Ex tennista professionista (best ranking 115 del mondo), commentatore televisivo su Sky Sport e SuperTennis, Titolare della Galimberti Tennis Academy, Testimonial di ASICS e sicuramente dimentico qualcosa. Sei una risorsa a tutto tondo nel mondo del tennis… ma partiamo dalle fondamenta.
– Com’è nata la tua passione per il tennis? A che età hai impugnato la prima racchetta?
– La passione per il tennis nasce da una tradizione di famiglia. Non a caso a Lissone, mio Paese di origine in provincia di Monza e Brianza, mio padre costruì un campo da tennis più di 50 anni fa, proprio per la passione legata a questo sport. Vien da sé che la racchetta la presi in mano da appena nato. Questo non vuol dire niente, perché ho due fratelli che, nonostante anche loro avessero il campo in casa, non sono diventati giocatori professionisti; però il contesto nel quale mi sono trovato mi ha sicuramente aiutato e indotto a giocare a tennis con regolarità.
– Il tennis è uno sport con classifiche specifiche in base al livello di gioco dei tennisti e prevede un calendario annuale di eventi come i tornei e i campionati a squadre. Man mano che si cresce nella seconda categoria e ci si avvicina alla prima, si prendono dei punti per poter accedere ai tornei Futures e Challenger. A tal proposito, vorrei chiederti quali step hai seguito per diventare un tennista professionista e che cosa comporta il passaggio dal circuito Challenger al circuito ATP.
– Ho seguito tutti i passaggi sin dall’attività giovanile: under 12 e under 14. Negli under 14 sono entrato nei primi 8, ho fatto i quarti di finale ai Campionati Italiani ma non ero parte della squadra di Coppa del Sol che erano i Mondiali under 14.
Ho iniziato a farmi vedere negli under 16 quando, in una trasferta americana in Florida, vinsi due tornei: Permbroke Pines e Porto Rico. Da lì tornai, sicuramente consapevole di un buon livello, e la Federazione mi prese nella Nazionale; quindi partecipai alla Winter Cup dove vincemmo in Germania, a Saarbrücken, e da quel momento iniziai a giocare molto bene a tennis. Negli under 16 io e Daniele Ceraudo eravamo i primi due d’Italia.
Poi ci fu l’anno dei 17, quando passai under 18. In quel periodo vivevo già a Cesenatico con la Nazionale dove c’era il Centro Tecnico Nazionale. Divenni numero uno d’Italia con un anno di anticipo, che fu il preludio poi all’annata del ’94, quando finii numero due del mondo giovanile facendo finale al Roland Garros, semifinale a Wimbledon e finale al Bonfiglio di Milano.
Il passaggio a Pro non è così semplice, in quanto presenta spesso delle insidie: l’esperienza e il doversi rialzare dalle sconfitte, quindi una grande resilienza, cosa che io penso di aver avuto molto, in quanto ho sofferto per due anni prima di iniziare ad avere dei buoni risultati anche a livello internazionale; nel ’98 feci le qualificazioni al Foro Italico, superandole e trovando poi al primo turno l’allora numero 7 del ranking, Alberto Berasategui, dal quale persi lottando. Superai anche le qualificazioni agli US Open, vinsi il primo turno e uscii al secondo per mano di Marcelo Rios in quattro set, il quale, a suo tempo, era numero 2 del mondo.
– Hai vestito la maglia di Coppa Davis dell’Italia per diversi anni. Quali sono i ricordi più belli legati all’aver giocato per il tuo Paese?
– La Coppa Davis per me rimane nel cuore: è un qualcosa che ti segna. Nel mio caso ha dei ricordi belli e meno belli. Tra i ricordi belli, la vittoria su Nadal e Lopez in doppio, molto sentita a livello emozionale da parte mia e da parte del pubblico. E poi ci sono anche le amare delusioni, come la sconfitta in Zimbabwe. Rimane il fatto che io mi sento molto patriottico e la Coppa Davis mi ha dato tante emozioni.
Fino a quest’anno ho fatto l’Assistant Coach di Corrado Barazzutti. Speravo di diventare Capitano di Coppa Davis, però è arrivato prima di me Filippo Volandri, un altro grande campione che potrà fare molto bene in panchina e al quale auguro il meglio.
Attenderò comunque una proposta da parte della Federazione per rimanere nella cerchia dei tecnici federali, o per dare il mio supporto alla stessa Nazionale di Coppa Davis con Volandri. In ogni caso, resto un uomo di Federazione, che ha riconoscenza nei confronti della FIT per quanto di buono ha fatto in questi anni e per quanto di buono continuerà a fare.

– E i successi più significativi della tua carriera?
