Aires, per due anni e mezzo dove ho giocato molti tornei Open che, in Argentina, si chiamano Top Serv.
Ero 1600 ATP quando arrivai a Buenos Aires, dopo mesi di gavetta nei tornei argentini. Ho avuto l’occasione di qualificarmi in qualche Futures, raggiungendo anche varie semifinali e finali. Dopodiché, quando ero circa 500 ATP, ho iniziato a gareggiare in tornei Challenger, alternandoli ai Futures.
Ho raccolto tre trofei in Cile, tra i quali il mio primo titolo in carriera. Come dimenticarlo…


– Quest’anno hai raggiunto il tuo best ranking in singolare alla posizione numero 194 della classifica ATP. Ricordo di averti visto l’anno scorso al Foro Italico giocare contro Albert Montañés che battesti in due set. Ti qualificasti nel tabellone principale dove affrontasti Simone Bolelli in un derby all’ultimo sangue conclusosi al tie break del terzo. Simone vinse 7-5 al tie break… ma che partita!

Puoi dirti soddisfatto degli ultimi due anni?

– La scorsa stagione mi ha visto protagonista in giro per il mondo, partendo a gennaio per l’Egitto per poi ritrovarmi al Foro Italico sulla Supertennis Arena, 1 set, 3-2 e servizio avanti e concludere con le trasferte africane e indiane, durate complessivamente sei settimane tra Tunisia, Marocco e India. Un anno in cui ho fatto molte partite, molte esperienze e ho raggiunto il best ranking in singolare e in doppio.
Sicuramente la vittoria contro Montañés, ex 22 del mondo, è stata una vittoria bellissima dato che si trattò del mio primo incontro vinto a livello ATP e, per di più, sul Pietrangeli, in un’atmosfera meravigliosa. Il turno successivo fu un altro grandissimo risultato poichè sconfissi Rola Blaz, numero 89 ATP, per poi arrivare a giocare contro Simone Bolelli al primo turno; una partita con molti alti e bassi da parte mia che, comunque, mi portò 1 set e un break di vantaggio nel secondo set! Un Bolelli che, attualmente, gioca in Coppa Davis ed è numero 3 d’Italia… 


Arriviamo al presente.

– Attualmente sei undicesimo in Italia e 377 a livello ATP. Cosa si prova ad essere il numero 11 nella tua Nazione?

– È un privilegio praticare questo sport e rappresentare il mio Paese quando gioco in Italia e all’estero; essere l’undicesimo giocatore italiano è una grande soddisfazione.
Ahimè, quest’anno, ho avuto una serie di infortuni che non mi hanno permesso di giocare in modo continuo ma sicuramente ho ancora tanto da imparare e da dare, motivo per cui continuerò ad allenarmi per fare del mio meglio e dimostrarlo in campo.


– Negli ultimi tempi, purtroppo, sei stato costretto a fermarti ai box per infortunio. Quanto ti ci vorrà per recuperare?

– Riprenderò a giocare il prima possibile e vedrò, in base alla forma fisica e tennistica, dove programmare il finale di stagione.


Uno sguardo al futuro.

– Obiettivi per il 2016?

– Il 2016 è ancora molto lontano, so che posso chiudere quest’anno bene perché ho alcuni tornei da disputare, perciò, per il momento, preferisco guardare al 2015.


Curiosità.

– Come nasce il nickname “Steto”?

– Il mio nickname nacque nel circolo che frequentavo a suo tempo, quando avevo 10 anni. Mi chiamavano “Steto” e da lì nacque il mio soprannome.


Sperando possa riprenderti il prima possibile dall’infortunio e ritornare più forte di prima, ti auguro il meglio Stefano.

Grazie mille, un grande saluto.

 A presto,

Federico


Federico Bazan © produzione riservata

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