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La rinascita di Novak Djokovic: il tennista serbo ritrova le trame del suo miglior tennis

Da quando Novak Djokovic completò il Career Grande Slam nel 2016 – conquistando il Roland Garros, l’unico Slam che mancava alla sua collezione di trofei – ebbe inizio una parabola discendente di risultati per il tennista serbo: Nole perse le motivazioni e il tennis per continuare a volare alto. Furono tante le uscite di scena ai primi turni dei diversi tornei, contro giocatori, per il suo livello reale di gioco, non irresistibili.
Nel 2017, l’infortunio al gomito, lo stop forzato, l’interruzione del sodalizio con il suo team, l’uscita dalla top ten. Nel 2018, la riconciliazione con il coach Marian Vajda e la lenta rinascita.
Come un motore pronto a carburare, il tennista di Belgrado – a seguito delle criticità incontrate nel tempo e dei lunghi digiuni negli Slam – ad oggi ritrova le impronte dei suoi massimi storici, datati 2011 e 2015. Non stiamo ancora assistendo al Djokovic in versione “robot” di quegli anni, ma il serbo, dalla stagione sul rosso alla conquista odierna di Wimbledon, sta racimolando risultati in crescendo, che lasciano sperare, ai suoi sostenitori, un ritorno alle origini: semifinale a Roma, quarti di finale al Roland Garros, finale al Queen’s, fino ad arrivare alla vittoria dello Slam londinese. E la stagione non è ancora alle porte per l’ex numero 1 del mondo…

Djokovic led by two sets to one when play was halted on Friday evening and the Serb returned under the Centre Court roof to win the second longest men's semi-final in Wimbledon history at five hours and 14 minutes.(Photo: 2018)

Dal punto di vista tecnico, si è visto come Djokovic stia recuperando le sue soluzioni di gioco migliori: la vittoria contro Nadal, in semifinale a Londra, non è solo stata una mera lotta di nervi dove ha regnato l’equilibrio, ma è stata una partita nella quale Djokovic ha dimostrato di essere quasi inscalfibile sulla diagonale del rovescio. Rovescio che il serbo sa giocare, non solo per tenere lo scambio e per contenere le accelerazioni avversarie, ma anche per impattare con grande anticipo e tirare un buon numero di vincenti a partita; un’arma letale, che Nadal, nei match persi contro il serbo, ha spesso accusato, proprio sulla diagonale e sul lungo linea.
Per quanto riguarda la finale, Djokovic ha prevalso sulla sorpresa del torneo londinese, il sudafricano Kevin Anderson, giocatore molto insidioso sulle superfici veloci, per tutti, compresi i top players; ma anche in questo caso, il serbo ha dato prova di una grande maturità: avanti di due set a zero, Djokovic è rimasto sempre attaccato al suo avversario nel punteggio, anche quando avrebbe potuto concedere qualcosa ad Anderson. E invece non ha concesso nulla, proprio perchè Djokovic, quando era numero 1 del mondo, riusciva a mantenere costante il livello di concentrazione durante tutto l’arco della gara e a vincere partite complesse, senza mai disunirsi. E questi dettagli li si notano dal tempo che si prende tra un punto e l’altro, dall’attenzione meticolosa in risposta, da una serie di azioni abitudinarie in campo che Djokovic non può trascurare.

Grazie al successo di Wimbledon, il serbo tornerà nei primi dieci giocatori del ranking ATP e, da che partiva numero 21 prima dell’inizio dello Slam su erba, diventerà il nuovo numero 10 del mondo; un numero il 21, in classifica, impensabile per uno come Djokovic, abituato a difendere tanti punti in top ten e a rimanerci per anni.
Ora bisognerà attendere come emergerà il rendimento di Djokovic nei prossimi appuntamenti, tra cui i Masters 1000 su cemento e gli US Open, per capire se la vittoria a Wimbledon di oggi sia figlia di un periodo particolarmente favorevole per il serbo, o se questa rappresenti il punto di svolta di un campione che gli appassionati hanno avuto modo di vedere e apprezzare in passato e che vorrebbero rivedere tornare in auge.

Fonti: foto di https://www.deccanchronicle.com/sports/tennis/140718/wimbledon-2018-novak-djokovic-rafael-nadal-kevin-anderson-john-isner.html

Federico Bazan © produzione riservata