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L’Italia di Capitan Volandri spicca il volo senza Sinner e Musetti

La vittoria più significativa per la Nazionale Italiana di Coppa Davis è arrivata probabilmente nell’edizione del 2025, a Bologna. Significativa perché, a differenza delle precedenti nelle quali l’Italia vantava almeno un singolarista nei primi 10 giocatori del mondo (Panatta nel 1976 e Sinner nel 2023 e 2024), quest’anno i due assenti erano proprio Sinner e Musetti, il numero 2 e il numero 8 del ranking ATP. Capitan Volandri ha dovuto pertanto riformulare gli assetti, schierando nei singolari il numero 22 e il 56 del mondo, nonché il terzo e il sesto della classifica italiana: Cobolli e Berrettini.

La Nazionale Italiana pronta a sollevare l’insalatiera nell’edizione della Coppa Davis 2025, disputata a Bologna

Flavio Cobolli: è stato lui l’uomo Davis, lottando, correndo e vincendo le partite più difficili: contro il belga Zizou Bergs, l’incontro dei match point non sfruttati, dei tie break infiniti e contro lo spagnolo Jaume Munar, rovesciandone le sorti dopo un primo set dominato dall’iberico.
Cobolli ha dato una grande prova di attaccamento alla maglia e, soprattutto, di maturità: ha saputo ribaltare situazioni di svantaggio nel punteggio dove appariva “spento”, in situazioni dove ha innestato una marcia superiore. Contro Munar sembrava non esserci partita, ma nel secondo set Cobolli ha iniziato a comandare gli scambi e a trovare fiducia, malgrado le tante energie fisiche e mentali spese due giorni prima contro Bergs, in una partita interminabile.
Dal punto di vista tecnico, il servizio in kick e il dritto a sventaglio sono stati gli elementi chiave del gioco di Flavio nel portare a casa il match, tanto contro Bergs, tanto contro Munar. Il merito delle sue vittorie, infatti, è nato dalla propositività nel servire in kick a uscire, una soluzione che gli ha consentito di aprirsi il campo e spostarsi di dritto per comandare gli scambi.

Matteo Berrettini: è attualmente il numero 56 del mondo, ma si tratta di un piazzamento in classifica non veritiero e ingeneroso, paragonandolo al best ranking, ai risultati migliori conseguiti in passato e, soprattutto, a come ha risposto positivamente alla partecipazione in Davis.
Berrettini, qualora il fisico lo assista, dà dimostrazione, tanto nei tornei quanto nelle coppe a squadre, di essere un fuoriclasse. Essendo, per tipologia tecnica, un “attacking player”, il servizio e il dritto hanno fatto da padrone in tutti i match giocati e vinti, nei quali non ha mai perso un set contro gli avversari affrontati, grazie ad un impeccabile rendimento con la prima palla al servizio. A questo si aggiungono il tifo, la vicinanza, il sostegno continuo ai suoi compagni di squadra dalla panchina, che sono stati il coronamento di una vittoria fortemente voluta e guadagnata.

Lorenzo Sonego: sarebbe stata l’alternativa più valida nel caso in cui Cobolli non fosse sceso in campo contro Munar, dopo la maratona vinta contro Bergs. Ma il binomio Cobolli – Berrettini ha fatto sì che Sonego rimanesse in panchina ed incitasse i due singolaristi. Giocatore che si esalta in questo tipo di competizioni e che, con la grinta, riesce a trascinare la squadra alla vittoria. Tecnicamente solido, nelle varie Coppe Davis fin qui giocate, ha sempre mostrato in campo un attaccamento alla maglia per ogni punto giocato, aldilà del risultato finale.

Simone Bolelli: è un veterano, 18 anni titolare tra le file della Nazionale Italiana di Coppa Davis, protagonista indiscusso nei doppi che l’Italia ha giocato in giro per il mondo. Non ha partecipato direttamente in campo con Vavassori – in quanto sono stati sufficienti i due punti vinti nei singolari da Berrettini e Cobolli – ma la sua presenza e la sua esperienza, in questo tipo di manifestazione, sono state ugualmente molto sentite da tutta la formazione azzurra.

Andrea Vavassori: ha preso il posto di Fabio Fognini in doppio e lo sta onorando nel modo giusto. Con Bolelli c’è un’ottima intesa e Capitan Volandri può contare su un abile doppista, esplosivo da fondo campo e con buona mano sotto rete.

Filippo Volandri, il Capitano: ha portato, per tre anni consecutivi, l’Italia di Coppa Davis al successo, indovinando le scelte strategiche opportune, motivando costantemente i giocatori, assecondandone i bisogni, entrando in empatia con loro.