– I successi più significativi della mia carriera sono sicuramente la vittoria a Roma agli Internazionali BNL d’Italia contro Alex Corretja che, a suo tempo, era numero 9 del mondo e fu una bella impresa sul Pietrangeli, sentita tantissimo da me e dal pubblico. Ricordo che iniziai la partita con l’impianto che non aveva nemmeno la metà degli spettatori. Ma, dopo i primi 3 games, era gremito di persone e, in più, stavo anche vincendo. Vinsi in tre set una partita lottatissima e quello fu un grande risultato.
Un’altra partita molto bella fu a Amersfoort, ad Amsterdam, contro Martin Verkerk che nel 2003 fece finale al Roland Garros. Quando lo incontrai in torneo, lui era il tennista numero uno in Olanda, giocava in casa e aveva naturalmente tutto il pubblico dalla sua parte. Non avevo particolari aspettative in quella partita: giocai molto libero e vinsi contro il numero 14 del mondo in quella che, per me, fu una grandissima impresa ed emozione.
– Dopo il ritiro dal professionismo, ti sei cimentato nelle telecronache dei match su Sky Sport, occupandoti del commento tecnico durante gli incontri. Com’è avvenuto il passaggio dall’essere protagonista in campo al parlare di tennis in diretta? È stato immediato e naturale rivolgerti ad un pubblico di ascoltatori le prime volte che ti sei trovato in cabina di commento?
– Nel 2007, Stefano Meloccaro di Sky mi propose di fare un test nella vecchia sede di Sky Sport. Andai durante il periodo dei tornei estivi di Cincinnati e Montreal, in notturna. Devo dire che, già dalla prima volta, mi divertii molto a fare le telecronache e mi sentii a mio agio, anche grazie alla capacità di Stefano Meloccaro che, a suo tempo, faceva ancora telecronaca. Adesso, invece, come sapete, lavora nello studio televisivo e si occupa di tutt’altro. Anche lui ha avuto una grande crescita professionale.
Cominciai con Sky dal 2007, fino al 2015. Poi, nel 2015, mi allontanai dalla televisione perché dovetti andare a Wimbledon, in quanto ero allenatore nello staff di Simone Bolelli e, quindi, sia lì che agli US Open ero impegnato con il giocatore.
Da quel momento presi una decisione, ovvero di rimanere soltanto con SuperTennis, canale 64 del digitale terrestre, per il quale cominciai a lavorare nel 2009, data del suo esordio. Ad oggi, sono ancora legato a SuperTennis tramite una collaborazione che va avanti da tanti anni e della quale sono molto fiero, perché è una emittente che mi ha dato tanto spazio, mi ha affidato la conduzione di Circolando e dello studio di continuità degli Internazionali BNL d’Italia, probabilmente il più grande palcoscenico tennistico del nostro Paese. La televisione mi piace molto e lì mi sento a mio agio.

– In seguito all’esperienza a Sky, sei entrato a far parte del Cast di SuperTennis come commentatore tecnico ed opinionista. Tra le altre attività, hai condotto il programma “Circolando”, un itinerario che ti ha visto impegnato nei circoli sportivi di diverse regioni italiane. Cosa si scopre da una esperienza come la tua, fatta di viaggi e incontri con vari personaggi nel mondo del tennis?
– L’esperienza di Circolando è stata basilare sotto tanti punti di vista, in particolare nell’offrirmi la possibilità di valutare i pro e i contro di qualsiasi aspetto a livello “Club”. Quanto appena detto, si spiega attraverso la mia attività: sto costruendo un centro a Cattolica abbastanza articolato che include campi da tennis, padel, palestra e un centro fisioterapico. E questo mio grandissimo investimento e impegno che ho preso, devo dire che trova anche molto conforto e supporto dalle esperienze fatte visitando tutti gli altri circoli, avendoli analizzati, avendo ascoltato i presidenti e gli addetti ai lavori. Di conseguenza, anche io, nella mia realtà imprenditoriale, ho fatto delle scelte che sono state influenzate da tutte queste conoscenze che ho avuto negli anni grazie a Circolando: avrò ormai visitato almeno 60-70 circoli tra i più belli d’Italia tra cui il Parioli, a Roma, il Bonacossa di Milano e La Stampa, a Torino. E da questi circoli ho cercato di trarre gli aspetti positivi, provando a riproporli nel mio Club. L’ho fatto sia con Circolando, sia girando per l’Europa e per il mondo, visitando i circoli negli eventi sportivi ai quali partecipo con i miei giocatori.
– Sei il Titolare della Galimberti Tennis Academy. Quali sono gli elementi fondamentali per far funzionare al meglio una Accademia di tennis?