Il Capitano Filippo Volandri e Flavio Cobolli cantano l’Inno di Mameli durante la premiazione

Jannik Sinner: non andrebbe menzionato in quanto assente, ma la sua scelta di lasciare spazio agli altri tennisti azzurri – pur rappresentando egli stesso il presente e il futuro del tennis a livello mondiale insieme a Carlos Alcaraz – ha dato la possibilità a Cobolli e Berrettini di esprimersi al proprio meglio, senza dover dipendere dal giocatore più titolato della squadra.
Sinner ha vinto, seppur nell’assenza, la partita contro tutti quei detrattori che hanno espresso disappunto nei suoi confronti per non aver vestito la maglia azzurra. Una decisione che lascia intendere come la Nazionale Italiana di Coppa Davis possa reggersi qualitativamente e quantitativamente su tanti tennisti validi, da qui ai prossimi anni.

Fonti fermo immagini: International Tennis Federation

Federico Bazan © produzione riservata

L’Italia del tennis sul tetto del mondo: doppio successo storico per gli Azzurri

Il tennis italiano ha sempre vissuto fasi alterne, tra il 1976 e il 2023. Il movimento femminile e quello maschile hanno vinto, rispettivamente, la Billie Jean King Cup e la Davis Cup, in periodi diversi e molto lontani l’uno dall’altro: quando Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli trionfarono a Santiago del Cile nel 1976 e arrivarono in finale in altre tre edizioni (1977, 1979 e 1980) – mancava all’epoca un movimento del tennis femminile, allo stesso livello, che potesse affermarsi nell’allora Federation Cup.
Lo stesso discorso vale anche a parti invertite: quando Pennetta, Schiavone, Vinci ed Errani bissarono i quattro storici sigilli nel 2006 a Charleroi, nel 2009 a Reggio Calabria, nel 2010 a San Diego e nel 2013 a Cagliari – il movimento del tennis maschile faceva fatica ad arrivare in una finale di Coppa Davis.
Per la prima volta, nel 2024, si è verificata un’inversione di tendenza che ha sfatato il discorso ciclico dei due movimenti e che ha rappresentato un traguardo unico nel tennis italiano: dopo l’impresa doppia sfiorata nel 2023, l’Italia è salita sul tetto del mondo, sia con le ragazze di Tathiana Garbin, sia con i ragazzi di Filippo Volandri, nella stessa stagione, nello stesso mese, nella stessa località.


Tra i campioni del mondo, si sono confermati protagonisti assoluti del 2024 Jasmine Paolini e Jannik Sinner che, oltre ad aver vissuto a pieno l’anno della consacrazione nella propria carriera, hanno trainato le rispettive squadre al successo. Se i protagonisti sono stati Paolini e Sinner per aver conquistato i punti che contavano nelle sfide decisive, i giocatori ritrovati sono stati Sara Errani e Matteo Berrettini. Una Errani veterana, spinta a non fermarsi da una inarrestabile Paolini, ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi in doppio, più la Billie Jean King Cup, e da lì sembra stia rivivendo una seconda giovinezza tennistica, che le ricorda di quanto fosse abituata ad alzare al cielo trofei su trofei, specialmente nei doppi con la storica compagna Roberta Vinci.
Un Berrettini sull’orlo del baratro, a seguito di ripetuti infortuni e mancanza di motivazione, a seguito dell’uscita dalla top 100, ha risposto “presente” in Coppa Davis, ritrovando nel servizio e nel dritto i suoi punti di forza, proprio come quando era un top ten. I giocatori “sorpresa” sono stati, invece, Lucia Bronzetti e Andrea Vavassori per aver dato un contributo speciale alle due squadre: la Bronzetti per aver vinto il suo match di singolare contro la Slovacchia, proprio in finale, e aver garantito il primo importante punto alla formazione azzurra; Vavassori per aver rimpiazzato con onore il posto di Fabio Fognini, storico compagno di doppio di Simone Bolelli.

Il successo dell’Italia del tennis, a Malaga, è stato il coronamento e il completamento del lavoro svolto dall’intera Federazione Italiana Tennis e Padel che, dopo anni altalenanti, fatti di gioie ma anche di altrettanti periodi vuoti, ha investito tanto in attività provinciali, regionali, nazionali, strutture adeguate e corsi di formazione. Il tutto è stato finalizzato ad incrementare la pratica del tennis nei circoli sportivi, nelle scuole tennis del Sistema Italia. Da quando Jannik Sinner ha vinto gli Australian Open, gli US Open, le ATP Finals ed è diventato il numero 1 al mondo – c’è sempre più voglia di giocare a tennis a qualsiasi livello e a qualsiasi età. Il Sistema Italia è rinato con una vasta rosa di giocatori di alto livello, sia in ambito maschile che in ambito femminile, diventando una Nazione leader in tutto il mondo per quanto riguarda lo sport con la racchetta.

Federico Bazan © produzione riservata

Esclusiva: intervista a Vincenzo Santopadre

Nel mondo del tennis ti conoscono tutti come la figura che ha affiancato Matteo Berrettini nel suo percorso di crescita, dai primi tornei giovanili di categoria fino agli appuntamenti nei tornei del Grande Slam. Ma prima di aver intrapreso un lungo cammino che, dal 2011, ti ha portato a formare e ad allenare Matteo, hai avuto un passato da giocatore di alto livello. Molti si ricordano del Vincenzo Santopadre ex tennista del circuito ATP, ma non tutti sanno che sei parte della grande famiglia del Circolo Canottieri Aniene di Roma.

La mia foto con Vincenzo Santopadre al Circolo degli Esteri

– Quali sono stati i tuoi primi passi verso il tennis agonistico? E quando ti sei reso conto di poter intraprendere la strada del professionismo?

– I miei primi passi verso il tennis agonistico sono iniziati all’età di 11 anni, partecipando ai tornei Under 12. All’epoca ho giocato per due anni al Circolo Junior Lanciani e, nel settembre del 1983, sono passato al Tennis Club Parioli, dove sono rimasto per circa vent’anni. Ho intrapreso la strada del professionismo subito dopo aver completato gli studi al liceo e aver conseguito la maturità, nel luglio del 1990. Da lì è cominciata la mia attività professionistica, partecipando ai tornei Satellite. All’epoca ce n’erano tre, più un Master.

Per arrivare ad essere numero 100 del mondo, c’è un percorso alle spalle di sacrificio, allenamento ed investimenti. Ma anche di vittorie e sconfitte. Quali sono gli insegnamenti più grandi che il tennis ti ha dato, in qualità di giocatore?

– Credo che qualsiasi percorso, sia nelle fasi iniziali che dopo tanti anni di attività, costi sacrificio, impegno e responsabilità, come avviene un po’ in tutti i lavori. Nel tennis si vivono delle vittorie e delle sconfitte che fanno parte di qualsiasi disciplina ma, essendo uno sport individuale, gli insegnamenti che lascia possono essere ancor più grandi. Oltre a questo, penso che il tennis sia uno sport altamente formativo, capace di trasmettere tanti valori importanti: insegna a cercare soluzioni, a rialzarsi dalle sconfitte, ad avere quindi delle opportunità di crescita attraverso gli insuccessi, ma anche a gioire delle vittorie, dopo aver lavorato per raggiungerle.
Gli insegnamenti che ho appreso, in qualità di giocatore, sono molteplici e fatico a trovarne uno solo: è uno sport dove, quello che si fa in campo, è un lavoro quotidiano, dove ci si mette alla prova, dove si cerca di essere migliori rispetto al giorno precedente.

Vincenzo Santopadre in campo al Circolo Canottieri Aniene

– Avendo tu vissuto in campo determinate situazioni, hai potuto trasferire le tue conoscenze anche ai giocatori che hai allenato: tra questi spiccano Flavio Cipolla, Nastassja Burnett e, non per ultimo, Matteo Berrettini, con il quale hai raggiunto, finora, i risultati più significativi come Tecnico e Coach. Ma prima di arrivare al famoso binomio con Matteo Berrettini, come sono state le tue esperienze precedenti?

Ho iniziato la carriera di Coach, con le prime esperienze, quando ho smesso di giocare nel 2005. Devo fare un premessa: ho avuto la fortuna di avere quattro Maestri di un calibro eccezionale, sia come persone in primis, sia come Tecnici di estremo valore. Mi riferisco a: Paolo Spezzi, Chicco Meneschincheri e Vittorio Magnelli – che ho trovato al Parioli – e a Giampaolo Coppo, con il quale ho condiviso un bel percorso. Ognuno di loro mi ha trasmesso e mi ha lasciato qualcosa. Oltre a questo, ho avuto anche la fortuna di esser entrato in contatto con 3/4 di coloro che hanno vinto la Coppa Davis nel 1976; parlo di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Paolo Bertolucci che ho avuto come Capitani in diverse occasioni. Da lì ho iniziato a formarmi come Maestro, una formazione cheho consolidato attraverso molteplici esperienze: lavorando con i più piccoli, con i ragazzi più grandi; allenando giovani agonisti, accompagnando loro nelle gare a squadre, nei tornei individuali e nei campionati nazionali di Challenger.
Tu hai citato Flavio Cipolla e Nastassja Burnett che ho seguito in passato; ho allenato anche Marina Shamayko, una ragazza russa che giocava molto bene e Jacopo Berrettini. Devo dire, insomma, che le esperienze non sono mancate.

Vincenzo Santopadre e Matteo Berrettini dopo la conquista del trofeo al Serbia Open 2021

– Qual è stata la chiave del successo nel sodalizio tra Vincenzo Santopadre e Matteo Berrettini?