– La mia struttura, che inizialmente si trovava a San Marino, si è spostata in Italia a Cattolica, città in provincia di Rimini. E sicuramente è stata una grande esperienza, un grande orgoglio perché da zero, in un centro che faceva poca attività agonistica, sono riuscito – grazie a una buona struttura, alle mie capacità e alle capacità dei miei collaboratori che sono aumentati anno dopo anno – a creare un grande appeal a livello nazionale ed internazionale. Abbiamo avuto giocatori dall’Ungheria, Ucraina, Francia e Australia, da molte parti del mondo; e questa è sicuramente una grande soddisfazione: l’Accademia è sempre in crescita ed è legata alla mia figura, alla mia persona. Non a caso, ora che ci siamo spostati a Cattolica, l’Accademia è esplosa ancor di più per la facilità del raggiungimento della location, per la bellezza di Cattolica, città turistica sul mare. E anche per la vicinanza e la fruibilità del centro da parte mia e dei miei collaboratori, elementi che ci consentono di avere una buona qualità della vita.
Credo che, di base, una Accademia di tennis sia fatta dalle persone, aldilà della struttura che può essere più o meno bella ma, in assenza di queste, anche il centro più bello al mondo si ridurrebbe al nulla, in quanto il contenitore viene dopo le persone. Credo che in questo momento io abbia preparatori atletici e allenatori dei quali mi posso fidare, preparati, appassionati, dei lavoratori instancabili che amano quello che fanno. Questo è il grandissimo segreto che, purtroppo, viene spesso lasciato da parte, vendendo fumo, vendendo soltanto quella che può essere considerata “la facciata” o, magari, il fatto che ci sia un grande giocatore che si allena in quel centro. Penso semplicemente che non si diventi forti guardando un giocatore che si allena, ma allenandosi.
– Parlando di abbigliamento tecnico sportivo, ASICS è un marchio di eccellenza per tanti sport, compreso il tennis. So che hai un rapporto speciale con questo brand. In cosa si distingue una scarpa ASICS da altre marche?
– È dal 1994 che uso scarpe ASICS e penso, in tutti gli anni da professionista e post carriera, di non aver mai messo altro ai piedi se non ASICS. Io sono un fanatico di questa marca e non smetterò mai di dire che è la scelta migliore che un tennista possa fare, così come un runner. Lo stesso discorso vale per l’abbigliamento, per il quale ora ASICS ha scelto di produrre solo la prima linea, quindi materiale di qualità con prodotti tecnici di altissimo livello.
– E, per concludere, una domanda di attualità. Da un po’ di anni a questa parte il tennis italiano, soprattutto nel maschile, è riaffiorato con tanti nuovi talenti all’orizzonte. Abbiamo non pochi giocatori nei primi 100 del mondo: Berrettini, Fognini, Sinner, Sonego, Travaglia, Caruso, Mager, Cecchinato, Seppi. A cosa è dovuta questa crescita prorompente del movimento?
– Il discorso è ciclico. L’Italia è una Nazione che tennisticamente è sempre stata all’avanguardia; ci sono stati anche dei periodi bui, come nei primi anni 2000, quando io, oltretutto, ne ho giovato per poter far parte della squadra di Coppa Davis. In una Nazione come l’Italia di oggi, il Galimberti dell’epoca non avrebbe posto in Coppa Davis, ma in quegli anni invece sì.
Negli ultimi tempi abbiamo un movimento in forte crescita. E credo che questo dipenda da un insieme di cose: un ottimo lavoro federale del settore tecnico; un ottimo lavoro delle accademie private che hanno tirato fuori tanti giocatori; la presenza di maestri competenti a livello nazionale. Io credo che l’Italia di oggi possa essere vista un po’ come la Spagna di qualche anno fa; un ambiente preparato di professionisti con competenze di altissimo livello. I maestri italiani, vent’anni fa, erano bistrattati. Tutti parlavano della Spagna: “Scappiamo in Spagna se vogliamo diventare forti”. Questo ora non avviene più perché abbiamo coach di livello nazionale e internazionale che seguono da vicino i giocatori. È ovvio che, con un bacino importante come le scuole tennis italiane, prima o poi qualcosa venga fuori.
In questo momento siamo forse la Nazione con più giocatori nei primi 100 del mondo o tra le migliori al mondo. Manca, forse, il top player nei primi 5. Nel momento in cui arriverà anche quello, credo che l’Italia non sarà seconda a nessuno o, se non altro, sarà tra le Nazioni leader di questo sport nei prossimi anni, tenendo conto anche dell’età giovane dei nostri giocatori.
Foto di: Giorgio Galimberti
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