– La chiave del successo nel sodalizio con Matteo credo sia stata la fiducia reciproca, la capacità di ascolto reciproco, la voglia di voler crescere insieme, di seguire un percorso mano nella mano. Lui si è fidato ed affidato e, nel tempo, abbiamo raccolto quello che insieme abbiamo costruito. Ci sono stati, fin da subito, un rispetto reciproco e delle similitudini caratteriali: credo che siamo entrambe due persone che hanno riscontrato, l’una nell’altra, grandi serietà, affidabilità, voglia di lavorare e senso del dovere. Credo di averne elencate tante, ma penso la differenza l’abbia fatta proprio questo perché, in caso contrario, un rapporto tra un allenatore e un giocatore non potrebbe durare per così tanti anni.

– Quali sono i ricordi più belli vissuti in campo con Matteo e la sua famiglia? Per intenderci, quei ricordi che, se tornassi indietro, rivivresti a pieno?

I ricordi sono tantissimi ed è difficile sceglierne uno su tutti. Ce ne sono molteplici: il primo torneo Challenger vinto a San Benedetto del Tronto, le gare a squadre che abbiamo fatto con l’Aniene, l’exploit a Wimbledon, le vittorie dopo gli infortuni, il raggiungimento delle ATP Finals. Sono veramente tantissimi. Ma quello che più mi piace ricordare, è che c’è stata una condivisione sia dei successi, sia degli insuccessi. E questo credo sia molto importante.
Ovviamente, tra i ricordi da menzionare, ci sono la progressione di vittorie a Wimbledon nel 2019, quando Matteo è arrivato, per la prima volta, alla seconda settimana di uno Slam; anche l’anno precedente aveva vinto contro Jack Sock al quinto set, rimontando da 2 set a 0 sotto. Quello è stato un grandissimo successo. Sempre nel 2019, l’anno degli ottavi di Wimbledon, non posso dimenticare la semifinale raggiunta agli US Open, dopo aver vinto una partita al cardiopalma contro Gaël Monfils nei quarti di finale.

Matteo Berrettini insieme a Vincenzo Santopadre, Lorenzo Sonego e lo staff

– Anche nelle belle cose, ci può essere una fine. Sembra banale dirlo a parole, sebbene non lo sia affatto: dopo aver accompagnato Matteo in un percorso di crescita, averlo visto esultare e gioire nelle vittorie, nei piazzamenti del Grande Slam, nella top ten… si è chiusa la lunga collaborazione, iniziata nel 2011 e terminata nel 2023 con il tennista romano. Cosa ti ha lasciato questa esperienza da un punto di vista professionale e, soprattutto, da un punto di vista umano?

– Il percorso di coaching con Matteo è stato lunghissimo e mi ha lasciato tantissimo, perché di strada ne è stata fatta e di tempo ne è passato; è stato un percorso vissuto molto intensamente, che mi ha arricchito dal punto di vista professionale in modo notevole. Anche perché, come in tutte le professioni, quando ci si dedica con passione, non si può non crescere, avendo capacità di ascolto, vedendo quello che fanno gli altri, domandando a chi ne sa di più, cercando di condividere poi il lavoro… perché, di base, abbiamo fatto un grande lavoro di squadra. Un percorso che mi ha arricchito inoltre dal punto di vista umano, sempre grazie al team, con il quale si è cresciuti tantissimo tutti quanti. Anche perché, quando si viaggia per tantissime settimane all’anno, se non si hanno delle persone con le quali condividere, non solo il lavoro, ma anche una parte extra, sarebbe una vita troppo faticosa. E invece non è successo questo, perché c’erano delle persone nel team con le quali si condivideva, sia l’aspetto professionale, sia tutto quello che era fuori dal contesto di lavoro.

Coach e Giocatore insieme: Vincenzo Santopadre, con Matteo Berrettini, finalista al Torneo di Wimbledon nel 2021

– Tutti gli appassionati si aspettano di vederti nuovamente all’opera con giovani promesse del tennis italiano. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Dopo l’interruzione del rapporto con Matteo, ho deciso di prendermi un periodo di pausa, per recuperare ed avere la capacità di poter scegliere, a mente fredda, il da farsi. Non ti nego che delle proposte siano già arrivate: alcune interessanti e altre meno, che sto vagliando. Nel frattempo, non mi sono assolutamente staccato da quella che è sempre stata, nel corso degli anni, la mia seconda casa, anche quando seguivo Matteo, e che è il Circolo Canottieri Aniene, sia con la scuola tennis sia con l’agonistica.
È un posto dove vado sempre con grandissimo piacere
ed è il circolo al quale devo tanto, se non tutta la mia carriera di allenatore e non solo.

Foto di: Vincenzo Santopadre

Federico Bazan © produzione riservata